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La cotoletta alla milanese di Emilio e Finnicella
In 22 Giugno 2022 da Fabio MuzzioMia moglie è una strega, diretto da una delle coppie d’oro del nostro cinema commedia, Castellano e Pipolo, è uscito nelle sale il 1° dicembre 1980 come, per utilizzare una terminologia commerciale del grande schermo, un “titolo forte” per Natale, in questo caso per la Cecchi Gori.
Gli interpreti sono due attori da botteghino di quegli anni: Renato Pozzetto ed Eleonora Giorgi e il film si piazza al settimo posto per gli incassi nell’anno in cui a farla da padrone ci sono Ricomincio da tre, Il bisbetico domato, Fantozzi contro tutti e l’Impero colpisce ancora.
Il film all’epoca si disse (smentito) che fosse il remake di Ho sposato una strega (I Married a Witch) del 1942 di René Clair con Veronica Lake e Fredric March. In quel caso la strega Irene era però di Salem e non di Roma come Finnicella.
Il Cardinale Emilio Altieri nel 1656 (il Cardinale diventerà Papa Clemente X nel 1670) condanna attraverso la Santa inquisizione la strega Finnicella, la prediletta di Amodeo, il Diavolo. Tornata in vita trecento anni dopo, liberata dagli scavi della linea A della metropolitana, vuole vendicarsi di un omonimo discendente, operatore di borsa.
Il cast si completa con Helmut Berger, nel ruolo del Diavolo geloso e innamorato e con Lia Tanzi, che interpreta Tania Grisanti, la fidanzata di Emilio divorziata da Roberto che cerca ancora di conquistarla.
Tra incantesimi, il relazionarsi con un mondo molto diverso rispetto a quello del Seicento, desideri di vendetta, equivoci, verità rivelate, Emilio finirà, in questo ricambiato, di innamorarsi della strega di cui saprà solo alla fine dei suoi poteri. Salterà un matrimonio e ve ne saranno due.
Non indugio troppo sulla sinossi che, con tutta probabilità, conoscerete essendo anche questo film una commedia di culto (curiosamente Pozzetto uscirà l’anno dopo in coppia con Gloria Guida con La casa stregata (forse più divertente e riuscito), altrimenti il consiglio di recuperare questo titolo rimane sempre valido.
Mi concentro, invece, su alcune particolarità: la citazione di L’ultima minaccia di Richard Brooks (Emilio viene sorpreso dalla fidanzata a discutere con Humprey Bogart mentre lui è vittima di un incantesimo e parla con Finnicella); il volo sulla scopa di Emilio e Finicella che può rimandare alla sequenza finale di Miracolo a Milano di Vittorio De Sica anche se a essere sorvolata nel film è Parigi; la particolarità del product placement di una marca di sigarette al termine del pranzo da cui è tratta la ricetta (la strega non sapendo cosa sia mastica la sigaretta); il ritorno in vita di Finicella nel pieno di una manifestazione femminista in cui lo slogan è il celebre “Tremate tremate le streghe son tornate” e dove, incontra Emilio al quale rifila un pugno e alcuni calci; nei panni di un poliziotto in tenuta antisommossa c’è proprio il Diavolo che le consegna il libretto rosso delle formule di incantesimo stringendo il patto.
Eleonora Giorgi canta anche la canzone tema del film e dei titoli di coda: Magic, scritta dall’autore della colonna sonora Detto Mariano: l’intepretazione, ma non crediamo che sia stata una perdita per il mondo della musica, non è mai stata realmente incisa in vinile (siamo ancora in quell’epoca).
Finnicella segue Emilio in un self service e ordina esattamente quello che chiede lui: pasta al ragù e cotoletta alla milanese, prima con contorno di piselli e prosciutto e sostituite subito dopo con le tradizionali patate fritte. E proprio la cotoletta, uno dei secondi più famosi della nostra cucina, è la protagonista della ricetta.
INGREDIENTI PER DUE PERSONE
- Costolette di vitello 2
- Uovo grande 1
- Farina 00
- Pangrattato
- Burro chiarificato 30g
PROCEDIMENTO
La cotoletta alla milanese non è solo, insieme al risotto e al panettone, il simbolo culinario della città meneghina ma anche uno tra i piatti classici della cucina italiana. La sua storia si intreccia con l’austriaca Wiener Schnitzel e gli austriaci, è risaputo, sono stati più che presenti in Lombardia. La fondamentale differenza, non addentandromi troppo nella storia in senso stretto e in quella culinaria in senso più ampio, è che la versione austriaca è una “fettina” mentre quella milanese prevede l’osso, quindi sono due tagli diversi del vitello. La cotoletta, infatti, viene ottenuta dalla lombata o dal carré e la tradizione richiede che la carne sia della stessa altezza dell’osso.
La ricetta, non è un mistero, è conosciuta e senza troppi segreti: al limite se la gioca con qualche piccola differenza o qualche accorgimento. Intanto la raccomandazione di eliminare la parte di grasso e quella di incidere in due o tre punti il bordo, così che durante la cottura la carne non si accartocci. E poi, se è troppo alta, ma sarebbe sempre meglio farlo magari più leggermente, è meglio batterla con il batticarne che ne aumenterà l’ampiezza senza farla diventare troppo sottile.
C’è chi suggerisce di dare un’infarinata prima della panatura che, come recita la regola, deve essere doppia: dopo il primo passaggio nell’uovo sbattuto e non salato e la prima panatura si consiglia di ripassarla nuovamente nell’uovo e ancora nel pangrattato.
Ultimata la panatura deve essere fritta in padella della misura adeguata alla grandezza delle cotolette: nel corso degli anni l’utilizzo di olio di semi è diventato meno un tabù ma la ricetta originale prevede l’utilizzo del burro chiarificato che per il suo trattamento ha il pregio di avere un alto punto di fumo e di lasciare il tipico sapore del condimento per eccellenza del Nord Italia. Tralascio l’aspetto calorico ma se si devono seguire le tradizioni è meglio farlo fino in fondo.
Se Emilio cambia idea e preferisce al contorno di piselli e prosciutto le tradizionali patatine fritte, in genere la cotoletta si accompagna ai pomodori e alla rucola (che piace tanto ai milanesi).
(ADV)
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