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Ricominciare dalla coda
In 8 Giugno 2020 da Rita StanzioneIl piccolo ascolta il campanello
e fa saltelli da suricato
si direbbe bestiola articolata dalla luce
un tempo di mezzo tra errori e cura
tutto ginocchi e graffi d’humus.
La lingua manca ma cattura gesti
col dono dell’osmosi, dispiegato
lo sguardo in disarmate purità
apre falcate d’indole
e sorride da sue divinazioni.
Mitico dondola
con il riflesso della coda
la storia naturale da riscrivere
il suo mondo libero dall’essere febbrile.
Nota:
L’animale è una conversazione perdurante con la terra da cui viene e da cui è costituito. E l’essere umano? Una conversazione perdurante con la terra da cui viene e da cui è costituito – ma una conversazione più artificiosa e balbuziente di quelle della maggior parte degli animali selvatici. Tali le osservazioni di Charles Foster, autore del libro L’animale che è in noi (edito da Bompiani nel 2017).
La differenza, quindi, è che l’animale è capace di attuare un dialogo vero e diretto con la terra, l’uomo invece, sclerotizzato nella sua bramosia di controllo e possesso in quanto “essere superiore”, altera e distrugge, incespica nel legame con gli altri viventi, dimenticando l’importanza vitale – anche per sé – della solidarietà.
Prima di giungere alla stesura dell’interessante lavoro, l’eccentrico Foster – avvocato, naturalista, veterinario, viaggiatore – si è fatto cervo, tasso, volpe, rondone, lontra. Ha provato a vivere come loro per stabilire un dialogo con la terra, concludendo: noi umani usiamo solo una minuscola parte delle informazioni sul mondo che sono disponibili; ho imparato che è possibile fare meglio di così. Condividiamo con i “non umani” tutta la nostra storia e il nostro bagaglio. Le influenze più importanti non sono la nazione in cui cresciamo o i genitori che ci allevano, ma lupi, tigri e leoni, che si aggirano furtivamente nel nostro subconscio.
Forse, già solo osservando un bambino nell’immediatezza di relazione con l’esterno e l’altro da sé, non può non farsi largo l’idea che l’avanzato mondo dell’uomo si sia troppo allontanato dall’immedesimazione, così com’è calibrato in valori che escludono l’empatia con la terra, spazio quasi esausto in cui si muove e di cui si ciba, rischiando di esserne prima o poi sopraffatto e infine escluso come specie.