CattiviConsigli . IRA
Porta a porta
In 6 Aprile 2018 da Gianluca PapadiaVicidomini è l’inquilino che abita al piano sopra al mio. È un vecchio giudice in pensione che vive da solo e sarebbe pure un tipo simpatico se non soffrisse di logorrea patologica. Quando la sera torno a casa e lo vedo armeggiare vicino al portone fingo che non ci sia posto per parcheggiare e rifaccio il giro dell’isolato. Non so quante volte ho fatto tre o quattro giri prima che lui varchi il portone di Via Etruria 57.
Vicidomini è l’amministratore in pectore del condominio, anche se l’amministratore vero è un altro.
Vicidomini decide l’orario di accensione e spegnimento delle luci [art. 11 comma 1], il colore delle tende da sole [art. 20 comma 6], l’altezza dell’erba delle nostre aiuole [art. 15 comma 5] e perfino la data delle riunioni. È il garante unico del rispetto delle rigorose regole che lui stesso ha imposto all’intero condominio e, se malauguratamente sbagli giorno della raccolta differenziata [art. 12 comma 2], sarà sempre lui a svuotare il sacco e, dopo accurata analisi della spazzatura, decretarne la paternità.
Le sanzioni variano dal semplice richiamo scritto alla gogna mediatica con tanto di foto pubblicata sul profilo Facebook del condominio che, manco a dirlo, Vicidomini gestisce con la solerzia di un nerd quindicenne. Non ho ancora capito bene come faccia, ma ha sempre l’iPhone pronto a scattare una foto nitida e con la migliore luce possibile.
Se ti becca in fragranza di reato, prima tenta un approccio informale, poi, se cerchi di sottrarti ai tuoi doveri di condomino, passa alla pubblicazione coatta delle tue malefatte e per finire, se ancora non è riuscito a estorcerti una confessione, passa alle vie legali.
Oggi stranamente non lo sento ciabattare da un lato all’altro del suo appartamento. Lui ha vietato alla signora che abita sopra di lui di portare tacchi in casa [art. 17 comma 4] ma io sono molto più tollerante.
Ieri sera sono stato a una festa e stamattina ho mandato un sms al mio capo e mi godo il mio meritato giorno di ferie.
Tra l’altro ho pure rimorchiato e la tipa, una collega di lavoro del festeggiato, è da poco uscita dal mio appartamento. Il suo profumo è ancora nella mia stanza da letto nonostante questa forte puzza di vino. Alzo gli occhi sul comodino e vedo la bottiglia di vino vuota. Abbasso gli occhi e vedo pure la macchia di vino sul piumone e mi torna alla mente che, quando siamo rientrati dalla festa, per fare il fico le ho chiesto se voleva bere del vino. Senza nemmeno aspettare la sua risposta ho aperto una bottiglia di Lacryma Christi che non abbiamo avuto il tempo di bere e, chissà come, adesso il contenuto della bottiglia è tutto sul mio piumone.
Mentre ripenso a quale possa essere stata l’incauta manovra che abbia fatto versare il vino, metto il piumone nella lavatrice. L’ordinamento condominiale in materia di biancheria da stendere, redatto dal nostro magistrato a riposo e approvato all’unanimità dall’esercito di ex-femministe con l’asciugatrice che popolano il mio palazzo, prevede che la biancheria sia messa ad asciugare solo di mattina e solo sul lato Nord dell’edificio [art. 6 comma 9]. Sono nei guai: il mio unico piumone non sarà mai asciutto per stasera.
Dopo un’ora esatta la lavatrice ha finito il suo ciclo di lavaggio e in cielo, visto l’aumento del vento di tramontana, è comparso un bel sole invernale che bacia il mio terrazzo sbagliato, quello che affaccia sul lato Sud del condominio. Abbandono la mia idea di asciugare il piumone con il phon ed esco sul balcone con discrezione, controllando i piani inferiori ma soprattutto quello superiore. Se stendo il piumone adesso, che sono le 13:05, forse posso farcela, così, prendo coraggio e alla fine decido di rischiare.
Stendo sulla ringhiera la mia coperta imbottita di piume e passo le successive quattro interminabili ore col terrore che da un momento all’altro Vicidomini compaia armato del suo potente cellulare. Come avevo previsto, oggi il vecchio rompiscatole non c’è e dopo quattro ore la mia amata coperta è nuova come prima. Ho bisogno di un bagno rigenerante. Le ultime quattro ore tra stress e freddo hanno compromesso il mio stato psicofisico.
Dopo un’ora in ammollo, mi vesto lentamente, smisto un po’ di email di lavoro e dopo aver mangiato un paio di toast, vado alla riunione di condomino.
Dovrebbe esistere una legge che vieta le riunioni di condominio il venerdì pomeriggio, ma questo è il giorno preferito del nostro caro Vicidomini.
Le riunioni si tengono nel teatro parrocchiale del quartiere a pochi isolati dal nostro fabbricato.
Al mio arrivo la sala è al buio, Vicidomini è al centro del palcoscenico e al mio ingresso fa un cenno a qualcuno dietro le quinte. Sullo schermo compare il nostro amato palazzo. Quando i miei occhi si abituano al buio, noto che tutti i condomini sono seduti a godersi lo spettacolo e così mi accomodo pure io sforzandomi di ricordare quale sia l’ordine del giorno di quella riunione.
La ripresa, di ottima qualità, è stata fatta probabilmente dal palazzo di fronte al nostro e mostra una panoramica del nostro stabile. All’improvviso l’operatore è attratto da qualcuno che esce sul balcone del secondo piano: il mio balcone. La telecamera fa uno zoom su di me che, con aria furtiva, mi guardo intorno. Dopo aver visto che nessuno degli altri condomini è fuori al proprio balcone rientro nel mio appartamento. Quando riesco con il piumone in mano e lo stendo sul parapetto, dalla sala si alzano all’unisono grida di stupore e disappunto. Qualcuno addirittura sviene: forse Laudadio del settimo piano che ha due bypass al cuore.
Mentre in sovraimpressione lampeggiano a lettere cubitali la data e l’orario del crimine di cui mi sono macchiato, in sala vengono riaccese le luci.
Solo in quel momento noto che sul tavolo al centro del palcoscenico c’è il plastico del nostro condominio. Vicidomini è in piedi alle spalle del tavolo e con una bacchetta luminosa indica il lato nord, unico posto consentito per la biancheria da asciugare [art. 6 comma 9]. Il sorriso beffardo da santa inquisizione che ha stampato sul viso non lo dimenticherò mai.
Con uno sforzo enorme mi alzo in piedi. Nonostante le gambe molli e una sudorazione violenta, che non ricordavo dai tempi degli esami all’università, riesco a guadagnare il centro del palcoscenico. Laudadio – sì era proprio lei – si è appena ripresa dallo choc.
M’inginocchio e abbasso la testa in segno di totale sottomissione. Sento i passi di Vicidomini che si avvicina mentre la folla urla inferocita. Con la coda dell’occhio riesco pure a vederlo: all’improvviso alza la mano destra e l’intero teatro piomba in un silenzio surreale; poi stringe il pugno tenendo il pollice in orizzontale mentre i condomini iniziano a votare.
Ho un attacco di tachicardia galoppante mentre Vicidomini conta mentalmente i pollici in platea.
Alla fine, dopo una pausa degna del miglior thriller hollywoodiano, Vicidomini alza il pollice verso l’alto: sono salvo ma l’umiliazione subita segnerà per sempre la mia vita al condominio di Via Etruria 57.
Mi trascino stancamente dal teatro al mio appartamento: sono distrutto, ho bisogno di dormire. Dovrei fare una doccia ma riesco a malapena a togliermi le scarpe e mi butto sotto il piumone con ancora i vestiti addosso. Sento le lacrime arrivare inesorabili, è stato uno sforzo enorme trattenerle fino ad ora.
Devo calmarmi ma l’odore di pulito del piumone non aiuta e finalmente li vedo, quei maledetti peli. Nonostante gli occhi gonfi di lacrime, riconosco che sono peli di gatto. Sono lunghi e bianchi, e non possono che essere i peli di Lulù, il persiano bianco di Vicidomini, il suo profilo Instagram è pieno di foto di quel gatto: Lulù che fa colazione; Lulù che fa la toilette; Lulù che dorme sul tappeto, il dannato corpo del reato.
È fin troppo chiaro che la ringhiera doveva essere già sporca quando vi ho steso sopra il piumone e per essere sporca significa che il nostro integerrimo garante della legge, scuote il tappeto sul mio terrazzo. Sento l’ira crescere come un’onda impetuosa dentro di me.
Adesso so che il mio unico scopo è procurarmi le prove di questo scandalo Vicidominigate e mostrarle, porta a porta, a tutti gli oppressi da questa meschina dittatura. Mi sento il Che Guevara di Via Etruria.
Mi butto giù dal letto e cerco su Internet una macchina fotografica che funzioni bene pure di notte: sono sicuro che Vicidomini violi di notte l’art. 9 comma 3.
Poi, solo per calmarmi, cerco in rete il modo di procurarmi un veleno per uccidere quell’odioso animale. La tanto agognata Revolución non può avverarsi senza spargimento di sangue.
Gianluca Papadia è autore di molti racconti vincitori di premi letterari. Ha pubblicato il libro:
- La rabbia eaudita. 32 consigli per combattere l’ira – raccolta di racconti, Amazon, 2018
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