
Le opinioni superbe . SUPERBIA
Il tempo (presente), perché…
In 31 Luglio 2021 da Redazione Seven BlogL’estate di Seven ha come tema il “tempo”. Luglio 2021 è il mese dedicato al presente. Dalla redazione, raccontini superbi!
da Debora
Stream of consciousness
«Tolga le scarpe. Le scarpe, ho detto».
La voce femminile dal tono perentorio e freddo mi mette a disagio. Le tolgo. Sono scarpe nuove, lucide, nere. Le ho indossate qualche ora prima per l’occasione. Guardo le punte e mi dico che è una liberazione levarle, e nel frattempo mi chiedo se i calzini di nylon saranno ben puliti. Lei è solo una voce e un ologramma confuso. La vedo ma la luce mi acceca, non colgo le forme, le espressioni, non capisco chi sia. Nessun odore, nessun senso. Mi chiedo che fine abbiano fatto i sensi, a proposito, quando abbiamo smesso di usarli, quando tutto è diventato così sterile.
«Ora tolga i pantaloni». Mi imbarazza la richiesta.
«I pantaloni?».
«È abbastanza chiaro l’ordine? Tolga i pantaloni».
Parla proprio a me, non è un ordine registrato. Non usa l’infinito come il tenente Kura. Sono io il suo interlocutore.
Tolgo i pantaloni. Sono leggeri, neri anch’essi, due tasche vuote, nessuna cintura. Li piego, perdo tempo, li appoggio a terra accucciandomi.
«La maglietta. Tolga anche quella».
Il mio spogliarello non vede la parola fine. Mi sfilo la t-shirt in tessuto lucido con un piccolo logo sulla spalla. Piego anche questa, con calma, ma lei non pare spazientirsi.
Irrigidisco i muscoli delle spalle e delle braccia, poi rifletto su questa cosa. Perché? Vorrò mica farle colpo? Fare colpo su un ologramma?
«Stia fermo». Compare una piccola luce. «E ora si volti completamente. Fermo così. Bene. Ora ruoti a destra, stia in posizione per cinque secondi – ma conti nella mente, mi raccomando – e subito dopo ruoti a sinistra e fermo per altri cinque. Mi ha capito?».
Dico che ho capito ed eseguo gli ordini. Poi la voce riprende a parlarmi. «Signor Coslovich, ora è pronto per la seconda fase del programma: il trattamento neurovitale».
Hanno smesso di chiamarmi Ingegnere. Signor Coslovich. Sono diventato un’entità inferiore a loro.
Il silenzio ora sbatte contro l’acciaio della stanza. Sono semi nudo e già stanco, la luce mi acceca, comincio a sentire freddo. Rimango immobile, un bravo cagnolino in attesa degli ordini del padrone. Cosa c’è intorno a me per farmi capire se voglio davvero questa cosa? Entrare in questo sistema impersonale e inumano? Nulla c’è. Acciaio, luce. I miei abiti ancora a terra, piagati alla bell’e meglio. Sull’acciaio davanti a me vedo la silhouette sbavata di un uomo giovane e forte, che non sa cos’ha scelto, un’ombra di sé stesso e del mondo. Mi pare qualcuno che non riconosco più.
Alle mie spalle, una folata di vento mi destabilizza qualche secondo, mentre il suono frusciante della porta che apre automaticamente le pareti mi fa capire che è entrato qualcuno. Qualcuno in carne e ossa.
«Signor Coslovich. Può vestirsi».
Non perdo tempo, mi vesto senza voltarmi. La voce è la stessa di prima, quella dell’ologramma che mi ha fatto spogliare. E ora ha finito con me. Ha già valutato la mia obbedienza, ed è pronta ad avere il mio cervello, il mio Quoziente Intellettivo superiore alla media che di certo sarà utile a qualche scopo umano.
Mi sono sempre chiesto come l’avrei utilizzato. E la scelta ricade ora su altri. Su un ologramma che mi ha ordinato di spogliarmi e di rivestirmi.
Porta i tacchi. Lo capisco dal rumore dei passi sul pavimento di acciaio. Si avvicina, qualche odore ce l’ha, impercettibile da cogliere. Chiudo gli occhi per qualche istante, così posso concentrarmi meglio sull’olfatto.
Sì, sa di agrumi: arance, forse, e spezie. Un odore aspro, al contrario della sua voce. La sua voce ha una leggera inflessione francese. È musicale, le erre sono fricative uvulari, eppure producono una vibrazione che apre il suono delle altre lettere. E il tono è caldo, basso e calcolato.
«Siamo pronti per la fase due, Signor Coslovich. Gli operatori procederanno con il test per valutare le sue facoltà cognitive. Non sarà invasivo, non si preoccupi. Nei prossimi giorni verrà la parte più importante del programma. Avremo modo di parlarne».
E i tacchi si fermano. Le gambe composte, strizzate nelle calze scure, e più su, la vita sottile cinta da una gonna nera a tubino. La blusa leggera, bianca, una spalla scoperta su cui non cadono i capelli rossi, tutti raccolti sull’altro lato. La percorro lentamente, e cerco di rimanere freddo nel registrare le sue labbra lucide, le efelidi intorno al viso, il naso all’insù, gli occhi verdi. Le rughe di espressione, marcate intorno agli angoli della bocca (è abituata a ridere?) e tra le sopracciglia (pensa troppo?), lo sguardo fisso e austero e gli occhi brillanti e scaltri. Registro.
«Signor Coslovich, segua l’assistente vocale. E benvenuto al Neo Esercito».
da Fabio
Invisibili
Camminare per le strade della mia città ed essere colto da una botta di demagogia.
È dura quando ti coglie.
Sapessi che fame che ho, vorrei un panino: me lo sono sentito dire da un anziano seduto in prossimità dell’uscita di un cortile, uno tra i più suggestivi della mia città, quello che se appena alzi gli occhi vedi tre torri che sfidano il tempo. Questo anziano gli occhi, invece, li aveva bassi, perché dirlo costa, e tanto.
Venti passi, altro che cento, un altro si divorava una di quelle insalate pronte del supermercato. Noncurante di chi lo potesse guardare, evidentemente oramai è abituato, una volta terminato ha pulito per bene il contenitore, perché non si butta niente, ha messo insieme le sue tre cose e se ne è andato.
E mentre stai lì seduto in attesa di un appuntamento di lavoro noti altri capelli bianchi che si aggirano attorno alla macchinetta del posteggio: qualche imprecazione a bassa voce, perché questa volta è andata male e non resta che andare via con una vecchia bicicletta un po’ scassata (dalle mie parti si chiama bàlon).
Non sono gli invisibili, sono quelli che non vogliamo vedere.
E ti prende la demagogia, perché si sente parlare solo di processi-condanne-giustizia, di nomine e nominati, di dittature, di intellettuali ed esperti, di riforme, di buonsenso, di dibattiti, di ripartenze mentre a essere fermo è il cuore ma non quello nel petto.
E ti prende la demagogia e pure un po’ di magone.
da Manuela
La ballata di una stronza – dentro l’insensato presente
Tu che cerchi l’armonia in un tampax di media grandezza usato. Perché sai
che i meridiani sono una realtà contingente. Tu che vedi tuo marito senza mutande. Il corpo che appartiene a un flusso di mare. Tu che allarghi le cosce con la stessa rassegnazione di una pia che stringe il rosario. Tu che cerchi il grido in un sogno. Che tuo marito dorme tranquillo mentre fai incubi di cristallo. Un tipico scontato labiale che non hai mai sopportato. Che tuo marito dorme tranquillo tranquillo. Ripetizione cercata. Tu che sai che l’incanto si trova nel difforme. Che una casa è la spietata machiavellica prigione del tempo-ragione. Che è meglio sbriciolare rose nel buio e stillare profumo di carne fresca dentro un vuoto di tazzina. Che il fumo è donna non amata. Che l’uomo è la bestia prescelta da dio. E tutte le non-bestie suonano l’infelice armonica del giorno. Tu che sai che la donna desidera un solo bacio per non morire dentro. E lingua che affonda le irradia un allegro veleno. Tu che sai che l’amaro è semplicemente amaro e che qualcuno piange sopra neve soave. Tu che sai che la roccia non è solidissima come si dice. Che il presente vale quanto la vita di un aborto spontaneo. Che ieri e domani non sono un cazzo mentre le Onde della Woolf rappresentano tutto. Che tuo marito fa sogni tranquilli. E tu che gli sussurri a un orecchio dormiente. Che non lo ami. Che non lo hai mai amato. E ringhi una felicità fottuta. Tu che sai che una scoreggia politicamente corretta può diventare letteratura. E tu che sai a quale opera mi riferisco. Come la merda di Manzoni che rimane capolavoro nell’arte-lattina. Tu le sai queste cose e le scrivi su un foglio bagnato di risate. Tu che aspetti l’indecisione del fagiano e brulichi minacce di cera ai cristi-morti-in-una-non-croce. Che poi ti domandi se davvero la croce ha il peso di un cuore bruciato. Che la ballata di una pazza può solo suonarla un pazzo d’amore. Il pazzo che odia le pause ecco perché è pazzo. Che vuoi calibrare il suono della tua voce al ritmo di un proiettile Glock sparato. Che sai che questo pezzo si potrebbe anche cantare. Che spacca. E che le crepe sono brillanti su un cavallo d’avorio. Che la gola di un narcisista arreca danno alla sua Eco. Che il narcisista dorme nel tuo letto e ancora di nuovo che il solito narcisista diventa tutti gli imperatori morti della Cina morta. Ecco il cristallo di piombo. Tu che cerchi tutto questo nel deserto wallaciano torbido fino al non-respiro. Tu che sai che l’assenza è l’intervallo di uno spasmo e che il capriccio lo vedi in quella diva senza denaro. Tu che sei la diva o la stronza. Che del resto a nessuno importa. Tu che hai il germe del fiume dentro. Che tuo marito dorme in un sogno e che il sogno è reale quanto lo sono le regole dell’Eschaton. Tu che non vuoi più stare e ci devi stare. Tu che fingi di amare e fingi di non odiare nessuno che tu dichiari essere speciale.
da Gianluca
L’oroscopo del giorno
Ilario non era mai stato bravo a concentrarsi. Da bambino gli avevano diagnosticato una sindrome da deficit dell’attenzione ma i suoi genitori avevano sempre sottovalutato il problema.
«È solo un bambino iperattivo e molto impulsivo», ripeteva la madre quando le maestre gli facevano notare i comportamenti del figlio.
Suo padre aveva provato a iscriverlo a tutti i corsi di sport che c’erano al paese ma, da tutti gli allenatori, aveva ricevuto sempre la stessa risposta: «Ha sempre la testa fra le nuvole e non ascolta mai quello che gli dico».
«È logorroico, non sta mai zitto e risponde in modo irruento senza nemmeno ascoltare la domanda» era il giudizio che aveva usato il prete per allontanarlo dalla parrocchia.
«È troppo vivace, si arrampica su tutto, salta da una sedia all’altra» erano i commenti dei responsabili di tutti i centri per le attività extra scolastiche.
L’unica cosa che gli interessava davvero era l’oroscopo e ogni mattina correva in edicola per farselo leggere.
Per Gino, il proprietario dell’edicola, era un appuntamento fisso e, quelle poche volte che non lo vedeva arrivare, chiamava a casa di Ilario per leggergli l’oroscopo al telefono.
Erano gli unici minuti della giornata in cui Ilario restava immobile ad ascoltare quello che gli veniva detto.
«Perché ti interessa tanto l’oroscopo?», si lasciò scappare l’edicolante quella torrida mattina di luglio.
«Perché l’oroscopo è l’unica cosa che cambia ogni giorno. Tutto il resto è sempre uguale», rispose il ragazzo e, dopo averlo salutato, tornò alla sua vita monotona e priva di interesse.
da Francesco
Contatto radio
Cascasse il mondo, ogni tanto ci vengo. Non appena arrivo all’ingresso, i miei muscoli iniziano un preciso e meccanico protocollo: aprire la porta, togliere il cappello, salutare velocemente il titolare, girare a sinistra nella saletta più piccola, dirigersi verso il tavolino tra la finestra e il ficus, appendere il cappotto sullo schienale della sedia, sedersi, ordinare due pasticcini. Sfregandomi il doppio mento, sperimento con cura coppie diverse: sfogliatella – cannolo, babà – crostatina alla frutta… è come scommettere sapendo di vincere sempre. Ah, sta arrivando il piattino: oggi bignè e meringa. Ragazzi, che meraviglia! Addento: sono già in orbita. La sensazione lievemente pungente della temperatura fresca della crema mi ricorda quei pomeriggi nebbiosi di novembre. La sinuosa irregolarità della meringa è un regalo della luna, il suo bianco accogliente è un jolly per l’arredamento e fa pendant anche con il vaso del ficus. Che armonia, la pienezza che nasce dai sensi! L’ultimo pezzo. È finita: oh no, doveva succedere. Sto tornando sulla Terra. Houston, che ore sono? Riprendo il contatto radio con l’altro presente. Il piattino è vuoto. Mi alzo, mi abbottono a fatica il cappotto, pago alla cassa e ritorno alle insalate della mia dieta.
Stiamo progettando una rivista letteraria per aiutare le nuove voci a emergere. Abbiamo sempre la stessa vision: diffondere cultura e talento.
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