DiarioXY . LUSSURIA
Dio, Buddha, il Colonnello Sanders
In 20 Giugno 2020 da Chiara MenardoCapiamoci. Non è una situazione disprezzabile, la mia, tutt’altro. Non ho nome, non ho forma, non conosco lo spazio o il tempo. Mi aggiro tra le pieghe dei mondi e dei tempi per sistemare le cose che sono andate fuori posto.
Né Dio, né Buddha, ho detto a quel tizio per provare a spiegargli chi sono e perché.
Ci ho provato. Forse una fiammella ha illuminato per un attimo la sua consapevolezza – un po’ misera, a livello base, diciamo – ma non è che ne sia poi così certo. Per me è sufficiente che abbia fatto quel che doveva, quando doveva, perché doveva.
Del resto, francamente, mi importa poco.
Vagare alla ricerca di imperfezioni da accomodare non è un brutto mestiere. Quando ne trovo una mi do da fare quel tanto che basta per dirigere le bocce, fare in modo che si colpiscano in un punto preciso, in un dato momento, ed è fatta. Tutto a posto, via verso la prossima avventura.
Emozionante, dite? Non lo so. Non avendo forma né cuore, non ho emozioni. Io sistemo, non è il mio compito dire cosa sia giusto o sbagliato. Questo mi tocca fare, questo faccio.
Però è un gran lavoro, il mio. Ci vogliono creatività, immaginazione, pazienza, tempismo. Che presuppongono, secondo i vostri criteri, emozioni e giudizi. Ma io non ho emozioni, non esprimo giudizi: cosa mi importa del giudizio, che tanto sono ovunque, comunque, non ho passato né futuro perché sono in tutti i tempi in qualsiasi momento?
Bel dilemma, vero? A essere proprio franchi, non mi importa neanche granché, del vostro dilemma.
Cioè, vi faccio un esempio: è moralmente corretto, secondo i vostri canoni e parametri, trovare una puttana da urlo per un ometto mediocre con il berretto da baseball e la camicia hawaiana, darmi da fare per regalargli tre orgasmi (tre, uno in fila all’altro: mica bruscolini) in modo che poi mi segua come un cane affamato segue un pezzo di arrosto, trovi il sasso e lo porti dove dev’essere in un dato momento del tempo e dello spazio, così che possa succedere quello che poi dovrà succedere?
E no che non lo è, diamine, mi direte. Almeno, non per voi, credo. Cioè, sarà stata anche una bella sventola, ma comunque la dà per denaro. Vende il suo corpo, non è mica bello. Anche se lo fa per pagarsi l’università, non lo è.
Bene. Non me ne frega niente. Ha funzionato? Ve lo dico io: sì. Ecco, allora va bene. Non è neanche per un bene superiore: a me, del bene e del male, importa il giusto. Cioè, poco.
Il Signor Hoshino doveva fare delle cose. Le ha fatte? Ve lo dico io: sì.
Il Signor Nakata doveva farne altre. Le ha fatte? Ve lo dico io: sì.
E allora cosa importano il bene e il male, o che io mi presenti con la forma del Colonnello Sanders, quello del pollo fritto? Magari alla prossima missione potrei essere E.T.
Oppure Michelle Pfeiffer. Sventolissima.
O, ancora, una vecchia rugosa con la dentiera che balla e i reumatismi. O un vecchio, eh, per carità: non ha mica importanza, non è questo il punto, quello che voglio far capire.
Potrei essere Keanu Reeves. Sventolissimo, per la gioia delle signore.
Tanto, io non ho forma né nome. Di conseguenza, non ho neanche sesso. Ed è una cosa ganzissima: evita un sacco di problemi che, invece, affliggono voi.
Non avendo emozioni, non provo desideri: c’è solo la necessità, che è cosa diversa. E non è nemmeno la mia, di necessità.
È più, come dire, un così dev’essere universale. Perché? Vi chiederete.
Perché sì, è così e basta.
Il pacchetto non ha importanza. Basta che si rimettano a posto i dettagli sfuggiti al controllo, il tempo piegato che deve distendersi ancora una volta e tornare a marciare come stabilito. Che tutto giri di nuovo come un orologio, senza intoppi né ghirigori bizzarri. Chi ha cominciato, causando la necessità del mio intervento, vi chiederete?
E che ne so? E poi, è così importante?
Ho visto la faccia di Hoshino, quando ho provato – arduo compito, invero – a spiegargli che le cose stanno così, che lui mi serviva, senza domande o risposte da dare, per un compito immenso.
Ecco.
Non ha capito. Forse un’idea, seppur vaga, gli è balenata quando tutto è finito, alla conclusione del compito che gli avevo assegnato ma, potete scommetterci, è svanita in un battito d’ali.
Ce l’ha fatta, l’ometto, sono molto fiero di lui, per quanto possa essere fiero uno come me, senza forma né nome. Però se l’è cavata. E questo è importante. Cavarsela anche senza capire. Non sempre è necessario comprendere: le cose che vanno fatte si fanno, senza troppe domande o pretese. Hoshino è venuto con me – dopo che gli ho procurato tre orgasmi con una puttana da urlo, va bene. Un piccolo incentivo, un premietto è utile, suvvia -, e adesso non sarà più lo stesso. Lui ha rimesso a posto le cose e, portando a termine il compito che gli avevo assegnato, ha messo a posto anche se stesso: bello, vero? Non sarà mai più il vecchio signor Hoshino a parte, forse, quelle orrende camicie hawaiane che si ostina a voler indossare. Anche senza forma né nome, anche se non ho emozioni, posso tranquillamente dire che sono davvero brutte, ma se lui è contento…
Così qui ho concluso, ora torno ad aggirarmi nel mio eterno ovunque, alla ricerca del prossimo compito.
Che potresti essere tu.
Il libro…
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Titolo: Kafka sulla spiaggia
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Autore: Murakami Haruki
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Editore italiano, collana, traduttore, anno: Einaudi, Super ET, Giorgio Amitrano, 2013
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