
Le storie superbe . SUPERBIA
Doppio – II Parte
In 29 Novembre 2015 da Sara MillaII
E di Anna, che pensavo?
Me lo chiedevo ogni tanto, quando riprendevo il controllo della situazione, quando l’estraneo si allontanava, quando risalivo sul metrò e raggiungevo la parte decente della città. Si socchiude la porta, e mia moglie mi scruta. È molto che non vedo bene in volto mia moglie. Passavano gli anni e mi sembrava sempre uguale, doveva capitarci tra le mani una foto per misurare la distanza che avevamo percorso. Ora è molto evidente, e forse lei questa evidenza la rimugina da tanto tempo.
– Hai perso le chiavi? – mi chiede e non si sposta per lasciarmi entrare. Rimane immobile come una pietra. Mi guarda con il sospetto che si riserva al venditore di polizze. Dico di no, sorrido, mi appoggio con il gomito allo stipite, mi passo una mano tra i capelli:
– No, volevo che tu mi aprissi. – Ora io so che se faccio un certo sguardo e sorrido in un certo modo, posso far abbassare gli occhi a una donna. E so che se non funziona io sono preso per sempre. Con Anna non funzionava, stava troppo male per perdersi in preamboli, e mia moglie aveva sempre finto di non impressionarsi. Ma stasera lei mi guarda fissamente:
– Sei sporco – mi dice, e finalmente mi lascia entrare. Mi precede. Chiudo la porta, respiro. Ora sono al sicuro, per qualche ora forse. Devo pensare. Lei mi aspetta vicino alla sala da pranzo.
– Hai il viso macchiato, e anche il cappotto. Cosa è accaduto? – Mi giro verso lo specchio sopra il camino. Ho delle macchie brunastre sulla fronte, e sul bavero del mio perbene cappotto di cammello. Mi avvicino di più allo specchio, perché sono vecchio, perché sono settimane che assumo sostanze con la mia amante, che le trasporto perché minacciano di rovinarmi, perché non ho fatto che rotolarmi in quello sporco per mesi, e tu, con il tuo occhio pulito, non te ne accorgevi. Non vedo bene.
– Portami un bicchiere d’acqua, per favore -, e mi lascio andare sulla poltrona di marocchino, davanti al fuoco. C’è della legna in casa mia, e il riscaldamento in tutte le stanze. Degli stucchi ai soffitti, e lo specchio che mi riflette, è del cinquecento. O almeno così dice mia moglie. Il pavimento in casa di Anna è di un vecchio linoleum azzurro. Mi sono piegato verso di lei. Prima di salire avevo preso delle pasticche, e ancora prima, nel mio studio mi ero iniettato qualcosa. Volevo arrivare già trasformato, trovare ardente quello squallore, indagare altre possibilità, il coraggio per esempio, o per meglio dire, nessuna paura, quando spuntava quell’uomo a minacciarmi, o a guardarci. Invece Anna era lì, indifferente. Allungavo le mani per coglierla, lei sembrava un sasso sul fondo dell’acqua, irraggiungibile. Forse allora, l’avevo toccata, e poi mi ero passato le mani sul viso, per la disperazione, il disorientamento. La mia macchina l’avevo trovata aperta, ma non ricordavo d’averla chiusa.
– Portami dell’acqua! – Sto gridando. E lei è ancora ferma, che mi guarda. Vorrei che si avvicinasse, e mi togliesse le macchie dal viso, e mi mostrasse della pena. I suoi occhi sono più piccoli, le palpebre li gravano, rendendoli penetranti.
– Che vecchio sporco -, mormora. Sollevo la testa e la guardo stupito. Lo aveva detto, un giorno, in quello stesso modo, di uno che le aveva dato fastidio. A un nostro appuntamento era arrivata arrabbiata, la sua biondezza era spaventosa, carica di luce. Ora lo diceva a me.
– Non sei cambiata tu – le dico. Lei non si avvicina. Voglio dell’acqua, le vene mi bruciano, e poi voglio lavarmi. Mi guardo le scarpe, e sono incrostate della guazza del banlieu, e del sangue di Anna.
– Cosa ti mancava – chiede mia moglie.
– Ah non so – rispondo e mi viene da ridere. Io non ero là, ci andavo in visita di un uomo sconosciuto, cui piaceva bere, e drogarsi, fare le cose che raccomandavo continuamente di non fare ai miei ricchi clienti. Mi piaceva Anna, così scura, arresa, quanto invece lei sapeva di giorno, di bucato, di sano, ora anche di rotonda maturità, così carica di buona salute, solo più silenziosa, seduta in cucina al buio, e la tavola apparecchiata in salone. Seduta al buio. La guardo.
– Dovevi proprio togliermi tutto – mi dice.
– Oh ma smettila, non ti ho mai tolto niente. Invecchiavamo, e ognuno aveva la sua vita. Per te non ero che una macchina per fare soldi. Non so quand’è che hai smesso di cercare altro da me.
Che discorsi stupidi. Non ho il coraggio di dirle la verità, ma di quel che dice uno come me, nemmeno io mi fiderei. Comunque ora sento che non ho mai smesso di amare mia moglie. Non era questo, non era l’amore che cercavo, al contrario, cercavo l’odio, il disgusto, l’abisso. Non so perché. Avevo le chiavi di tutte le porte ma di quella no. Quando qualcuno mi ha aperto mi sono infilato dove per procedere bisognava strisciare. E l’ho fatto. Ora mi dice che ho scavato un solco, in tanti anni. Non essermi mai accorto della sua depressione, quale depressione? Perché non me ne hai parlato. Non ascoltavo, mi chiudevo nello studio a drogarmi. Lei sapeva tutto, qualche volta l’ho fatto in casa mia. Ho portato anche Anna qua, quando tu eri in vacanza. Lo sai perché tutti ci hanno visto. Caspita, pensavo di essere invisibile. Non so perché, ma ho come la sensazione che lei non stia mai ferma, a volte mi sembra vicinissima, o addirittura credo mi parli dalla mensola del caminetto. O lei non parla, sono io che penso. Infatti intuisco la sua figura seduta in cucina, vedo le gambe, la gonna sotto il ginocchio. Bisbigliano, parlano, la consolano. Ma c’è qualcuno in casa oltre noi? Non ho sentito il campanello. Vedo un movimento di persone in divisa, altri in borghese. Nella mia macchina c’era del materiale buono per mettermi a riposo per molti anni. Debbo confessare? Ho ucciso Anna? Sono stanco, non sarei in grado di nuocere a nessuno. Mi conosco bene. Conosco bene uno dei due, l’altro non so. Potrebbe essere, che io sia entrato, che io abbia trovato Anna con un altro, che insieme mi abbiano deriso, che io sia stato infine cosciente del delirio umiliante in cui mi ero cacciato e che per un attimo non mi piacesse più. Può essere che io mi sia liberato di loro. Lei protendeva le mani verso di me, erano come pallide meduse, e cadeva, nel fondo buio dell’acqua, dove riposa ogni segreto.
La prima parte di Doppio la puoi leggere qui
Sara Milla è educatrice, scrittrice e organizzatrice di eventi culturali e mostre d’arte a Roma, dove vive. Ha pubbicato due libri:
- Il rischio della formica – Epika edizioni
- Il rifugio – Ottolibri
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” Doppio” è paragonabile a una giornata felice che sul far del finire si rallentano i momenti per trattenere il gusto più a lungo possibile. Un racconto con un significativo impatto emotivo trattato con eleganza. La capacità narrativa dell’autrice produce in chi legge l’immagine dei personaggi, ne fa percepire gli stati d’animo facendo nascere il dubbio nel lettore di aver avuto tra le mani un libro o di aver guardato un film.
Grazie