
Amatorius Secretum . LUSSURIA
Hemingway e l’erotismo a Venezia
In 26 Settembre 2015 da Debora Borgognoni… Di là dal fiume e tra gli alberi
Ho amato soltanto tre donne e tre volte le ho perdute. Si perdono come si perde un battaglione: per errori di giudizio; ordini che è impossibile eseguire, dati in condizioni impossibili. Anche per la brutalità. Ho perduto tre battaglioni nella mia vita e tre donne, e ora ne ho una quarta, e la più bella, e come diavolo andrà a finire?
Come va a finire non ve lo diciamo. Quanto erotismo c’è nel mezzo proviamo a interpretarlo.
Lo strappiamo alla decadenza onirica che Venezia ci regala, anche nella realtà, anche passeggiando per le calli incastrate tra i palazzi umidi e che odorano di muffa, e che inevitabilmente ti fanno pensare che Thomas Mann mica aveva torto a intitolare così il suo libro più celebre.

Venice – ph © Debora Borgognoni
Ma qui siamo in compagnia di Ernest Hemingway, lo stesso di Festa mobile, che cita senza pietà. Lo stesso delle piccole vigliaccherie che abbiamo già raccontato a proposito di F. Scott Fitzgerald e Fernanda Pivano, e che poi sulla carta non si sforza di nobilitare.
Eppure in Di là dal fiume e tra gli alberi il suo sguardo è più introspettivo, cinico ma disilluso, come cinica e disillusa è la vita.
Chi è Richard Cantwell, che nell’incipit ci sembra un semplice cacciatore? I suoi pensieri, i suoi anni, il peso fisico, le ferite e i desideri andati non ci fanno dare una secca risposta.
Non era un ragazzo. Aveva cinquant’anni ed era colonnello di fanteria nell’esercito degli Stati Uniti, retrocesso dal grado di generale.
Ma a noi piace dire che Richard è un uomo innamorato di un’illusione, o di un passato mai vissuto. Che poi è la stessa cosa.
Poi lei entrò nella stanza, splendente di giovinezza e di slanciata bellezza e del disordine che il vento le aveva fatto nei capelli. Aveva una pelle pallida, quasi olivastra, un profilo che avrebbe colpito il cuore di chiunque, e i capelli bruni, di fibra vivace, le cadevano sulle spalle. «Ciao, bellissima», disse il colonnello.
Ed eccola la contessa Renata, la nobile ragazza del colonnello. Finalmente, a quasi metà libro, Hemingway ce la presenta.
E poi le pagine sono piene di lei. Di un’ingenuità che è molto donna, e che per questo è solo finta ingenuità.
«Sei cara,» disse «sei anche molto bella e ti amo».
«Lo dici sempre e non so che cosa significa, ma mi piace udirlo».
«Quanti anni hai adesso?»
«Quasi diciannove. Perché?»
«E non sai che cosa significa?»
«No, perché dovrei saperlo? Gli americani lo dicono sempre prima di partire. Pare che per loro sia necessario. Ma anch’io ti amo molto, qualunque cosa sia».

Gondole – ph © Debora Borgognoni

Shadow – ph © Debora Borgognoni
Man mano l’amore, col suo strascico oscuro e con quel significato incomprensibile un po’ per tutti, a qualsiasi età, diventa passione, e poi desiderio di possessione e rifiuto di questo. Diventa freddo, caldo, ma sempre più grigio, immerso nelle nebbie mattutine e nelle parole che giocano sull’ironia e sul doppio senso per nascondere la morte. Renata e il colonnello sono vicini e lontanissimi.
Montarono in gondola e vi fu, come sempre, la stessa magia dello scafo leggero e l’improvviso sbandamento provocato dal movimento, e poi la sistemazione nell’intimità buia e poi una seconda sistemazione quando il gondoliere incominciò a remare, facendo inclinare su un lato la gondola per poterne avere un maggior controllo.
«Ecco» disse la ragazza. «Siamo a casa nostra e ti amo. Per piacere baciami e mettici tutto l’amore».
Il colonnello la strinse rovesciandole il capo e la baciò finché nel bacio non rimase che disperazione.
Hemingway non ci dà più tempo per pensare all’amore tra un cinquantenne che ha fatto la guerra e una ricca diciannovenne che è tenuta a preoccuparsi soltanto del giudizio dell’istitutrice che le insegna la lingua inglese. «Selvaggia? O trascurata, spettinata? […] Trascurata è quando la sera non si spazzolano i capelli con cento colpi di spazzola». (Qui ci viene in mente che magari anche Melissa P. abbia trovato erotismo in questa storia).
Il colonnello udì lo sciaquio delle onde e sentì il vento tagliente e la ruvidezza familiare della coperta e poi sentì la ragazza fredda e calda, e bella, e con i seni eretti sotto la mano sinistra che li accarezzava lievemente. Poi le passò la mano ferita nei capelli una volta, due volte e tre volte e poi la baciò e fu peggio che la disperazione.
«Per piacere» disse lei, quasi sotto la coperta «lascia che ti baci io, ora».
«No» disse. «Ancora io».
Il vento era molto freddo e sferzava loro il viso, ma sotto la coperta non c’era vento e non c’era nulla; soltanto la mano rovinata che cercava l’isola nel grande fiume dalle alte sponde ripide.
«Ecco» disse lei.
Allora egli la baciò e continuò a cercare l’isola, trovandola e perdendola e finalmente trovandola davvero. Per il bene e per il male, pensò, e per il bene e per tutto.
Alcuni appunti sul libro:
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Titolo originale: Across the River and into the Trees
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Autore: Ernest Hemingway
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Prima edizione originale: editore Scribner, New York, 7 settembre 1950
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Prima edizione italiana: Mondadori, Milano, 1965 – collana Medusa – traduzione di Fernanda Pivano
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Curiosità: il titolo è tratto dalle ultime parole del generale confederato Stonewall Jackson
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