IRA . Le Giornate Mondiali
#respectACTION
In 25 Novembre 2019 da Debora Borgognoni
Centoquarantadue donne uccise nel 2018. Lo 0.7% di femminicidi in più in Italia in un solo anno rispetto al precedente. Un reato ogni quindici minuti nel 2019.
Nel ventesimo anniversario della Giornata mondiale contro la violenza di genere, giornata istituita dall’Onu nel 1999, SevenBlog – redattori e lettori – si unisce al Comune di Spessa per il giorno del #RespectACTION che vede protagoniste le cinque Sindache del Basso Pavese – Debora Borgognoni, Spessa; Simona Granata, San Zenone al Po; Daniela Gatti Comini, Valle Salimbene; Mara Riboni, Torre de’ Negri; Ginetta Granata, Badia Pavese -, il Centro Culturale Artemista di Spessa (PV), venti studenti Erasmus+ di Grecia, Serbia e Italia e il Centro anti-violenza LiberaMente.
da Chiara Menardo con “Sparsa nel vento”
Se l’è cercata, che zoccola a fare quelle porcherie…
Me la sono cercata, sono una zoccola, ho fatto un sacco di porcherie… L’ho lasciato. Si è incazzato, mi ha minacciata. Non immaginavo facesse sul serio, se no sarei rimasta con lui.
Per strada sguardi, lingue di fuori, mani addosso. So che ti piace, lo vuoi?, e si toccano il pacco.
Me la sono cercata, che zoccola a fare quelle porcherie con l’uomo che una volta amavo. Ma ho solo chiuso una storia, può capitare che l’amore sfumi e sfiorisca, no?
Lui gira per strada e nessuno ridacchia, si dà di gomito o gli urla Va’ come scopi bene, lo dai anche a me?
Lui non è me, che me la sono cercata, che sono zoccola, che ho fatto le porcherie.Lui ha fatto dei video mentre scopavamo e mi ha sparsa nel vento, sulle chat di WhatsApp.
da Rita Stanzione con “Eri certo d’amarmi”
Dormivo. Mi hai soffiato sulla bocca il dominio. Hai inspirato dai miei occhi assopiti i sogni che costruivano. Strozzatura del rosa incarnato su me, urlavi veleno di appartenenza. La tua forza rovente, il lato oscuro della “persona per bene”. Mi hai premuto addosso il possesso con incisioni a fuoco. Rosse come ibischi di maggio, e viola bufera, e nero di mancamento. Dalla pelle al midollo. Mia anima stroncata, non lasciarmi. Ti sei sentito giovane, invulnerabile, estirpandomi anche il pensiero. Il mio corpo era accanto disteso, agnello per gli dei. Ridevi, mentre eri certo d’amarmi, così, perché dormivo.
da Diego Bello con “Nel lago senza vento”
Si allarga sempre più la macchia rossa, l’enorme lago senza vento. E tu eri il mio riparo, la mia brezza, dentro il midollo, ai timpani affilati. Mi dava il palpito l’afa rafferma e l’ardere della mia carne al vuoto. Ero un gheriglio trito in vortice di spine, privo dell’aria. E tu foglia che plana su altra sponda, tu mi eri inverno ormai, di pioggia che non cade.
Strappata poi la stipola dal fusto, giaci rigonfia d’acqua inerte, in trappola. Non tremi più sulla mia pelle. Così il mio volto è calce su una spatola, non trova specchio alcuno, è niente, come il perdono che non posso chiedere. Ti ho spinto al nulla, lì sulla lama, in quella notte che continua dentro, con me nel buio senza fine.
da Caterina Levato con “Storia di una principessa sapiente”
Sono qui sul patibolo, un idolo per molte donne, una sconfitta per Massimino.
Folgorato dalla mia bellezza, aveva deciso di avermi a tutti i costi, anche contro il mio volere.
Ricordo il suo stupore, come poteva una misera donna opporsi alla volontà di un Imperatore?
In questa stessa piazza mi ero opposta a lui e ai suoi idoli e, per piegarmi, convocò cinquanta saggi, ma non mi sopraffecero. Glieli restituii convertiti al mio credo.
Mi chiese nuovamente in moglie, ma ero ferma nella mia decisione: non volevo giacere con lui, provavo ribrezzo. Al colmo del suo furore, mi condannò ad essere dilaniata dalla ruota. Un fulmine venne in mio soccorso ed essa si spaccò.
Non fui salva, la sua violenza ricadde ancora sulla mia persona; mi fece fustigare e chiudere in prigione, ma non ottenne un mio sì. E così, pur di non ammettere la sua impotenza, ordinò che fossi decapitata.
Ed eccomi qui vittima del volere di un miserabile la cui bramosia non ha conosciuto limiti. Tra poco il mio capo rotolerà nella cesta, e sarò un’altra vittima della violenza su di noi donne.
da Manuela Capotombolo con “Il gioco del baro”
Alice giocava nella sua casetta di plastica.
Io, seduto sotto il gazebo, bevevo una limonata. Fresca.
Una cascata di riccioli dorati si affacciò alla finta finestrella: “Vieni?”, mi chiese.
“Bara la faccia!”, gracchiò l’altra voce frullando le ali.
Ero già davanti alla porticina, e sudavo.
Alice mi aprì. Sorridente.
L’uccellaccio a due teste comparve sulla mia spalla: intrise l’aria di tanfo animale.
Lei cadde sull’erba.
Aveva gli occhi sbarrati e un filo di voce per sussurrare appena: “E mamma?”.
La gonnellina era ancora tirata su.
“Adesso non c’è. Ma io sarò sempre il tuo cavaliere. Il tuo papà!”.
da Elisa Malvoni con “Sottopasso”
Ti sentivo
avvicinarti nel senso opposto,
a me esporti pur senza un nome
con la giacca e la cravatta a posto,
con viso bonario, mite dall’auto:
“Ciao bella,
come ti chiami?”
E l’età,
non la chiedevi.
L’immaginavi superficialmente
come ignoravi se rincasassi
dalle superiori o dalle medie?
o l’immaginavi nitidamente
come figuravi che m’arrendessi
nel sottopasso e sotto la gonna?
Quella costanza
aveva la calma di chi poteva
anche pagare una conseguenza.
da Gianluca Papadia con “Il suo amore”
Arrivò alle sue spalle senza far rumore, al buio, senza darle nemmeno il tempo di reagire. Le sfilò i vestiti con un gesto veloce e lei si lasciò trasportare in quel vortice di desiderio. Sentì le sue mani esplorare il suo corpo indifeso, la sua bocca affamata sussurrare più volte il suo nome. Lo strinse a se per sentirne il calore, per placare la furia di quella passione. Fu sul punto di urlare ma riuscì a reprimere quell’istinto animale. Chiuse gli occhi e le botte divennero dolci carezze, i morsi voraci, baci ardenti bramosi di piacere, le frasi scurrili, versi idilliaci di poeti ispirati. Aspettò in silenzio che la furia passasse e sperò che il suo amore non lasciasse segni tanto evidenti.
da Giovanni Odino con “Soltanto parole”
Questo 25 novembre, quante parole, ancora una volta, saranno spese dalle autorità civili e religiose e dai mille rappresentanti dei movimenti e comitati anti violenza? Giustamente indignati, ci diranno con parole accorate che la violenza di genere è un ignobile, vergognoso comportamento che lorda la nostra civiltà.
E noi converremo con loro che le donne non vanno toccate, che sono da proteggere, che il doveroso rispetto dovuto loro è la colonna portante del sistema di relazioni sociali della Nazione.
Poi, tutto come prima.
Con i padri che fanno distinzione tra le donne di famiglia e le altre.
Con le mamme che accusano le vittime dei loro figli.
Con i figli e le figlie che assimilano dai genitori.
da Patrizia Macario con “Senza titolo”
Tutto ciò che rimane è una goccia dimenticata sul pavimento lustro, una piccola goccia a raccontare una vita, sogni, speranze, amore, paura, passione, odio.
Resta lì silente, ma racconta sé stessa, resta aggrappata al pavimento come se volesse essere ascoltata, finalmente capita, aiutata, non dimenticata.
Ma è una goccia in un mare di violenza, brilla di un rosso vivo, è l’amore che ancora spinge le sue radici espandendole, perché era vero sentimento, ma ha incontrato mani ruvide e cuore di pietra.
Sotto la pietra fredda, respira ancora l’anima, cercando quella parte di sé che malevolmente gli è stata rubata. per potersi riprendere quel sentimento con il quale era stata creata. Libertà.
da Paola Curia con “Odio su tela”
Filtro goccia a goccia
il Dolore e il suo perpetuo movimento.
Un moto lento che trascina sottopelle
un cingolo d’afflizione e umiliazione.
Impotente insinuo,
e disperata,
l’asfalto arido
alla ricerca di un solido riparo
ma solo pugni chiusi e sguardi bassi
sull’ignobile sentiero.
A stento mantengo l’equilibrio che pare,
per metà,
retto da corde intrecciate a lividi e perversioni.
Il nylon delle calze si smaglia lungo i bordi sottili che,
come spettatori appisolati,
lasciano che l’inerzia decorra a doppio senso.
Sopra il ginocchio,
un giaciglio d’inquietudini,
appena dietro,
un rettilineo di muscoli e nervi tesi.
da Attilia Patri con Mia nipote – tratta dal libro “Federica la ragazza del lago”, autore Massimo Mangiapelo, Bonfirraro Editore, prima edizione aprile 2015
Noi siamo qui a ricordare la tua morte.
Tu sei lì, in un luogo che non conosciamo
forse a ridere di noi,
forse a pensarci con tenerezza,
con rimpianto per una vita che non hai vissuto,
una vita che forse avresti voluto condividere
con chi ti voleva bene.
Tu sei lì, in un luogo che non conosciamo.
Vediamo come sei,
come sei rimasta nei nostri ricordi.
Ti osserviamo sorridere al mondo
e dentro di noi resta l’amarezza
di continuare a vivere
senza sapere cosa saresti diventata.
Ti osserviamo come sei rimasta
dentro i nostri cuori
e sulle foto fin troppo utilizzate,
eccessivamente sfregiate,
senza renderci conto
di come saresti ora,
della vita che avresti vissuto,
del mondo che avresti messo ai tuoi piedi.
da Mariangela Cutrone con “Anima di cristallo”
Non si può giustificare il “male” con un sentimento supremo come l’Amore. Si abusa troppo della parola amore oggi. Il carnefice deve prendersi le proprie responsabilità senza ricorrere a false giustificazioni o ricatti psicologici. Un uomo che ricorre alla violenza per ottenere ciò che vuole o per esprimere i propri bisogni o le proprie esigenze non è un Uomo. Uno schiaffo, un pugno, un insulto verso chi dice di amare disperatamente ferisce nel profondo. Questa ferita non si rimargina in poco tempo necessita di tempo, forza e coraggio. Una donna è un’anima di cristallo e ha il diritto di essere amata per quello che è, difesa e tutelata sempre e comunque.
da Anonimo
Sei assente al domani
Controfigura di te stessa
Assalita per mani
Di chi credevi per lui fossi una principessa.
da Antonino Impellizzeri con “La ventenne di Fier”
Condannata perché venuta donna
fin dalla nascita messa da parte
senza linfa con tacchi e minigonna
lungo una strada di notte in disparte.Per clienti e lenoni sono la biada
non guardano il viso solo le cosce
dai locali notturni giunta alla strada
ballerina in sogni colmi d’angosce.Aspettavo un caldo raggio di pace
disertando un freddo Medioevo
beffata da contentezza fugace.Senza espressione adesso il corpo tace
sulla tangenziale scorge sollievo
non sa chi sono l’omertà fallacesolo carezze di calma rugiada
e dentro nel cuore ancora una spada.
Dedicata a Anxhela Meçani, 20 anni, prostituta. Massacrata di botte e gettata da un auto in corsa sulla tangenziale. La sua colpa: essere donna. Dopo la morte nessuno ha ammesso di conoscerla lungo la strada dove era costretta a prostituirsi. Era scappata dall’Albania rincorrendo un sogno, ha trovato un letto per asfalto e le fredde carezze della rugiada. Nichelino (Torino), 10 giugno 2018. La poesia fa parte della raccolta “Caro maschio che mi uccidi…” Autori Vari Fusibilia ed.
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