
Io e il dottor Zeta, la ragazza Ics ed io
Ics #1
In 1 Dicembre 2022 da Debora BorgognoniScappare. Correre. Forte, più forte, sentendo il suono dell’aria che taglia la traiettoria. Sembra una lama zigrinata. Lama contro lama. Inquietante. Mi tappo le orecchie e corro.
La fuga è un’adrenalina ed è un po’ anche una speranza. Scappi e ti senti improvvisamente un’anima folle in preda a istinti omicidi, tipo quelli dei film col ghigno fisso e quella strana risata che fa: Ihihihihihiiii.
Hai potere in quel momento. Tu sei onnipotente, sei dio. Non badi più alla forza fisica, alla paura, al cuore che salta ripetutamente in gola. Sei in un vortice e diventi tu vortice.
Mi giro. Alberi, foglie, erba, buio. Ma dove diavolo mi trovo? Sono in una foresta, non conosco questo posto. Davanti a me c’è il vuoto, perché il buio ha trattenuto una nebbiolina che sembra vapore fumoso. Il contrasto tra il bianco della nebbia e il nero del vuoto mi arriva come un vortice nel quale sto entrando. Me ne rendo conto, eppure non riesco a fermarmi. Il vortice mi strizzerà e quella nebbia diventerà il mio velo.
Corro, e mi sembra che le gambe comincino a cedere. Le ginocchia sono molli, sono come una placida melma silenziosa. E questo corpo è freddo, umido, non è più il mio.
Inciampo. Il rumore delle foglie secche mi entra nei timpani, lo sento più duro. Scrash, scrash. Ad ogni passo rimbomba, mi penetra le fibre del corpo. Adesso sì, è ancora il mio corpo.
Ma chi sei? Cosa mi farai appena allungherai la tua mano su di me? Perché scappo, perché mi stai prendendo?
Forse urlo queste domande, ma adesso non so più quale sia il timbro della mia voce. Non saprei dire quanto sia mia, quanto io sia io.
Corro, inciampo di nuovo, mi tiro in piedi, poi mi sembra di oltrepassare il vuoto. Lui non c’è più. Si è nascosto bene o ha rinunciato a me. Cado.
Nella quiete di questa foresta, il mio corpo sembra leggero. Una goccia bagna la mia fronte. E poi un’altra. Non piove, le gocce cadono da un albero, ma non vedo i suoi rami; i miei occhi non vedono nulla. Adesso devo alzarmi. O lui mi prenderà. Sto scappando da troppo tempo e non so nemmeno più se lo voglio, se voglio davvero sfuggirgli. E intanto lui mi raggiunge, lo sento, lo so, anche se in realtà non è qui. Lui ha la foga dell’assassino, è pronto a farmi fuori, non mollerà facilmente. Non è un gioco allo sfinimento. Lui non sarà mai sfinito, non finché non mi avrà eliminata. Poi riposerà. Dormirà sonni travagliati e farà incubi che non capirà. Finché un giorno, davanti a uno psichiatra col ghigno da film, che cercherà in lui la prova della sua follia minore, lui ricorderà di averlo fatto. Si renderà conto che quell’uomo esasperato che ora corre per catturarmi era proprio lui, non era un giro strano della sua mente, non era uno spettro generato dalla sua malata fantasia. Era lui ad avere le mani sporche alla fine.
Era lui ad avere negli occhi la disperazione dei miei occhi. Era il suo nome che vibrava tra le corde spezzate della mia voce. Con pietà. Con rassegnazione. Col desiderio alterno di attaccarmi e di lasciare per sempre la vita.
Calore. Lui mi ha raggiunta, silenzioso, morboso, come una malattia che non ha vaccino. Mi accarezza il volto, asciuga la fronte. Mi sto abbandonando. Mi preparo al cambiamento.
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