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Alle origini dell’English game
In 12 Aprile 2021 da Fabio MuzzioLa gente ama questo gioco e vuole vedere i giocatori come noi.
Fergus Suter
È risaputo che il calcio, ma non solo, sia stato inventato in Gran Bretagna. The English Game, con qualche imprecisione storica, che nulla toglie né alla narrazione che, soprattutto, al valore della stessa, lo racconta ridandoci più di uno spunto interessante. Questa serie tv del 2020 non è solo consigliata agli appassionati della dea Eupalla, per citare Gianni Brera fu Carlo, ma anche a coloro che liquidano una partita come una banale corsa di “ventidue uomini (e donne) dietro una palla” o, peggio ancora con “è solo un gioco“. Eh, no, non è solo un gioco, magari lo fosse e Paul Ashwort, in Febbre a 90° ce lo ha spiegato molto bene.
Intanto, se proprio volessimo scomodare l’antropologia, potremmo citare il diffusionismo, quel fenomeno sociale che vede appunto diffondersi abitudini e cultura dalle élite alle fasce più popolari.
E il football ha vissuto questa parabola, passando da gioco dei “gentiluomini”, gelosi di mantenerne custodita la gestione e le masse popolari, che in quel gioco trovano anche il riscatto sociale, il senso di appartenenza e di aggregazione. The English Game lo racconta bene, focalizzandosi sulla comunità di Darwen, povera e operaia che ha nella squadra la propria rivincita e con il suo Presidente, proprietario della tessitura, che apre ai giocatori stipendiati con uno scopo: vincere.
Il calcio inizia a vedere la luce a metà del diciannovesimo secolo con la prima squadra fondata, lo Sheffield Football Club nel 1857, e in oltre venticinque anni, per arrivare agli anni raccontati, diverse squadre sono state fondate in tutta l’isola britannica, tra cui quel Blackburn ancora oggi ai vertici del calcio inglese e che segnerà con le proprie gesta il passaggio epocale reclutando i migliori giocatori in circolazione. La squadra da battere è l’Old Etonians Football Club, guidata dal lungimirante Lord Arthur Kinnaird (Edward Holcroft). Il discrimine è proprio l’avvento dei giocatori professionisti, che trova nello scozzese di Glasgow Fergus Suter (Kevin Guthire) insieme all’amico di sempre Jimmy Love, il pioniere ingaggiato dal Darwen prima e dal Blackburn dopo. Questa novità non incontra il favore in maniera trasversale, perché se può rappresentare una volgarità per le classi agiate, per quelle più popolari è l’ingresso in squadra di estranei nella comunità in cui, molto spesso, i giocatori sono i colleghi di lavoro e gli amici del pub.
Se gli appassionati non solo possono rivivere le gesta pionieristiche, vedere i primi palloni, intuire regole che oggi sono totalmente cambiate, le prime tribune, i contrasti che prevederebbero cartellini rossi a non finire, per gli altri ci sono spunti interessanti nei paralleli che costituiscono la narrazione: due figli diversi, Suter e Kinnaird, alla ricerca di un rapporto differente con i rispettivi padri; le vicende di coppia, dove se lo scozzese è alla ricerca di un rapporto stabile con i timori della propria storia familiare, il Lord cerca di ritrovare con la moglie una vita serena dopo un grande dolore. C’è anche tutta la lotta di classe, degli operai e dei piccoli imprenditori, che da artigiani sono riusciti a fare il salto pur rimanendo però attaccati alle loro origini trasformando le squadre di calcio nella loro rivincita personale e in quella della comunità, nella quale vivono dando così sfogo alla grande passione che li pervade; e in contrapposizione, ci sono gli aristocratici, che detengono il capitale da prestare e godono dei privilegi sociali. In The English Game si ritrova tutta la povertà di quel periodo vittoriano, le ragazze madri, quando queste non vengono costrette a lasciare i neonati in orfanotrofio, il classismo, la lealtà in campo e i tradimenti fuori, il riscatto personale in una società che cambia e continuerà a farlo, anche attraverso uno sport sempre più simbolo di appartenenza sociale e culturale.
La consegna al Blackburn della Coppa, la squadra in ascesa che vince la sua prima FA CUP, da parte di Lord Francis Marindin (Daniel Ings), Presidente della Lega ma soprattutto giocatore dell’Old Etonians sconfitto, rappresenta l’emblematico passaggio di consegne: il calcio, da quel momento, è di tutti e per tutti.
E se Suter è entrato nella storia del calcio come il primo professionista, l’aver intercettato il cambiamento da parte di Kinnaird gli è valsa la lunga presidenza della Federazione inglese dal 1890 al 1923, anno della sua morte. Kinnard, tra l’altro, detiene ancora oggi il record di finali giocate (nove) nella più antica competizione calcistica: la FA Cup.
Come abitudine vi ho segnalato spunti per incuriosirvi rivelando quanto necessario per evidenziare una serie tv che merita di essere vista proprio per capire cosa sia il calcio. Oggi, per fortuna, accade meno di sentire quando afferma Lydia Cartwright: “Il calcio ci rende tutte vedove”, ma ben vengano tutti i contributi.
(ADV)
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