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Glee – Quando la morte diventa spettacolo
In 27 Giugno 2016 da Francesca ChiarelloQuanto amo le serie televisive musicali o che parlano di musica! Voi non potete avere idea di come mi piaccia immedesimarmi nei protagonisti che ad un certo punto della giornata, magari quando sono al lavoro, salgono sulla scrivania e incominciano a cantare a squarcia gola. Se non fosse che: se salgo io su una scrivania e incomincio a muovermi all’impazzata questa si rompe e potrei rischiare di far saltare un timpano anche ad un criceto sordo.
La serie tv di questa settimana è Glee, prodotta dall’unico e inimitabile Ryan Murphy già ideatore del più celebre American Horror Story e di Nip/Tuck e che ha messo in piedi una vera e propria macchina da guerra che va a toccare anche i temi più scottanti (omosessualità, transgender, bullismo, malattie alimentari…).
Lo show, perché alla fine è di questo che si parla, è andato in onda per la prima volta il 21 gennaio del 2010 e si è poi concluso dopo sei serie nel maggio del 2015 – programmazione italiana.
Il liceo McKinley fa da sfondo alle vite di un gruppo poco consolidato di ragazzi con diverse passioni, razze e orientamenti sessuali, con un’unica cosa in comune: l’amore per il canto. Così nasce il Glee Club, il laboratorio musicale dove si crea il gruppo delle Nuove Direzioni e dove vanno a consolidarsi una serie di relazioni e di amicizie.
È una serie che ha segnato la storia per le tematiche che è riuscita a trattare; ma ancora di più per i suoi due protagonisti principali: Rachel Berry e Finn Hudson, interpretati da Lea Michele e Cory Monteith.
Loro sono stati la vera e propria anima della serie fino all’inizio della quinta stagione, dopo di che è stato un percorso su montagne russe che ha visto sganciarsi i sedili a poche puntate dalla fine della quinta stagione e che ha portato alla conta dei morti e dei feriti durante la sesta – quando già avevano deciso che avrebbero chiuso i battenti – peccato che abbiano anche distrutto i cardini.
Il calo di ascolti e di qualità della serie arriva proprio con la notizia della morte di Cory Monteith nel luglio del 2013. L’interprete di Finn, il classico ragazzo della porta accanto, è stato trovato morto nell’hotel Fairmont Pacific Rim di Vancouver per overdose. Questo ha segnato anche la fine di Finn, della coppia di vita e lavorativa Finchel (nome dato alla relazione tra Rachel e Finn) e della serie come la si conosceva.
Morto lui, decomposta la serie. I produttori hanno scelto di far passare la stessa sorte anche al personaggio di Finn in circostanze poco chiare – nel senso che proprio non hanno spiegato le dinamiche. Hanno dedicato a questo un’intera puntata, per salutare il personaggio e la persona, andando anche a far eccessivamente leva sulle emozioni dei membri del cast e degli spettatori. Vedere Lea Michele, nei panni di Rachel, cantare Make you feel my love di Adele con quella disperazione che uccide è stato devastante. Lo stesso per le altre interpretazioni. Hanno fatto del terrorismo psicologico pesante, andando ad ingigantire una situazione che di per sé sarebbe stata meglio viverla tra le mura domestiche, senza commercializzarla trasformandola in uno show televisivo.
Se per quattro serie le tematiche anche più forti sono state trattate in modo eccelso, in questo caso avrebbe fatto meglio un elefante in una cristalleria. O io in un negozio di Swarovski.
Non si può negare che poi è andato tutto a peggiorare: la serie non è stata più la stessa, i personaggi hanno perso interesse, le loro storie non hanno più avuto un grande seguito. Ha fatto schifo insomma. Gli ascolti sono calati e l’aggiunta di nuovi personaggi e nuove storie d’amore non ha fatto che peggiorare la situazione.
La fine di una macchina da guerra, colpita e affondata con una sola cannonata.
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