Le opinioni superbe . SUPERBIA
Spazio, ultima frontiera
In 8 Settembre 2016 da Fabio MuzzioSpazio, ultima frontiera… Quante volte ho sentito questo incipit.
Si dice che rileggere sia meglio di leggere. Vale anche per il cinema e le serie TV. Forse ancora di più.
Interessante…
50 anni, caro Star Trek, dalla messa in onda ovviamente. Gene Rodddenberry ci aveva già provato nel 1964. Ma niente. Ci è riuscito due anni dopo ma con quanta fatica!
Jim, è morto.
Ed eccomi a rincorrere i ricordi dell’infanzia, della mia TV che non era ancora a colori, la mia bocca aperta e i sogni di bambino che guardavano un’astronave fantastica e le tante avventure tra razze aliene e realtà terrestre.
Logico…
Precisiamo: non ho visto l’esordio in quell’8 settembre 1966, non ero ancora nato e non potevo vedere la NBC vivendo nella Bassa italiana. I miei ricordi risalgono al maggio 1979 quando Telemontecarlo iniziò a mandare in onda Kirk & co. Per noi trekkies è semplicemnte TOS (Trek Original Series) per distinguerla dalle altre, ben 4 che si sono succedute.
Sono un medico, non un muratore…
Questa serie classica, quella che compie 50 anni, l’ho vista e rivista più volte, sono quelle cose che conosci quasi a memoria. Mi è capitato in questa estate che sta per volgere al termine, di riprendere in mano la mia collezione in D.V.D.: tre stagioni, tre cofanetti e i tre colori, giallo-sezione comando, azzurro-sezione scientifica e sezione rossa- tecnica e sicurezza. Ebbene, mi sono riguardato i 79 episodi della cosiddetta missione quinquennale. Non so che numero di volte sia stata, di sicuro non è mancata la scoperta di cogliere le sfumature, i piccoli messaggi, le prese di posizione coraggiose, il rapporto profondo tra i personaggi.
A volte la violenza è necessaria.
In tanti hanno parlato della tecnologia anticipata, della capacità di capire cosa sarebbe successo nel futuro, qualcuno, invece, non ha visto le paure dell’uomo e la filosofia. Tutti sanno che su quel ponte c’erano una donna di colore Uhura, che cura i contatti con l’esterno, ma la segregazione razziale era stata abolita da due anni, un russo Chekov, il più giovane, l’ultimo arrivato, ed eravamo in piena guerra fredda, un giapponese, Sulu, spadaccino e appassionato di botanica, quando le ferite di Pearl Harbour e delle due bombe atomiche erano ancora più che presenti. E poi lui, il logico, freddo senza emozioni e alla ricerca di se stesso, l’alieno buono, il vulcaniano dalle orecchie a punta e dal saluto con le dita aperte, che tutti dovevamo imparare a fare; quello Spock metà umano ma che ha rinnegato della Terra gli istinti pur avendoci sempre un po’ a che fare. A guidare, l’imperfetto Capitano Kirk, donnaiolo che alla fine ama una sola femmina: la NCC 1701 USS Enterprise. Soldato moderno che ha sempre rotto gli schemi e pure barato al Kobayashi Maru, il test che ti fa confrontare con la morte e nel quale non puoi vincere. Qualche ponte più sotto Bones, il segaossa McCoy, voce della coscienza di tutti e il dottore che tutti avremmo voluto avere, e infine l’Ingegnere Scott, per tutti Scotty, con i suoi miracoli tecnici e che è pronto ad accettare tutte le provocazioni ma non le critiche sui motori della nave.
Ci sono alcune cose per cui vale la pena morire
Star Trek in piena competizione tra le superpotenze, che chiama Klingon, popolo spietato e guerrafondaio e un nemico più marginale, feroce e subdolo che chiama Romulano. Ci ho ritrovato di tutto: il valore dell’amicizia, la sensazione della morte che può arrivare in un attimo e che fa parte della vita, la critica della società e il primo bacio interazziale, il primo trans in TV e il tema della crescita demografica; la bellezza che non passa da un’illusoria pillola e il vivere eterno, l’ingiustizia sociale e la giustificazione della guerra fredda, l’utopia dell’Eden degli hyppie e la donna che vuole vendicare il mancato potere spettato a un uomo. Altro che avventure e basta! Roddenberry e gli autori ci hanno messo dentro tutto, pure la paura che il computer sostituisca l’uomo, così presente nella fantascienza di quegli anni. E ci hanno messo il rifiuto della lettura in digitale e l’amore per i libri di Samuel T. Cogley: il dynabook di Alan Kay è ancora in laboratorio.
I mondi possono cambiare, le galassie disintegrarsi, ma una donna rimane sempre una donna.
Ho voluto parlare solo della serie classica, ho omesso le altre, prodotti egregi, dove esiste comunque integrazione, diversità, accettazione, morte, vendetta sia che passino di pianeta in pianeta e di stella in stella, sia che rimangano fermi in una stazione orbitale. E non raccontato i film, che per 10 pellicole hanno coinvolto la TOS e la TNG (The Next Generation) in un passaggio di testimone fecondo e longevo, difficile da eguagliare.
Signor Spock, la sua reazione è stata perfettamente logica. Agli occhi di un cieco!
E poi è arrivata la nuova serie solo cinematografica, con il cambio temporale, ma con il vecchio equipaggio, giusto qualche differenza e molte analogie, così assaporabili nei riferimenti, nel saper cogliere quel rapporto personale tra i personaggi costruito negli anni Sessanta. Se ripenso alle differenze le trovo più nell’emancipazione femminile: donne meno cotonate e più di azione, toste e protagoniste e sicuramente non più, come capitava nella TOS, quasi segretarie, seppur con qualche debita eccezione.
Non capirò mai la capacità femminile di evitare una risposta diretta a qualsiasi domanda
Ogni volta che rivedi gli episodi, uno dopo l’altro, raggruppati e non più a cadenza settimanale o quotidiana torni il bambino che li ha visti la prima volta e ti ridanno un pezzetto di quegli anni. Quando finisci l’ultimo episodio e hai finito la saga ti rimane l’amarezza e la nostalgia, perché l’ultima sigla ti strappa via quella fanciullezza che ti aveva illusoriamente regalato la prima. In fondo comprendi che il tempo, cosa su cui gioca tutta la serie, è inesorabilmente passato senza pietà.
Lunga vita e prosperità. E buon compleanno, Star Trek!
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