IRA . Racconti da Kepler
Jurij Alekseevič Gagarin
In 12 Aprile 2019 da Il Viaggiatore
Sono nell’orbita terrestre, per una volta non cammino lungo le vostre strade.
È il mattino del 12 aprile 1961.
Quando salgo qui e mi accomodo sulla mia poltrona sento più forte la nostalgia di casa, del mio Kepler. Lo spettacolo della vostra Terra è meraviglioso. Sono gli anni Sessanta: meno popolazione, meno inquinamento, meno satelliti, meno spazzatura spaziale. Con i prossimi 108 minuti siete all’inizio della vostra avventura, la nostra è cominciata molto tempo fa. Sto aspettando un uomo di 27 anni da poco compiuti e di 157 cm, di origini contadine che renderà il suo popolo e un regime orgogliosi del traguardo nella corsa con l’altra superpotenza: il Maggiore Jurij Alekseevič Gagarin.
Era da un po’ che non risalivo qui e scruto le stelle: il mio tracciamento di bordo, l’aria perfettamente pulita, il mio sole così lontano, le mie scorte, il mio archivio, il mio silenzio, le immagini di chi ho lasciato e vedo così di rado. E il senso di solitudine che si prova quassù: per me è normale, nel rischio esistente di starci in mezzo, ma la paura del vuoto cosmico che si mescola con le altre emozioni non sono certamente da trascurare.
Gagarin e il pasto prima di partire. Gagarin e la vestizione. Gagarin e il peso che ti schiaccia il corpo durante la salita, la gravità che cerca di trattenerti quasi ti dicesse di non farlo, la leggerezza che si prova qui e poi, l’impresa. Gagarin e l’impresa, il primo uomo nello spazio o, forse, il primo veramente dichiarato. Dopo alcune cagnette usate come cavie, poi un manichino, è la volta dell’uomo. Bruciare è un attimo ma lo scambio con quel rischio può essere equo. Valentina Ivanovna Goryacheva “Valya” magari non sarà d’accordo, perché Yelena ha due anni e Galya non neppure due mesi di vita e un astronauta è prima di tutto un padre e poi un marito. Peccato sia soprattutto una questione politica all’interno di quella che voi chiamate Guerra fredda. Nikita Sergeevič Chruščëv al Cremlino sta per godersi il traguardo, John Fitzgerald Kennedy alla Casa Bianca medita di accelerare la corsa allo spazio e si sentirà bruciato sul tempo.
Quanto ci sarebbe da conoscere, mappare, incontrare razze con cui mi sono relazionato, apprezzare la bellezza della diversità dell’altro e capire che sei uno in una moltitudine: ci arriverete, è troppo presto persino nel tempo che ho scelto.
La mia tecnologia mi permette di non essere visibile, ci mancherebbe solo che cambiassi il corso della storia e a “Il cielo è buio e la Terra è azzurra” Gagarin aggiungesse di aver visto gli alieni! Grande Jurij, non lo vorrei mai e ricorda che il momento è solo tuo. Tu eri quello che lo desiderava, tu eri il più adatto, tu eri quello che ha detto sì, tu quello che sarà ricordato. La luna è là ma è ancora presto e saranno gli altri, gli U.S.A., a raggiungerli: l’U.R.S.S. ha portato il primo uomo nello spazio? Noi andremo sul satellite, sembra di sentirli. Forse non è così sbagliata la concorrenza seppur del terrore, perché utilizza piani diversi per scontrarsi e il progresso, seppur militare, è altamente tecnologico. Per carità i missili a Cuba e la Terza guerra mondiale l’avete davvero rischiata ma vi è andata bene.
Ho scoperto molto sul vostro essere pionieri, sul raggiungere una frontiera per andare verso la successiva come se non bastasse mai: in alto sulle montagne e poi negli abissi, partire da un oceano per raggiungere le coste di un altro, oppure visitare ogni terra emersa con navi in legno ed equipaggi assetati di beni preziosi quasi quanto i Re e le Regine che li hanno finanziati e quasi tormentati dalla mania di dominio su nuovi territori e dalla supremazia ovunque si possa farlo.
Ma io preferisco parlare di questo piccolo grande uomo, alloggiato sulla sua Vostok 1 dopo che lo hanno vestito e ancorato: immagino il suo duro allenamento, la concorrenza di altri cinque cosmonauti, la fama che lo aspetta, la propaganda che lo “userà” – questa sera la Pravda uscirà con un’edizione speciale – e qualcuno comincerà a pensare che è troppo conosciuto, amato e famoso per non diventare pericoloso. Se l’equilibrio va mantenuto fuori con il nemico, occorre farlo anche all’interno, con altri nemici, forse più subdoli e ambiziosi che non amano l’ombra o condividere troppo la luce che li illumina in maniera riflessa.
Jurij sta per partire da Bajkonur in Kazakistan, dove sono le 12.07 e sta terminando il conto alla rovescia; adesso si staccherà dalla Terra come ha sempre sognato l’uomo, come ha cercato di progettare Leonardo, come ci sono riusciti i fratelli Mongtolfier e i fratelli Wright, come provavano a fare i nazisti i cui scienziati hanno reso possibile e renderanno possibile anche all’altra potenza di arrivare fin qui su e spingersi poco più in là grazie ai loro studi sulla missilistica. Lui andrà oltre, verso l’ultima frontiera, almeno per ora. Ha detto “Poyekhali!” e comincia a salire, in quella sfera con tre oblò da 4725 chili e tutto quel carburante nei moduli più sotto e che man mano si sganceranno. A terra rimane German Stepanovič Titov, la sua riserva, di un anno più giovane; Titov dovrà aspettare agosto per salire con la Vostok 2 con un volo di 25 ore per divenire ancora oggi il più giovane cosmonauta a lasciare il vostro pianeta.
Lo sguardo finisce per incrociare Giove e le sue lune mentre c’è la mia famiglia sullo schermo. Qualcuno non c’è più e la malinconia mi assale. Il mio quadro di controllo è perfetto e devo solo rimanere in silenzio, altrimenti il mio occultamento non funzionerebbe; già, quel silenzio che può assalirti come un animale feroce di cui sei preda e non voglio prevalga sul momento che vi devo raccontare e che qui su non perdona. I miei pensieri scorrono e la Vostok di Gagarin sale verso l’atmosfera più alta e sta per entrare nello spazio per la sua orbita, lui che arriva dal villaggio Klušino, un piccolo paese con colline e foreste non lontano dalla Polonia, figlio di un falegname e una casalinga. Mi piacerebbe sapere di lui bambino, particolarmente dotato nelle materie scientifiche e come tanti altri vittima della guerra e dell’invasione nazista e quindi costretto a interrompere gli studi; di lui giovane che si appassiona agli aerei e del brevetto preso nel 1955, lui e il diploma da metalmeccanico, lui che nel 1957 termina l’Accademia aeronautica di Orenburg, lui del tutto ignaro del destino che lo attende e non gli avrebbe regalato in fondo tanti anni di vita, perché un incidente sul suo caccia Mikoyan-Gurevich MiG-15 a Kiržač lo avrebbe fatto arrivare solo a 34 anni. Le sue ceneri verranno portate al Cremlino come altissimo onore di sepoltura.
Dal mio finestrino vedo l’Europa e la mia seconda casa mentre il Maggiore sta arrivando e lo vedrò transitare alla velocità di 8 km al secondo. Toccherà il punto più alto con l’apogeo a 321 km di altezza mentre il perigeo sarà a 175 km. La sua orbita procede bene, l’inclinazione rispetto al vostro equatore è di 65°. I calcoli matematici sono corretti e ha sorvolato il Sud America con la conferma che tutto va per il meglio e l’assenza di gravità non è un problema. Vai Jurij, stai facendo la storia e a terra ti stanno aspettando. Eccolo, mi passa vicino, per quanto vicino lo si possa dire nello spazio quando si stabilisce la distanza di sicurezza. È già lontano e sta per accendere i retrorazzi: il rientro si avvicina e i 7000 metri di discesa con il paracadute saranno l’ultima parte della missione non certo poco rischiosa. Andrà tutto bene e dopo le visite mediche ci sarà il mondo a raccontare, a scrivere, a sognare di viaggiare nello spazio, di andare su altri pianeti, di scoprire se c’è vita altrove.
Il mio quadro di controllo mi conferma che tutto è a posto, la temperatura è ideale ed equivale ai vostri 23 gradi. Posso concedermi un tortino al cioccolato che la Comtesse ha lasciato in redazione e di nascosto ho sottratto per salire qui. Quasi quasi mi concedo un giretto fino alla fascia di asteroidi e poi rientro.
Alla prossima.
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