
Le opinioni superbe . SUPERBIA
L’elogio della pernacchia e del pernacchio
In 16 Luglio 2023 da Fabio MuzzioSi vola alto direte, ovviamente in senso ironico, ma quello che vi propongo è un viaggio su un tipo di comunicazione molto italiana e che ha attraversato il nostro cinema. Intanto i puristi potrebbero confutarmi che esiste una differenza tra il pernacchio, quello più celebre lo dobbiamo a Eduardo De Filippo, e la pernacchia, quasi tutte le altre.
Il primo è più forte e storico mentre la seconda è più moderna e qualcuno direbbe meno di impatto: è nata l’idea di questa raccolta e ho fatto in modo di riunirle in una sola voce; non ci sono tutte e lascio a voi stabilire quale preferite.
La selezione è nata dalla memoria cinematografica, con interpreti di valore assoluto in film spesso entrati nella storia, per cui ne potreste trovare molte altre che ho lasciato lungo i ricordi.
Quando è liberazione
Nel 1961 Sergio Corbucci dirige I due Marescialli: mi pare superfluo raccontarvi tutta la trama, tra l’altro stiamo parlando di uno tra i film più celebri di Totò. La guardia, Vittorio Cotone (Vittorio De Sica), il ladro, Antonio Capurro (Totò) si ritrovano il primo con la tunica da prete e il secondo la divisa da Maresciallo dei Carabinieri del primo. Il tutto con equivoci, riflessioni e contesto del post armistizio dell’8 settembre 1943. Ciò che è rilevante per il nostro discorso è quanto emerge dalla pernacchia: il Tenente Kassler, il tedesco delle SS tutto di un pezzo, il Podestà Achille Pennica (uno straordinario Gianni Agus che ripropone il fascista ottuso e ossequioso al tedesco a cui non sa dire che “Senz’altro”) e il finto Maresciallo. Come non può non esserci il discorso dal balcone, ironia per esorcizzare e ridicolizzare un Ventennio, al termine del quale parte una sonora pernacchia? La ricerca del colpevole rimane forse il momento più divertente del film in cui l’identificazione assurge a vera e propria indagine da condurre nei minimi particolari.
Quando è una provocazione proletaria
Il sindacalista, uscito nel 1972 e diretto da Luciano Salce, esalta il talento di Lando Buzzanca questa volta non nel ruolo del seduttore siciliano, per vestire quelli di Saverio Ravizzi, un sindacalista integerrimo. Per carità, sempre siciliano è ma si trova catapultato in una cittadina (fittizia) della bergamasca, Bissola Lambro, a lavorare nella Tamberletti, azienda di frigoriferi al termine di una lunga marcia di protesta che attraversa lo stivale. Il suo punto di riferimento è solo Giuseppe di Vittorio, il più grande esponente sindacale della storia italiana (memorabile lo slogan cantato e scandito da Saverio durante le manifestazioni “Di Vittorio, di vittoria”) e si comporta come un rappresentante duro e puro, integerrimo e altruista ma anche ingenuo, senza il senso della concretezza e del compromesso quando serve, un “sindacalista giallo” per utilizzare la terminologia corretta.
Saverio non è il Lulù de La classe operaia va in paradiso e nemmeno Il Gandi de La patata bollente, dove l’attenzione si porta anche su altre tematiche sociali e culturali, ma ci offre un piccolo punto di vista forse più grottesco con gli elementi tipici del suo mondo: la vita operaia faticosa e usurante, l’emigrazione nella nebbia e una macchina scassata, una moglie bella il giorno del matrimonio e che si è lasciata andare e pare più interessata ai dolci (Isabella Biagini), due figli molto distanti da lui, una giornalista intraprendente a caccia di una storia non solo per il quotidiano (Paola Pitagora) per la quale perde la testa e Marisa, la bella collega affascinata da questo uomo sempre in prima linea. Il confronto serrato è con il “padrone” Luigi Tamperletti, un Renzo Montagnani che non ha ancora iniziato la carriera nei b-movie, che lo hanno relegato a troppe battute volgari sminuendone il talento, e si cala nel ruolo del tipico imprenditore che abbraccia la modernità, dopo aver ereditato l’azienda dal padre e che, dopo aver detto sempre di sì, sfrutterà l’ingenuità di Saverio per il proprio tornaconto. La scena, chiaro esempio di product placement, è molto celebre, perché ripresa anche dalla trasmissione Blob: Tamperletti ha una segreteria telefonica che mette a disposizione solo venti secondi messaggio e Saverio riuscirà a riempire questo spazio temporale, non senza fatica, con una fragorosa pernacchia. Un particolare: il “padrone” vuole scoprire l’autore del “messaggio anonimo” e ingaggia un gruppo di tecnici per scoprirlo: ogni operaio dovrà emettere una pernacchia al microfono e il computer stabilirà il colpevole. Questa verifica riprende quella de I due Marescialli, di cui vi ho appena parlato, ma assomiglia anche alla prova calligrafica che ne Fantozzi contro tutti stabilirà l’autore della scritta comparsa in cielo “Il megapresidente è uno stronzo”.
Quando è infantile provocazione
I Vitelloni del 1953 è il terzo film diretto da Federico Fellini, in realtà il secondo se si esclude il primo non proprio fortunato girato insieme ad Alberto Lattuada. Film tra i più celebri del nostro cinema, candidato anche all’Oscar® per la sceneggiatura che si avvale della firma di Ennio Flaiano, autore dell’iniziale stesura, ci porta alle vicende di cinque amici, Leopoldo-Fausto-Moraldo-Riccardo e Alberto nella Rimini di quel decennio. Storie e personalità differenti che qualsiasi appassionato di cinema conosce e si ricorda molto bene. Nel caso lo aveste perso recuperarlo vi darà uno spaccato tutto sommato ancora attuale di come si possa vivere la propria esistenza alla luce di quanto ci accade attorno o malgrado quanto ci circonda. Chi non ha mai visto almeno una volta questa sequenza?; abbiamo Alberto, Sordi, l’uomo un po’ infantile che coglie l’occasione di prendersi beffa degli operai che faticano sulla strada: con quel “Lavoratoriiii, lavoratori della maltaaa” scatta l’effetto sonoro derisorio accompagnato da un gesto eloquente del braccio. Quel che capita subito dopo chiude il momento memorabile, forse il più ricordato della pellicola felliniana.
Quando è botta e risposta
Ancora Albertone, da Fellini a Steno, da Rimini a Roma. Un americano a Roma, film epico del 1954 ci fa conoscere il giovane italiano cresciuto con l’amore, meglio sarebbe dire ossessione, per il mito americano. Nando Meliconi sogna Hollywood e Broadway, martirizza i genitori e vuole vivere tutta la vita a stelle e strisce. Con il nome d’arte di Santi Bailor è un improbabile ballerino alla Fred Astaire in piccoli teatri di rivista, dove il pubblico è ovviamente maggiormente attratto dalle gambe delle ballerine che da tutto il resto. Tralascio i “Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone… io me te magno” che rappresentano la sequenza più conosciuta del film, e passo al numero ballato e cantato dove il pubblico non perdona. Il momento topico lo abbiamo sul preparato giro finale con passo che chiude la canzone in un uno pseudo inglese d’oltreoceano. Qui l’effetto sonoro è un batti e ribatti tra uno spettatore e l’artista sul palco che risponde a quanto sentito in sala. A chiudere il momento comico la frase: “Ormai hai 21 anni è tempo che tu sappia di chi sei figlio” che finisce per scatenare il parapiglio in platea.
Quando è tifosa
Ne Il marito del 1958, firmato da Nanni Loy e Gianni Puccini, viene raccontata la storia di Alberto Mariani, Alberto Sordi che si sposa una violloncellista, Elena, e inizia, per così dire, la sua reclusione casalinga dovendo rinunciare a tutto ciò che prima poteva permettersi, in particolare le uscite con gli amici che vengono sostituite da noiosi concerti domenicali a cui si aggiunge la presenza ingombrante della famiglia di lei, in particolare della suocera.
Rinunciare al calcio è risaputo un sacrificio enorme per chi è tifoso, all’epoca rappresentato solo in versione maschile, e trovare una/un partner comprensiva/o rimane un punto a favore nell’equilibrio di coppia oltre che, perdonatemi, un gesto d’amore, da poter così dare sfogo alla propria passione sulle tribune. E, tra un presunto disinteresse e il desiderio che arde, arriva la telefonata degli amici per la partita allo stadio. E il romanista Alberto trova il modo di “omaggiare” con un saluto i rivali laziali.
Quando aspettavi da tempo
Arriviamo a Il Vigile di Luigi Zampa, che dirige Alberto Sordi in divisa nel 1960 insieme a Vittorio De Sica, il Sindaco e diversi attori e attrici che in quegli anni spopolavano sul grande schermo e in TV: Lia Zoppelli, Marisa Merlini, Sylva Koscina e Mario Riva.
Il nullafacente Otello Celletti, mantenuto dal cognato e da un figlio che si prodiga come meccanico, non riesce mai a trovare il lavoro adatto a lui fino al colpo di fortuna che lo porta a indossare la divisa da vigile municipale. La pellicola che ci riporta alla tematica del politico con qualche segreto da non rivelare e quindi ricattabile o che deve, per diverse ragioni, accontentare tutte le richieste, aggiunge la riflessione, certamente in chiave comica, di come si possa essere con o senza divisa prendendosi le proprie rivincite dopo anni di sfottò soprattutto al bar: insomma con paletta e fischietto il ruolo sociale cambia e di molto.
E così, mentre Otello viene accolto ogni al bar con la pernacchia dopo aver salutato, cosa che incassa con classe limitandosi al fatto che tale gesto nuoce a chi lo fa e non a chi lo riceve, arriva la vendetta da parte del figlio: dopo essere entrato in divisa del vigile Celletti, prima, la solita pernacchia rimarrà strozzata, sarebbe offesa a pubblico ufficiale, e poi troverà in Remo, chi saprà rispondere all’avventore.
Quando sublima un momento di paura
Audace colpo dei soliti ignoti del 1959 viene firmato da Nanni Loy ed è il sequel de I soliti ignoti di Mario Monicelli. Si ripete il grande successo di quello precedente del quale rimangono i protagonisti Vittorio Gassman, Renato Salvatori, Tiberio Murgia, Claudia Cardinale e Carlo Pisacane e, al posto di Marcello Mastroianni (che tornerà nell’ultimo capitolo I soliti ignoti vent’anni dopo nel 1985) c’è Nino Manfredi. A loro si aggiungono Gastone Moschin, Riccardo Garrone e Vicky Ludovisi “La Floriana” impareggiabile bionda svampita con la R moscia che deve insegnare il milanese a Peppe/Gassman. Questo capitolo è concentrato sul grande colpo all’incasso del Totocalcio e non mancheranno battute e situazioni che rendono gradevole la visione della pellicola anche all’ennesima volta che la si incrocia.
Cosa succede se, dopo il colpo andato in porto ma non senza intoppi, iniziano gli interrogatori? Conciliabolo, preoccupazione e previsione nefaste sul futuro probabilmente in carcere. E così, quando qualcuno alla porta bussa fingendosi la polizia si semina il panico; dalla stessa entra il buon Peppe che, dopo la pernacchia, si sente riempire di insulti dagli amici/complici.
Quando ti rimane l’ultima opzione
Spaghetti a mezzanotte del 1981 diretto da Sergio Martino è un vero cult del cinema B-Movie italiano. Lino Banfi, Barbara Bouchet, Teo Teocoli, Alida Chelli e Pippo Santonastaso sono al centro della celebre trama: Banfi è Savino Lagrasta, un avvocato di scarsa levatura diventato l’amante numero 33 di Zelmira (Chelli) che lo definisce con l’accento bolognese “il più ineffizente, il più banale”, la moglie di un giudice. Bouchet, Celeste Lagrasta, fissata con le diete con cui martirizza il marito, è l’amante di Andrea Soldani, l’architetto interpretato da Teocoli che ha ristrutturato la casa nella campagna astigiana e disegnato i mobili tra cui le sedie con la seduta ricavata dal calco del lato b proprio di Celeste.
Non mancano equivoci, sotterfugi, situazioni che possono mettere in pericolo anche la vita, in particolare nella villa diventata tutta tecnologica e che ricorda quella di Hollywood Party di Blacke Edwards nel film interpretato da Peter Sellers.
In particolare la morte del killer Saruzzo, inviato dal boss don Vito Malisperi, quell’Ugo Bologna che abbiamo conosciuto talvolta nel ruolo di Corrado Maria Lobbiam in Fantozzi, allo scopo di uccidere i due amanti e fare così un favore all’avvocato che lo deve difendere con la speranza che lo faccia molto male per finire in carcere e scampare dalla vendetta dei marsigliesi, diventa il perno di quasi due terzi film con tutte le difficoltà di nascondere un morto durante una festa. A complicare c’è Santonastaso/ Cesarino il giornalista di cronaca nera convinto di aver visto un cadavere mettendosi alla ricerca dello stesso.
Chi ha visto il film si ricorda bene qualche piccola volgarità e le immancabili scene nelle quali sia Chelli che Bouchet, alla festa in competizione fra loro, regalano una sequenza a seno nudo. Se poi il morto non è diventato tale per colpa di Savino rimane il nodo delle corna di Celeste che se ne va con il bell’architetto. A questo punto al telefono che suona, con dall’altro capo il boss in ospedale scampato all’agguato, portano Savino allo scatto di orgoglio e ad “ammazzarsi” in due modi: con una pernacchia a don Vito e con un pasto del quale non si contano le portate ma questo sarà in buona e rinsavita compagnia.
Quando è avanspettacolo
I nuovi mostri del 1977 si colloca tra I mostri del 1963 e I mostri oggi del 2009. Se il primo e anche il secondo sono da annoverare tra i classici del cinema italiano, l’ultimo è stata una riproposizione meno fortunata da tutti i punti di vista. Gli episodi sono celebri e non ve li ripercorro, piuttosto mi soffermo proprio su I nuovi mostri che hanno subito per i visti censura diversi edizioni per la messa in onda, passando in tv con 4 o 5 episodi in meno rispetto alla versione integrale. Proprio in uno di questi, Il sospetto interpretato da Gassman nel ruolo di commissario c’è una pernacchia che gli viene rivolta da un brigadiere infiltrato tra i contestatori arrestati. La sequenza è ancora rintracciabile ma la pellicola appare alquanto compromessa. Se volete scoprire la storia attorno a questo film vi lascio il link tratto da Wikipedia che ricostruisce quanto vi ho accennato. Gli aspetti grotteschi che sondano la cattiveria umana dei vari personaggi ci restituiscono scenari che strappano risate e riflessioni se non colpi di scena. Vi ripropongo, invece, per quanto concerne il nostro viaggio sonoro ancora una volta Alberto Sordi impegnato ne L’elogio funebre diretto da Ettore Scola. Molto conosciuto per la risposta alla telefonata “Pronto chi parla?” vive di un momento pernacchia quando al comico, spalla del defunto, viene chiesto lo scketch dei tre tic che sono: la raganella, il fischiettio e il pernacchino della raccomandazione al Direttore della RAI.
Quando è derisione di un sentimento
Fantozzi contro tutti risale al 1980 ed è il terzo dei dieci capitoli sul grande schermo del personaggio creato da Paolo Villaggio. La pellicola è davvero un capolavoro della nostra commedia e della saga, con scene memorabili, dalla coppa Cobram alle polpette di Bavaria del Professor Birkermaier. Per la nostra rassegna di pernacchie come non ricordare Diego Abatantuono nel ruolo di Cecco, il garzone del panettiere “butterato e con l’alito tipo fogne di Calcutta” che fa perdere la testa a Pina che riempie ogni angolo della casa di pane. Ugo, a un certo punto, comincia ad avere il sospetto della possibile tresca e si trova a un confronto con il giovane per sottolineare l’amore per la moglie: Cecco, ricordato ai colleghi di chi si stia parlando, aggiunge considerazioni sull’aspetto della figlia Mariangela.
I momenti clou sono due classificabili come pernacchio, entrambi preceduti da “Fantozzoooo” perché Abatantuono ha già iniziato a portare al cinema il personaggio del “terrunciello”, a cui segue sottolineatura sonora tra l’ilarità generale; qui vi propongo il secondo, quello del sollievo del Ragioniere che, con grande signorilità si chiude al collo, come se fosse una sciarpa, la pasta ancora da cuocere di un filone dopo il saluto: ringrazia e torna a casa.
Quando l’avevi covata da un po’
Diego Abatantuono nel 1982 si cala nei panni di tre tifosi: Felice La Pezza, detto Tirzan, Donato Cavallo, il Ras della Fossa dei leoni del Milan e Franco Alfano, tifoso dell’Inter. Eccezzziunale veramente è uno dei film memorabili di quel decennio. La rassegna che vi sto proponendo si inserisce proprio nell’episodio dedicato a Franco, vittima di un cattivissimo scherzo degli amici del bar, Massimo (Boldi), Teo (Teocoli), Ugo (Conti) che gli sostituiscono la schedina effettivamente giocata con una falsa con un tredici da ottocento milioni. Questo lo porta a vendicare tutto il proprio disagio per l’infelice vita familiare nei confronti della moglie (Anna Melato) e soprattutto della suocera (Clara Colosimo molto più conosciuta per il ruolo di Giovanna la mamma di Artemio ne Il ragazzo di campagna). Rotto l’equilibrio familiare e deciso a darsi alla bella vita ci aggiunge l’acquisto di un “carro da trenta teste” firmando cambiali su cambiali nel concessionario dell’odiato datore di lavoro che saluta con un pernacchio. Come andrà a finire è ampiamente risaputo ai cultori di questo film.
Quando è poco lungimirante
Sopra vi ho parlato di Fantozzi contro tutti e adesso di Fantozzi subisce ancora che esce in sala nel 1983. In questo capitolo, che si concentra sull’assenteismo negli uffici, per i quali il Ragionier Ugo deve adoperarsi a coprire le assenze, regala una spassosa analisi dei politici attraverso una tribuna elettorale che serve a informarsi per la tornata elettorale, vede comparire Andrea Roncato nel ruolo di Loris Batacchi, che renderà nonno Fantozzi, ed è quello delle olimpiadi aziendali. Il Ragionier Fonelli, Michele Mirabella in una delle sue presenze sul grande schermo, interpreta l’impiegato fissato con l’atletica: anche qui l’aspetto esasperante delle logiche aziendali si trasforma in una reazione collettiva, quella della pernacchia nei confronti di chi non si può immaginare diventi di lì a poco Mega Direttore Naturale del personale con il nome di Cobram II. Quella pernacchia, rafforzata dal gesto dell’ombrello, costerà davvero cara a tutti.
Quando alla fine ti scoprono
Tra i grandi caratteristi del cinema italiano c’è sicuramente Mario Brega, che ha recitato in ottanta pellicole, lavorando per Sergio Leone seppur sia diventato famosissimo grazie a Carlo Verdone.
Occhio prezzemolo e finocchio è un film del 1983 diretto da Sergio Martino e si compone di due episodi: Il pelo della disgrazia con Lino Banfi e quello che ci interessa, Il mago, con Johnny Dorelli. Gaspare Canestrari, in arte “Le Grand Gaspar” è un mago che gira con la propria automobile per portare la propria arte, si fa per dire, nei diversi quartieri di Roma. La vita non è facile per i miseri guadagni in attesa della celebrità per cui la vita è condivisa con il cognato Alberigo, macellaio e appassionato radiomatore che lo mantiene al pari della sorella Iole, sempre pronta a difendere il marito artista. Di poco aiuto, ma per mancanza di talento, ci sono il manager Cavaliere Aldrovandi, Renzo Montagnani in un ruolo secondario, e la Marchesa del Querceto, la grande Paola Borboni, strega che gli passa, in punto di morte, un libro di incantesimi con una promessa da mantenere. Non vado oltre cosa capiterà e se il tutto verrà rispettato da “Le Grand Gaspar” che arriverà persino a sfidare il Mago Silvan, ma mi concentro sullo scherzo che ogni volta Gaspare rientrando a casa perpreta ai danni di Alberigo: dall’auto lo chiama sul canale da radioamatore intrattenendolo e camuffando la voce fino a quando non gli piazza una pernacchia per farlo imbestialire. Fino a quando il cognato, che ha capito, non scende in strada e lo guarda dal finestrino.
Quando il diretto interessato smentisce
Mediterraneo rimane il film più conosciuto di Gabriele Salvatores, quello che gli ha dato l’Oscar® come Miglior film straniero nel 1992. Ho avuto modo di parlarvene per una ricetta, quella del Souvlaki, che il Tenente Carmelo La Rosa mangia a tavola con il gruppo di soldati italiani rimasti sull’isola ignari di come sia sia evoluta la Seconda guerra mondiale. La pellicola ha offerto poi l’opportunità di un monologo, quello del Sergente Nicola Lorusso durante il massaggio rilassante del soldato Luciano Colasanti che diviene una riflessione sull’esistenza, quella che coinvolge tutto il contingente dato per disperso e che nell’isola graca troverà modo di esprimersi e maturare.
Uno tra i momenti divertenti, tranne quanto accade poco dopo, è dato da un momento classico della vita militare: il posto di blocco, la parola d’ordine e la controparola d’ordine. Il siparietto è gustoso ed evidenzia non tanto l’impreparazione quanto i controsensi che si possono creare. Il Sergente Lorusso rappresenta il classico burbero con quel grado (che è anche uno stereotipo) un po’ carnefice e un po’ vittima dei soldati, per quanto lo si possa essere in entrambi i casi in un film commedia. Ma la pernacchia? Dopo un “ma vai a cagare” rivolto a Lorusso e la sua conseguente reazione scatta la pernacchia: lui la attribuisce a “faccia di culo“, il soldato Antonio Farina ma questi smentisce di essere il colpevole. Tra giorni di consegna distribuiti con rigore e generosità e rumori nella notte il reo non salterà fuori ma a rimetterci sarà Silvana, la mula di Eliseo Strazzabosco, scambiata per un improbabile nemico.
Quando te la spiega un Professore
L’oro di Napoli del 1954 è un film di Vittorio De Sica ed è un meraviglioso spaccato dei vicoli della città partenopea e delle persone che lo animano con le loro storie. Gli interpreti sono ben noti, vantando la presenza, tra gli altri, di Sophia Loren, lo stesso De Sica, Totò, Tina Pica, Silvana Mangano ed Eduardo De Filippo.
Dal film ho anche prelevato una ricetta, quella della pizza fritta, dove ho avuto modo di raccontare in modo un poco più approfondito il film, compresa la storia del pernacchio, una vera lezione tenuta daIl Professore che, a pagamento, fornisce utili consigli sul come agire nella propria vita a chi ne fa richiesta nella sua bottega. La sequenza del pernacchio è entrata a tutto diritto nella storia del nostro cinema, grazie anche alla magistrale spiegazione di Eduardo che finisce con il nobilitare un gesto di scherno. Alcuni abitanti del rione si rivolgono a lui perché si devono vendicare Duca Alfonso Maria di Sant’Agata dei Fornari. Salta fuori che questa peculiarità sonora è ad appannaggio ormai solo di quattro/cinque interpreti, tra cui ovviamente lui. La delucidazione sul come effettuare il tutto, ovviamente al passaggio del diretto interessato, deve indurre a fargli pensare che egli sia “a schifezza ra schifezza ra schifezza ra schifezza ‘e l’uommene!“.
Lascio al Maestro la lezione.
Chiudo qui questa rassegna con un saluto: non quello, se ci fosse bisogno di specificarlo, confidando che non lo facciate voi a me.
(ADV)
Come fare ufficio stampa: competenze e operatività è un corso di Fabio Muzzio dedicato a chi vuole apprendere tutti gli strumenti necessari per la comunicazione di impresa che si rivolge agli operatori dei media: per acquistare clicca qui
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