Le opinioni superbe . SUPERBIA
Elezioni da cinema
In 3 Marzo 2018 da Fabio MuzzioNel giorno del silenzio elettorale, si fa per dire, perché nel Web non vige questa regola, mi è sembrato giusto proporvi un piccolo viaggio nel cinema e di come questo ha raccontato il voto degli italiani.
La pellicola forse più famosa, proprio perché divenuta di culto e nella quale la cabina elettorale rappresenta il motivo su cui ruotano tutti e tre gli episodi, è rappresentato da Bianco Rosso e Verdone, la seconda pellicola firmata per il grande schermo da Carlo Verdone. Furio, Pasquale e Mimmo incarnano tre italiani diversissimi tra loro per sensibilità, vita personale e pure idea politica, accomunati dal fatto che per inserire le schede nell’urna devono compiere un viaggio.
All’insopportabile Furio Zòccano che martirizza la moglie Magda tanto da indurla alla fuga d’amore con il bel Raoul e che tutti ricordano per il “Ma va a cagher” che gli risponde l’interlocutore dell’ACI prima di partire, si contrappone Pasquale Amitrano, l’emigrante in Germania che torna in Basilicata vedendosi rubare per ogni tappa un pezzo della sua automobile e il piacere della sua Patria. Infine, e forse è il personaggio che più tocca il sentimento è Mimmo, impacciato, timido con le donne che, come dice la nonna Teresa compagna di viaggio “Confonde ‘na sorca per un par de mutande“, un puro incapace di mentire e dal cuore grande. Quella nonna interpretata da Lella Fabrizi rimasta nel cuore di tutti e che nel film ha in Mimmo forse l’unico famigliare che la ama per davvero.
E se Furio prima indicherà alla moglie pure il numero in lista per assegnare le preferenze, poi troverà non solo il modo di puntualizzare l’accento del suo cognome al Presidente di seggio, Zòccano e non Zoccàno, ma alla fine non mancherà di segnalare un disegno osceno sulla parte della cabina, lasciato probabilmente da qualche elettore arrabbiato. Pasquale, invece, dopo interminabili minuti dentro la cabina, nella quale sfogherà tutta la frustrazione per i furti e i disagi del viaggio, chiuderà anche il film parlando per la prima volta e chiudendo con la battuta liberatoria: “Sapete che vi dico? Andatela a pigliare tutti nel culo”. Chiudo con Mimmo che nel seggio perderà la nonna dopo l’ennesimo e delizioso bisticcio e che avrà un malore irreversibile. E mentre la commissione discute se il voto sia valido e per chi, evidenziando che poi, alla fin fine, le persone interessano poco, Mimmo rimarrà con il suo dolore e la perdita di chi, con tutta probabilità sentiva la fine vicina e voleva compiere l’ultimo vero viaggio con il nipote.
Saltando all’indietro, più di una volta la penna di Giovannino Guareschi, liberale e anticomunista e probabilmente non troppo filoclericale, ha scritto e permesso di portare al cinema grazie a Gino Cervi e Fernandel il confronto acerrimo tra le due parrocchie, quella comunista e quella democristiana, ancorando il tutto alla reltà di quegli anni, che fossero i disordini di Reggio Emilia e i suoi morti che fosse la Legge truffa o il ruolo sempre più forte dell’U.R.S.S.. E dal “Nell’urna Dio vi vede, Peppone no” sostituendo il Sindaco di Brescello con il capo sovietico. Memorabile, sempre ne Don Camillo e l’Onorevole Peppone del 1955 lo slogan “Lista Peppone, lista baffone, chi vota lista Colomba si scava la tomba”. Gli scontri, i dispetti venivano collocati in una realtà contadina dove alla fine prevaleva il buonsenso, il buon cuore e quella concretezza di chi aveva combattuto dalla stessa parte facendo rinascere una Patria distrutta da una dittatura.
Focalizzato sul lato candidati è Gli Onorevoli del 1963, cinque storie di altrettanti candidati che vanno dalla democristiana Bianca Sereni (impareggiabile Franca Valeri), femminista e “vittima” proprio dei compagni di partito, esaustivo delle lotte correntizie della Balena bianca, oppure il liberale Rossano Braschi, interpretato da Gino Cervi (che pare fosse veramente liberale) con il comizio sabotato dal figlio. O, ancora, il missino Giuseppe Mollica, incarnato da Peppino de Filippo che verrà ingannato e truccato per il discorso TV e finirà suo malgrado in un balletto con tanto di tutù. E non solo, il radical chic Saverio Fallopponi (Aroldo Tieri), anti americano che non disdegna i dollari e una volta scoperto dovrà ritirarsi dalla corsa. Il più noto dei personaggi rimarrà comunque quello di Totò, alias Antonio la Trippa, il monarchico che ammorba le orecchie persino dei vicini con la sua ossessioni di essere eletto, utilizzando un tono da Ventennio e venendo deriso con la famosa battuta de “La Trippa al sugo”.
Il punto di vista dell’elettore che vuole capire è ad appannaggio di Ugo Fantozzi: ne Fantozzi subisce ancora del 1983, il ragioniere prende la cosa molto sul serio informandosi come solo lui sa fare (e spendere) transitando persino per le allucinazioni video elettorali. Nelle sequenze volute da Paolo Villaggio escono tutte le figure della Prima Repubblica e che hanno caratterizzato quegli anni. L’ironia sui politici con i loro difetti e la critica tagliente non possono mancare. Il finale, come spesso è accaduto a Fantozzi che accumula frustrazione e vessazioni, è liberatorio qui nel vero senso della parola, con il quasi soffocato “Sto votando” con tanto di inequivocabile sciacquone tirato al termine del tutto in quella che il narratore aveva definito come la sua “Personalissima decisione politica”.
Giuseppe Tornatore nel 2009 dirige Baarìa un film corale dove tre generazioni raccontano l’evoluzione politica dell’Italia vista dalla Sicilia, partendo dagli anni Trenta per arrivare sino alla fine degli anni Ottanta. Non possono mancare il voto di scambio o in vendita che dir si voglia, esemplificato dalla famiglia composta da cinque elettori e da altrettanti cinque voti ad altrettanti partiti per non scontentare nessuno oppure dal tentativo di prendersi con l’inganno il voto di una non vedente che, invece, saprà bene dove mettere la croce (sulla DC) con la frase “Sono cieca non fessa” a chi voleva farla votare per il PCI.
A chiudere tre spezzoni: il primo è Qualunquemente del candidato Cetto La Qualunque, il personaggio prima televisivo e poi cinematografico creato da Antonio Albanese e che incarna l’esponente politico che sguazza nei problemi del nostro meridione, emblema di quella Seconda Repubblica nella quale “U pilu” sia esso detto in siciliano o in declinazione brianzola ha finito con caratterizzare molto del dibattito tra i partiti, offerto spunti alla satira, discussioni infinite sui Social e molto lavoro anche nelle aule giudiziarie; il secondo è post elezioni, le fasi dello spoglio e Nanni Moretti, in Aprile del 1998 da grande anticipatore dell’evoluzione della politica italiana torna a sottolineare quella che all’epoca era ancora l’inizio dell’era berlusconiana: davanti a un trionfante Emilio Fede, al silenzio degli esponenti battuti del PDS (con la loro gioiosa macchina da guerra) in compagnia della madre trova il modo di consolarsi, in quel 28 marzo 1994: facendosi, a suo dire, per la prima volta nella sua vita, una canna.
Il terzo, invece, è un invito a votare, quando nel 1948, per le prime elezioni politiche italiane a suffragio universale, scomodarono Eduardo de Filippo, che vestì, in questo videomessaggio per il cinema, i panni di Pasquale Lojacono, il protagonista della sua commedia Questi fantasmi! Nel suo dialogo con il Professor Santanna, che come nella pièce teatrale non compare mai, invita a votare con equidistanza anche se, a onor del vero, trasparirebbe un invito più per per la Democrazia Cristiana e più che per il Fronte Democratico Popolare malgrado le simpatie a Sinistra del grande Maestro napoletano.
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