Le storie superbe . SUPERBIA
Un giorno di ordinaria malinconia
In 31 Gennaio 2016 da Debora BorgognoniPercorro quella via ogni anno, da dodici anni, ma a pensarci bene non l’ho mai attraversata a piedi. Il caldo secco delle due del pomeriggio e le case spagnoleggianti tutt’intorno, dall’intonaco candido lavorato a buccia d’arancia, mi fanno pensare a una pagina de L’amore ai tempi del colera. Entro presto nella parte di un Florentino Ariza del terzo millennio; ci sta tutto, quel grigiore deprimente che non si può ammettere a se stessi, quel desiderio morboso e vile, quell’invidia verso gli uomini equilibrati. Quelli che vincono. Vincono l’amore, vincono i posti in prima fila. Vincono il successo perché hanno una sicurezza che non devono nemmeno ostentare.
Cammino a passo spedito, abito-camicia-cravatta madidi di sudore e del vino appena bevuto che lentamente esce dai pori per lasciarmi senza forze, e penso solo ad arrivare nella camera in affitto, accendere il condizionatore e togliermi tutto di dosso per cedere a un sonno profondo. Sono stanco, sazio di cibo ma non d’amore. Guardo le scarpe mentre cammino. Le scarpe si sono fermate. Le avrò fermate io. E come diavolo non me ne sono accorto?
Alzo gli occhi.
Una finestra è aperta sulla via e una musica napoletana esce con una potenza quasi struggente. Ogni tanto la voce attacca con qualche frase e poi smette, facendo continuare la melodia della chitarra, pizzicata e accarezzata. Le note musicali si mescolano a quelle del caffè e io sono trascinato da quel prodigioso connubio. Tolgo la giacca. Mi sento ridicolo con la cravatta stretta al collo e a dire il vero anche la camicia stona. Rimango in canottiera, mi attacco con la schiena al muro di quella casa, e resto sotto la finestra con gli occhi chiusi.
Anna era la regina indiscussa del polpo con le patate e degli spaghetti alle vongole. Lei cucinava con felicità, con armonia, e in quei momenti era come se lo facesse con tutto il corpo, come un’alchimista alle prese con una pozione d’amore. Aveva un vigneto. Imbottigliava il vino con l’aiuto di qualche amica e ne teneva sempre un paio di bottiglie per noi due. Era un po’ un feticcio per lei, un portafortuna, che ne so. Le ricordava la prima volta che avevamo fatto l’amore, durante la vendemmia, tra i filari colmi d’uva bianca matura, in piedi, con le scarpe nella terra e gli abiti buttati ovunque. Alla fine ci eravamo sdraiati a mangiare uva e io le avevo detto: «Credo che un giorno ti sposerò». «Dovresti assaggiare il mio vino prima di prendere decisioni così serie».
Il vino sapeva di mela verde e banana, e il suo profumo ricordava il biancospino. Era forte e altezzoso, come lei. La bottiglia anonima, invece, era come il suo corpo. Non capivi il contenuto finché non ne avevi bevuto un sorso. Non si poteva immaginare che dietro quel vetro senza etichetta respirasse una passione inviolabile. Non ho mai avuto tempo per lei. Perché il tempo è troppo poco quando bisogna scoprire i segreti di un’anima; è troppo fugace per non rimpiangerlo poi. E così lei mi scivolava via continuamente, come l’effetto del vino che esce dai pori e disperde in niente i suoi poteri.
La musica si ferma. Sento delle voci. Anch’io ora desidero un caffè, ma non è mia abitudine berne più di uno al giorno. Sono un uomo estremamente ordinario, mi dico. Lo slancio di quel minuto è finito ancora prima di cominciare. Come ogni anno le ho portato un rametto di biancospino. L’ho lasciato sui gradini in pietra della casa in cui mi aveva accolto la prima volta. Un dono anonimo, perché nessuno sa della mia esistenza. E io cosa dovrei dire? Mi sono fatto ottocento chilometri per portare ad Anna dei fiori rubati? Lo faccio ogni anno di nascosto da familiari e amici? È per questo che rifiuto di lasciare i fiori al cimitero, non saprei rispondere a quelle domande se si presentasse un parente all’improvviso.
Ho pranzato in una pizzeria con polpo e spaghetti alle vongole, ma mi hanno lasciato un sapore di terra che mi preannuncia un misto di dolore e solitudine. Sono un uomo ordinario e codardo, mi dico. Mi rivesto in fretta e continuo per la mia strada.
Debora Borgognoni è editor, blogger, fotografa e scrittrice. Ha pubblicato quattro libri:
- Lo scrittore emergente in Italia. Analisi di una subcultura nella comunicazione mediale – saggio critico, LibreriaUniversitaria Edizioni, 2017
- Tu non spegnere le luci – romanzo storico, Temperino Rosso Edizioni, 2016
- Io e il Dottor Zeta, la ragazza Ics ed io – romanzo, Montag Edizioni, 2013
- Caro diario… Piccole parole appese al muro – silloge, Albatros Il Filo, 2011
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bello 🙂
Grazie sorellì!