
Le storie superbe . SUPERBIA
Operazione plenilunio – IV
In 23 Ottobre 2016 da Gianfranco Monaca
V
(… continua dalla PARTE I, dalla PARTE II e dalla PARTE III)
In fondo alla stradina si salutarono.
«Credo che non sia il caso di andare a dormire a casa», disse Jeoshua a Shimon sottovoce.
«Non è prudente farsi trovare comunque, questa notte», aggiunse Shimon.
Jakov e Johanaan la pensavano allo stesso modo, il gruppo si sciolse e i quattro presero per la periferia.
Shimon era con Jeoshua, Jakov e Johanan in quel pezzo di periferia desolata, tra capannoni abbandonati e depositi di sfasciacarrozze. Jeoshua stava a cento metri di distanza dagli altri, che si erano infilati in una carcassa di autobus e si erano appisolati. Arrivò Jehudah.
Era sceso da un furgoncino civile senza targa insieme con tre uomini armati e una donna. Si avvicinò a Jeoshua e lo abbracciò con entusiasmo: «Ecco, questi sono i compagni che vogliono parlare con te, per quella cosa». I tre afferrarono Jeoshua, la donna lo ammanettò rapidamente e lui non oppose resistenza. Lo spinsero nel furgoncino e partirono. Jehudah era rimasto impietrito da quella scena fulminea, che non si aspettava.
Aveva capito solo ora. Il suo stomaco era rattrappito e il cuore secco. Non sapeva muoversi, né dove andare. Aveva ancora in tasca l’assegno che gli avevano dato per un servizio di cui non aveva valutato le conseguenze, e che lui avrebbe versato nella cassa del gruppo, per ripianare un piccolo ammanco. Qualche altra volta gli era capitato ma nessuno si era accorto di niente, o almeno così credeva. Sempre a buon fine, s’intende. Ma questa volta era diverso.
Shimon e gli altri furono svegliati dall’arrivo del furgoncino, ne avevano visto il fascio dei fari, e quando si resero conto di quanto stava accadendo era troppo tardi. Shimon impugnò la pistola che portava abitualmente e sparò alla cieca sul gruppo, i due uomini armati misero il dito sul grilletto ma tutto si fermò lì. «Piantala», gli mormorò Jeoshua attraverso la portiera che si chiudeva. «Quante volte abbiamo detto che la violenza chiama violenza. Lascia stare».
Shimon si trovò faccia a faccia con Jehudah, giallo come un morto, arrivarono Jakov e Johanan arruffati e assonnati, nessuno capiva niente.
Il furgone era già sparito. Tutto in pochi secondi. «Dove lo portano?», disse Shimon come a se stesso, e partì di corsa verso il centro.
***
A notte fonda, Natanael fu svegliato da un trambusto insolito per quella zona della città. Dalla finestra di casa vide un gruppo di uomini armati che facevano salire un tale su un furgoncino civile, senza targa. Pensò a un rapimento, e si sentì in dovere di chiamare la polizia. Al telefonista assonnato raccontò l’accaduto dove come quando. Diede il proprio numero. «Va bene, grazie», fu la risposta, ma nessuno richiamò.
Shimon arrivò senza fiato al comando di polizia. Un paio di prostitute e i soliti drogati rastrellati in giro, ma anche molto nervosismo. Porte che sbattevano, voci alterate, agenti in divisa e in borghese, un dirigente che arrivava in maniche di camicia, un magistrato ancora mezzo addormentato.
Da una porta uscì una donna, quella donna che stava sulla camionetta e poi sul furgone. Fece tre passi in corridoio e incrociò lo sguardo di Shimon: si bloccò e tornò indietro dicendo ad alta voce a quelli che stavano dentro: «Ecco, quello della pistola è qui, era con lui, l’ho visto bene. Adesso lo capite che è uno pericoloso?».
Tornò in corridoio e si piantò davanti a Shimon. «Eri con lui, vero? Siete una banda di sporchi galilei che fate il doppio gioco, ma questa volta dovrete farla finita…».
Shimon era paralizzato, farfugliò una scusa ingenua: «Non so di che parli, io sono qui perché mi hanno fregato il motorino».
Da una stanza uscì Jeoshua tra una squadra di agenti, la donna era con loro e gli ripassò accanto: «E questo, anche questo è un capo». Nessuno le diede retta e Jeoshua guardò l’amico per un istante.
Shimon uscì con un groppo in gola, prima che qualcuno ci ripensasse. Come un bambino sconfitto, si accoccolò in posizione fetale, in un angolo pieno di cicche, orina, preservativi e cartacce, e scoppiò a piangere.
Due degli amici di Jeoshua – due comparse, che recitavano soltanto nelle feste grosse, quando c’era bisogno di una mano anche solo per distribuire le locandine, vendere noccioline e fichi secchi agli spettatori e tirare su qualcosa per la cassa comune – avevano sentito parlare di quell’arresto atteso ma incredibile. Fiutarono l’aria e decisero di sparire per un po’. «Mio zio ha una fattoria verso nord-ovest, del lavoro ce n’è sempre». Si incamminarono verso Amwas, una borgata ormai semidiroccata, dopo essere stata più volte presa di mira da ripetute incursioni. Anche il resto della compagnia si rendeva conto che la situazione stava precipitando, e si disperse. Si temevano altri arresti, o aggressioni improvvise da parte dei picchiatori professionali che nessuno ha mai visto né conosciuto, e che diventano le solite “schegge impazzite dei servizi segreti”, quando si fanno beccare e un magistrato onesto non può fare a meno di portarli in tribunale.
Davanti al posto di polizia non c’era nessuno. Dopo una mezz’ora arrivarono trafelate alcune donne del gruppo. Tra loro c’era la madre di Jeoshua. C’era anche il più giovane della compagnia, Johanaan (il fratello di Jakov) l’amico di Jeoshua. Il piantone non li fece entrare, ma nessuno venne a importunarli. Sulla strada buia non si sentiva altro che il passaggio di qualche automezzo militare e il guaito delle donne, che ormai prevedevano il peggio.
Trascorse un paio d’ore senza novità. Arrivarono e ripartirono alcune camionette, per il cambio dei turni. Una delle donne si fece coraggio e tornò alla guardiola a chiedere notizie. Nel frattempo era cambiato l’agente di guardia e il nuovo non sapeva niente. Disse: «Adesso vado a chiedere», e sparì dietro una porta, poi tornò e disse che nessuno ne sapeva niente, che c’era stato un arresto e un interrogatorio ma ora l’imputato era stato tradotto al carcere per un incontro con il magistrato.
«Noi non abbiamo visto uscire nessuno», insisté la donna.
Erano passati dall’autorimessa, nell’interrato, ed erano usciti da dietro.
Il carcere era all’altro capo della città e il gruppetto ci s’incamminò di corsa, a qualcuno venne in mente di suonare alla porta di un consigliere per vedere se poteva fare qualcosa – un greco, un certo Nicodemo – che incontrava spesso Jeoshua. Qualcuno senza aprire rispose che non era in casa, erano venuti gli uscieri a prenderlo per una riunione d’emergenza. Proseguirono in silenzio. Avevano paura.
(… continua…)
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