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Mi struggo di pensare
In 14 Agosto 2022 da Debora BorgognoniMi struggo di pensare
che queste parole disperate
che scrivo per te
sono tutta la gioia del mio amore,
la sua realtà vertiginosa,
i baci che mai ti darò
posati su di te all’urto del cuore
che vien meno di gioia.
Non credo più al futuro
e appena forse alla luce di
gloria tanto pallida e vuota.
Fantastico che queste mie parole
siano tutta la stretta del tuo amore
il sorriso del tuo corpo
e del tuo volto, miei
nella nostra passione disperata.
Fantastico lontano
come se questi sogni
fossero i sogni di una nostra vita
Ma tu non sai nemmeno
e i sorrisi, e gli sguardi noncuranti
di quelli che ti possiedono viva
e ti scuotono l’intimo sangue
mi distruggono muto
nella coscienza della mia miseria.
Note: Cesare Pavese nasce a Santo Stefano Belbo il 9 settembre 1908 e muore a Torino il 27 agosto 1950. Il 4 gennaio 1928 scrive questa poesia senza titolo, inserita oggi nel volume Le Poesie, Einaudi (nostra edizione: Tascabili Einaudi, 1998). La prima domanda che ci si pone nell’analizzare i versi di Pavese è: quante e quali forme può assumere l’amore? Con una musica o con un’immagine sembra semplice, mentre la parola è sfuggevole, straniante, ha la tendenza ad adattarsi al contenitore, come l’acqua. Se si tratta di poesia, e il contenitore è l’infinità del mare, allora l’amore diventa etereo, ineffabile. Ma come si può coglierne così l’essenza?
Per Cesare Pavese no. Per Pavese è materia che cola, è caldo e freddo, e sonno e sfinimento, e battiti accelerati e odore forte di terra. È mani che scavano e unghie che si sporcano e sudore che scende e peli che si rizzano sul corpo. È sensi. La poesia di Pavese è sensoriale, fortemente ancorata al concreto, al mondo, al suolo. E così l’amore diventa imperfetto. La sua meravigliosa, straordinaria, visionaria capacità è rendere questa imperfezione eterna, universale.
Cesare Pavese, Le poesie, Einaudi Tascabili, 1998, Collana: Tascabili, 500
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