Le opinioni superbe . SUPERBIA
Teatro, perché…
In 31 Maggio 2021 da Redazione Seven BlogMaggio 2021 è per noi di SevenBlog il mese dedicato al teatro. Dalla redazione, raccontini superbi!
da Debora
Sette orribili allegorie
Accidia si siede in platea. Ha pagato il biglietto e spera sia stata una buona scelta guardare quello spettacolo. Almeno con la storia della pandemia, si poteva stare in casa a poltrire sul divano, nessuno ti giudicava se non avevi voglia di avere a che fare col genere umano. E poi, sai che risparmio, c’era solo da guadagnarci, con gli appalti arrivati a pioggia e gli impegni centellinati. Il titolo però l’aveva ispirato: Sette orribili allegorie. Doveva essere una specie di opera horror.
Il teatro è freddo, il palco è illuminato da luci blu. Nel buio, una voce di donna, calda, dall’inflessione francese, comincia a parlare. «Io sono Lussuria, hai mai sentito parlare di me? Certo che sì, ti contorci pensando a me, fai scivolare la tua mano nei pantaloni anche se non ne hai voglia, anche se rifiuti l’estenuante fatica di darti piacere. Ma io non sono quel tipo di piacere, sono quello incestuoso, quello morboso, quello che nascondi nelle cartelle X che rinomini con termini stucchevoli da famiglia felice. Ora entrerà Superbia, e si accoppierà a me, qui, davanti i tuoi occhi. Ti disgusta? Non mentire, maledetto! Tu saliresti su questo palco, se non fossi così orribilmente inerte, o se non avessi paura di finire sui giornali. Perché so bene che sei conosciuto ai media. So cosa sei. Superbia è entrata in te molte volte, quando hai cercato di prenderti meriti che non avevi, quando hai dondolato sulla tua poltrona di pelle dietro la tua scrivania di cristallo e hai dato ordini che hanno giovato solo a te. Oh, scusami tanto se ti racconto lo spettacolo in anticipo, sono una donna terribile, lo so. Il nostro soddisfacente amplesso sarà interrotto da Ira, quel bastardo che credo tu abbia tentato, invano, di uccidere nei tuoi pensieri. Si presenta sempre con un ghigno fastidioso, che per te, però, è un richiamo irresistibile. E tu guarda pure lo spettacolo senza fare nulla, lascia che Ira porti in scena la violenza, ci stupri, ci prenda a calci, perché con Lussuria e Superbia tutto è lecito, meritiamo la punizione umana. E tu chiuderai un solo occhio, perché con l’altro vorrai guardare. E vedrai entrare Gola, con la fame di noi, un altro dei nostri aguzzini. Quante volte ti ha aiutato a riempiti la pancia, a non vomitare lo schifo umano che hai dovuto ingurgitare? Saremo sporche, sanguinanti, stese su un suolo inospitale, e tu chiamerai Invidia, perché sarà lei ad accoltellarci a morte. Ma prima scriverà sul suo taccuino che la colpa è nostra, reinventerà i fatti, e nessuno potrà mai rettificare la notizia. E Avarizia, be’, lei che te la mostro a fare? Sei un politico, la conosci meglio di me».
La voce smette. Il sipario si chiude, il teatro si illumina di nuovo. Accidia si alza lamentandosi del prezzo del biglietto.
da Manuela
Cristalli-di-Cyrano
(Rossana sul palco. Luce. Occhio di bue. A cercare nessuno col nome di Cyrano).
Perché l’amore l’ho incontrato dentro un copione. Latte. Succhio il seno. Per ricordare la morsa di un bacio mai stato.
Il ricordo. La pelle che ride rabbia. Cicatrice come dolce dipinto. Il sangue. Una sola goccia. Che è lacrima colma di maschere-faccia.
Perché lui scappava. E qui posso gridare. Diceva di avere il naso troppo grande. Lo diceva mentre il sole gli brillava dentro. E io sentivo cristalli-di-Cyrano vibrare.
Perché non ho mai scalato vulcani. Lava che scioglie la stretta di uno scheletro. E carne che implode nello schianto. Coriandoli di silenzio. No, non ho mai scalato vulcani. Eppure ho sentito cristalli di Cyrano vibrare.
Perché lui scappava. E qui posso gridare.
Perché diceva di avere una moto. Lui e il suo naso. Il rombo. Nessuno a frenare. Un piatto di strada. Senza velo di cielo. Le sfumature di una ellisse. Il principio dell’argento fuso.
Perché diceva di avere il naso troppo grande. E poi, quella fottuta-paura-di-amare.
Per quel copione nella mano. Pagine e pagine sfilate via dal vento. Come teatro risucchiato in un sogno.
Perché basta il silenzio del primo vagito a far tremare una madre.
Perché le parole diventano assenze. Intenzioni rubate a bocche-di-bachi.
Seta.
Perché pioggia e fuoco sono potente esibizione. Orgasmo. Orgasmo dopo l’altro. Acqua che scorre. Il mio Cyrano. E flusso di donna addormentata.
Perché amo il suo ego.
Perché recito assenti assonanze.
Perché non avete capito, vero?
Che Cyrano è morto.
E io non sono più qui a ricordare.
da Chiara
Un istante prima
Sembra neve sottile. Un colpetto al velluto osservando la nuvola di polvere che si solleva e pensare a quando, colpita dal fascio di luce, comincerà a brillare.
Strofinare le mani l’una contro l’altra e torcerle, strizzarle come strofinacci per pavimenti.
Il cervello sgombro, il cervello pieno di tutto quello che adesso non mi interessa. Il traffico di persone intorno, le corse in punta di piedi e i “merda” sussurrati a mezza voce.
Il brusio che viene dall’oltre, il senso di attesa che cresce mentre, ogni secondo che passa, la testa si svuota, le dita si storcono l’una sull’altra sempre più forte, fino quasi al dolore.
Manca poco.
I capelli sono a posto, come devono stare? E il vestito? E il mio trucco avrà retto, oppure il kajal sta colando facendomi assomigliare al batterista sudato di una band heavy metal?
Non so se ricorderò tutto quello che devo dire. Non lo so, quello che devo dire, e i passi, e i gesti. Non ne ho idea, non più. Ogni volta come la prima volta, lo so che è così, ma quel buco in fondo allo stomaco e il tappo che mi annoda la gola tornano sempre.
Merda.
Qualcuno, là fuori, inizia a battere le mani. Il sipario rosso scorre, si apre con un fruscio e la polvere colpita dal fascio di luce comincia a brillare. Un applauso, faccio un passo in avanti e non c’è più nulla, non sono neanche più io. Tutto torna.
Si va in scena.
da Gianluca
Sala d’attesa
Una sala d’attesa qualsiasi. Amanda, una donna di 30 anni, e un’infermiera che reca una cartellina, sono sedute.
Amanda. (Dopo una pausa) Ricordo bene la prima volta che ho provato quest’angoscia. (Come se ricordasse) Tornavo da scuola, in uno di quei pomeriggi d’autunno dove il sole non ha perso ancora il calore dell’estate. Ero talmente felice per il primo “bravissimo” che avevo ricevuto a scuola che mi illusi, per un attimo, di poter condividere questa gioia con mia mamma.
Lei, come al solito, troppo indaffarata per avere il tempo di un’emozione, liquidò il tutto con un timido “perfetto” al quale aggiunse, troppo rapidamente, un “adesso aiutami in cucina” che spense la mia allegria così come si spegne una candela, soffocando la fiamma tra l’indice e il pollice, con quella rudezza di chi non ha mai avuto paura di scottarsi. (Pausa)
Era fatta così, mia mamma. (Pausa)
Nonostante tutti i miei sforzi, non riuscivo mai a farle pronunciare il mio nome, nemmeno per sgridarmi.
A volte capitava, che sorpresa dal mio stesso coraggio, le disobbedivo apposta… ma ne ricavavo, al massimo, uno sguardo duro. (Pausa)
Lo vorrei qui adesso, quello sguardo. (Pausa)
Infermiera. (Alzandosi) Tocca a noi.
Amanda. (Si alza) Nella mia vita non c’è mai stato spazio per un uomo. O meglio, non c’è mai stato un uomo che abbia interpretato un ruolo più importante di una comparsa.
(Scusandosi) E anche questa volta è durato solo cinque minuti, al massimo dieci. Proprio come una comparsa di cui nessuno si ricorderà più.
Infermiera. (Materna) Non deve scusarsi… L’aspetto di là. Su, non abbia paura, ci metteremo un attimo. (Esce per la destra. Da dentro) Amanda Caruso, IVG.
Amanda respira profondamente e poi va via per la sinistra.
da Caterina
Monologo
Un occhio di bue illumina un uomo seduto su un divano, egli guarda lo smartphone.
Sto guardando le tue foto, ne ho centinaia, le ultime sono bellissime, specie quelle che ti ho scattato ieri mattina. La nostra corsa sul lungo mare è stata fantastica, con te immancabilmente accanto. Mi precedevi, mi camminavi vicino, oppure eri appena un po’ dietro di me; percepivo la tua compagnia e la dolcezza estrema dello stare insieme, noi due, da sempre; da quando ho memoria non mi hai mai abbandonato.
Non ho resistito e ti ho immortalata più e più volte. La tua silhouette stagliata nitida sotto il sole di maggio, perfetta senza sbavature, sempre a fuoco. Te lo confesso, ho girato dei video, mentre ripetevi fedelmente ogni mio gesto e rapida seguivi il mio passo.
Ora siamo qui su questo divano, ti sei fatta piccina piccina, sei incollata al mio corpo e sento la tua presenza più di ogni altra cosa al mondo. A volte, sai, mi capita di odiare la notte perché non ti vedo.
Parlare con te mi fa star bene, te lo dico sempre: sei la mia compagna fedele.
A te posso raccontare anche i pensieri più segreti, anche quelli inconfessabili. A volte, però, mi sento molto sciocco a parlarti così, perché non è neanche necessario che parli, mi comprendi al volo. Però questa confidenza voglio proprio farla. Sai qual è il mio pensiero più folle? A volte mi sento parecchio stupido a pensare che tu possa non essere solo mia, ma può capitare a tutti di avere dei dubbi. Tu obbediente e silenziosa, tu, solo tu nella mia vita. Ti adoro ombra mia. Nella mia casa vuota sei il solo limite alla mia follia, anche Helene è andata via da tempo…
Si chiude il sipario.
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