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Black Girl
In 26 Settembre 2021 da Debora BorgognoniE ti allontani sempre più,
cammini sui tacchi alti,
negli abiti neri,
scarna figura
china a nascondere il volto nel mistero.
Soffice passo
di chi non teme il tempo.
Ma dove vai?
Stai deviando quella strada,
e ad ogni passo,
cadi.
Nota: È strano scrivere un commento su una poesia scritta da me. Intanto, qualche informazione editoriale. Black girl è una poesia inserita nella silloge Caro diario… Piccole parole appese al muro – diario di poesie di un’adolescente, pubblicata da Gruppo Albatros Il Filo, collana Nuove Voci Le Piume, maggio 2011. Questi dieci anni che ci separano dalla pubblicazione non sono nulla a confronto con il percorso formativo che hanno compiuto le poesie all’interno del volume. Queste piccole parole appese al muro (sì, erano scritte ovunque: su post-it appesi alle pareti della camera, sulla Smemo, sui tovagliolini di carta del bar, su romanzi che stavo leggendo) hanno attraversato non solo un’adolescenza (vanno dai tredici ai diciannove anni) ma anche gli anni Novanta. Chi era l’adolescente dell’ultimo decennio del Novecento? Quale peso doveva portare sotto la suola delle scarpe, al di là dell’orribile plateau a zeppa che era tornato di moda?
La Seconda Repubblica, il postmodernismo già privo di contenuto di innovazione ma già impregnato dell’effetto nostalgia, Internet che ha poi cambiato la società, i primi computer nelle case, il sogno del fare tv insieme alle ragazzine di Non è la Rai, il mito d’oltreoceano con Beverly Hills 90210. E addio famiglia Robinson, il cinismo ha preso il sopravvento e il perbenismo è ancora un suo contrario (ora pare incredibile da dirsi, perché la nostra società sa destreggiarsi molto bene nella convivenza tra i due).
Avevo da poco compiuto sedici anni, qui: era il 27 ottobre 1996. Qualche mese prima era nata Dolly, il primo mammifero clonato. Si parlava di auto volanti entro il 2020, di quotidiani su supporto digitale pieghevole entro dieci anni, di chiamate olografiche entro venti.
Eppure, ci si sentiva invisibili, oscuri, risucchiati in una società che prometteva e che allungava sempre più l’orizzonte. Quella che poi è diventata la generazione X ha vissuto le prime inconsapevoli rovine della globalizzazione. Si è formata e ha capito che la meritocrazia non solo non esiste ma è il male, ha amato il tempo reale per una oggettiva impossibilità alla programmazione del futuro, ha detestato il contratto a tempo indeterminato perché ha percepito l’istinto di fuga, in una sorta di evoluzione per adattarsi al precariato.
Stai deviando quella strada. E ad ogni passo, cadi.
Stiamo progettando una rivista letteraria per aiutare le nuove voci a emergere. Abbiamo sempre la stessa vision: diffondere cultura e talento.
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