Le interviste superbe . SUPERBIA
Dante e dantisti, mariti e mogli: intervista a Trifone Gargano
In 11 Luglio 2021 da Caterina LevatoIn occasione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, intervistiamo Trifone Gargano, docente e saggista, autore di diverse pubblicazioni sulla riscrittura e diffusione pop del poema dantesco.
Tra i suoi titoli più recenti ricordiamo Dante pop e rock (Progedit 2021); Dante&Harry Potter (Edizioni del Rosone 2019).
Intervistiamo, abbiamo detto. Be’, l’intervista gliela fa una nostra redattrice, è vero. Che poi sia anche la moglie è giusto un piccolo dettaglio…
Ci conosciamo da sempre, ma la prima cosa che mi viene da chiederti è: che rapporto ha Dante con gli Ignavi, lui che era un uomo d’azione?
Proprio perché era un uomo d’azione, egli ebbe in gran disprezzo gli ignavi, cioè gli indifferenti. Questi peccatori, per la Chiesa cattolica, non esistono, perché si tratta di persone che, in vita, non fecero del male, ma nemmeno del bene. Non vissero, nel senso che non presero mai posizione. Dante s’inventa perfino l’esistenza degli angeli ignavi, cioè di quegli angeli che, nello scontro tra Lucifero e gli Arcangeli non si schierarono, restando indifferenti.
Il messaggio di questo episodio del canto III dell’Inferno, quindi, sta nell’invito a prendere posizione, nella vita, nelle piccole come nelle grandi cose. Certo, si può correre il rischio di sbagliare, nella scelta, ma occorre sempre caricarsi del peso della scelta, senza rimanere ignavo o indifferente.
Sei stato il primo ad utilizzare il brand Dante Pop, e questo lo so bene, cosa ti ha spinto a lavorare su questa idea di divulgazione colta della Divina Commedia?
Sì, in effetti, sono stato il primo, in Italia, ad avviare, oltre dieci anni fa, questa linea di ricerca “pop” intorno ai Classici (e a Dante, in modo particolare), con la pubblicazione per la casa editrice Laterza (Roma-Bari 2010) di un’antologia della Divina Commedia destinata ai licei, nella quale a completamento di ciascun canto inserito in modo integrale, offrivo canzoni, fumetti, romanzi, ri-scritture di approfondimento, oltre che a 30 videogiochi didattici originali e liberamente utilizzabili (la sezione Ludica Commedia, realizzata con un mio collaboratore). L’idea di un «Dante pop» mi venne grazie a due ordini di considerazioni: la prima, che Dante fu “pop”, nel senso di popolare, sin dagli inizi; egli, infatti, veniva memorizzato e recitato nei crocicchi e nelle taverne dal popolino (artigiani, casalinghe, ecc.); la seconda, che nelle ri-scritture pop contemporanee (siano esse canzoni, fumetti, videogiochi, brand alimentari, twitt e post, selfie, ecc.) le terzine di Dante prendevano nuova vita. Una terzina è composta da soli 102 o 105 caratteri (spazi inclusi), e quasi sempre con la terzina finisce anche il periodo sintattico. Questo significa che sono terzine veloci, fulminanti, come dico io, esattamente come la scrittura arguta e velocissima degli odierni tweet.
Uno dei canti più famosi della commedia è il V dell’Inferno in cui si punisce la lussuria, che ne pensi di questi due sfortunati amanti?
Si tratta di uno dei canti dell’intera Commedia più ri-scritto e re-interpretato. Dalla pittura alla musica classica; alle canzoni pop e rock; ai ritmi rap contemporanei, alle versioni teatrali e cinematografiche; ai videogiochi e ai movie di genere, ecc. la triste storia d’amore di Paolo e Francesca ha sempre colpito e affascinato il lettore di tutti i tempi. Perfino la Walt Disney, che nella versione di Topolino all’Inferno, del 1949, aveva censurato (ignorato) questo episodio, negli anni Ottanta del Novecento, ha dedicato un albo ai due amanti: Paolino Pocatesta e la Bella Franceschina, ponendo così riparo all’iniziale dimenticanza.
Si tratta, ovviamente, anche di uno dei canti più studiato di tutto il poema, sul quale, cioè, i maggiori esperti di Dante si sono cimentati. Io, quindi, non mi permetterei di avanzare altre ipotesi interpretative, anche se, da barese, una mia lettura ce l’ho di questo episodio… legandola proprio ad alcune spie linguistiche del testo del canto, e precisamente alla parola «vento», che compare ben tre volte…
La tua passione per Dante, che io sappia, ha due grandi ispiratori, due figure che ti hanno spinto a indagare in Dante sia la parte colta e che quella pop, ce ne vuoi parlare?
Sì, due maestri, uno di strada, e uno di Accademia. A pochi metri dalla casa di mia madre, aveva bottega un sarto, che conosceva, da autodidatta, l’intera Commedia a memoria, secondo una consuetudine, lo ripeto, che risale già ai primissimi decenni della diffusione del poema, nel XIV secolo, con Dante ancora in vita. Ebbene, questo sarto aveva ingaggiato con me una specie di gara, ogniqualvolta io lo incrociassi: recitava a memoria alcuni versi, pescandoli a caso da uno dei 100 canti, e si fermava dopo pochi secondi, invitandomi a proseguire con un cenno del capo. Io, ovviamente, non sapevo proseguire; e quindi me ne tornavo a casa sconsolato e depresso, mettendomi a rintracciare i versi della sfida, per memorizzarli e rendere pronto per l’indomani. Il mattino seguente, però, il sarto pescava da un altro canto, lasciandomi nuovamente di stucco. E questo per anni e anni, stimolandomi, così, a leggere, memorizzare e studiare il poema dantesco. In Università, poi, ho avuto la fortuna di incontrare un grande maestro, il prof Franco Tateo, tra i massimi esperti di Dante. Seguire i suoi corsi universitari e laurearmi con lui ha dato la consacrazione dotta a uno studio e a una passione che era però già iniziata per strada, in modo pop.
Sei tra i pochi uomini di cultura che nobilitano i selfie. Come mai?
Il selfie, da Narciso a oggi, non è una perdita di tempo; non è un gesto vanesio e sciocco; ma, al contrario, è il tentativo, sempre precario (e disperato) di definire il proprio io. Scattiamo foto e le inviamo ai nostri amici, o ai nostri affetti più cari, nella speranza di essere accettati. Un collettivo “come tu mi vuoi”. Ciascuno di noi, infatti, esiste solo negli occhi dell’altro; negli occhi, cioè, di chi ci riconosce e ci accetta. Sia esso nostro padre, o il nostro amico più caro, o il nostro capo-ufficio, e così via. La ricerca di identità è alla base, per esempio, del sonetto auto-ritratto di Ugo Foscolo. Con linguaggio pop contemporaneo, quel sonetto andrebbe definito come sonetto selfie. In esso, in effetti, Foscolo si definisce, verso dopo verso; dapprima, nell’aspetto fisico (capelli fulvi, occhi incavati, tersi denti, ecc.), per poi passare all’aspetto interiore, a suo modo di essere, di pensare e di agire. Partendo da questa considerazione, allora, io vedo la Commedia dantesca come un immenso serbatoio di selfie: 100 selfie per 100 canti. Le anime, dannati, purganti e beati, infatti, sono tutti riconoscibili in eterno, grazie allo scatto di Dante.
Sapere e sapori un binomio inscindibile anche in Dante?
Sì, la Commedia è attraversata da suggerimenti e da riferimenti al cibo. Non solo i due canti canonici, il VI dell’Inferno e il XXIV del Purgatorio, nei quali cioè Dante incontra i golosi (con Ciacco per l’Inferno e Forese per il Purgatorio). No. Ma è in tutto il poema che il riferimento al cibo è onnipresente. Si pensi, per esempio, ai canti XV, XVI e XVVI del Paradiso, nei quali è presente il beato Cacciaguida, trisavolo di Dante, che, specie nel XVII, annunciando l’esilio a Dante, gli dirà che, per prima cosa, proverà come saprà di «sale» il pane fuori dell’amata Firenze. Questa annotazione di Cacciaguida, ovviamente, si presta a diverse spiegazioni: la prima, letterale, che Dante assaggerà, per forze di cose, al di fuori di Firenze, il pane salato (a Firenze, infatti, ancora oggi, il pane viene impastato senza l’aggiunta del sale). Ma l’espressione di Cacciaguida di presta a interpretazioni più tristi e dolorose, in quanto annuncia al suo pronipote che le cose, per lui e per la sua vita futura, saranno, come dire, un po’ “salate”, non piacevoli.
In questi ultimi due anni una sigla più che utilizzata è sta DPCM, come sciogli questo acrostico?
Per via della pandemia da Covid, siamo stati travolti da nuove (e tristi) sigle: DaD, DPCM. Per parte mia, DaD non significa Didattica a Distanza, bensì Dante a Domicilio. Grazie alla tecnologia informatica e alla connessione Internet infatti ho potuto realizzare decine e decine di conferenze online, portando, appunto, Dante a domicilio, direttamente nelle case degli studenti. DPCM, invece, per me sta per Dante Per Cambiare il Mondo. Ho realizzato uno spettacolo con il Comune di Canosa e con il Teatro Pubblico Pugliese fruibile online, tramite la pagina Youtube del Comune di Canosa) con questo acronimo, diviso in tre puntate o momenti (Inferno – Purgatorio – Paradiso), con l’idea che quando la pandemia cesserà, non saranno sufficienti virologi e medici per riportarci alla normalità. Per tornare ad amare, ad abbracciarci. A stringerti sarà utilissima la poesia, Dante e gli altri Classici. Ecco il senso di DPCM come Dante Per Cambiare il Mondo.
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