IRA . Racconti da Kepler
Radiografia e Arte: scoperte casuali in laboratori bui
In 8 Novembre 2016 da Il ViaggiatoreÈ nel suo laboratorio, come tutte le sere. E come tutte le sere è intento in esperimenti di elettricità. È l’8 novembre 1895, venerdì. Fuori fa freddo e a quest’ora si possono toccare gli 0°C. Würzburg è una città di circa 100mila abitanti nel Regno di Baviera, e tra le vie che culminano nel fiume Meno i monumenti devoti alla cultura cristiana sanno ben integrarsi con l’ultima coda del Positivismo, con la scienza percepita come salvezza del mondo. Wilhelm Röntgen ha già cinquant’anni, vive qui da sette, da quando si innamora di questa cittadina e accetta la direzione dell’istituto di fisica. Bertha è in casa, a poche centinaia di metri da lui. Gli ha probabilmente preparato la cena, ha probabilmente sopportato il fatto che per l’ennesima volta per il marito sia più importante stare chiuso al buio nel suo laboratorio. Perché Wilhelm Röntgen non sopporta la luce. O meglio, la sopporta ma non distingue i colori e questo lo spinge a preferire il buio. Dunque, in quella stanza buia, mentre lavora con un tubo a vuoto, Wilhelm nota una lettera A luminosa. Se ne stupisce. Sul foglio di carta che ora osserva con esaltazione, la lettera è stata scritta con una soluzione di platinocianuro di bario. Wilhelm non capisce che dal tubo a vuoto raggi invisibili si sono irradiati toccando la soluzione chimica. Posa la mano sulla traiettoria del fascio di raggi. Si accorge che sul foglio compare l’ombra delle ossa della sua stessa mano. Capisce che questi raggi sconosciuti, questi raggi X, scaturiscono dal contatto dei raggi catodici con l’anticatodo nel tubo. E sa di aver scoperto qualcosa di grosso.
Siamo a Parigi. È notte, ma nemmeno lui ricorderà più la data. Di certo l’anno 1921 sta per finire. A giugno si è stabilito in Francia, a Montparnasse, dopo un lungo soggiorno a New York. Ha cominciato a lavorare alla fotografia di moda collaborando con lo stilista Paul Poiret. Si diverte, dice, a scattare foto di moda, proprio lui, anti-realista espressivo. E se fosse l’8 novembre anche qui, a Parigi, in Rue Delambre, civico 15, nell’Hotel Des Ecoles, camera 37? Se fosse la stessa notte di 26 anni dopo? Non a Würzburg, ma a Parigi, la città delle avanguardie, dove si respira aria di Belle Epoque, dove lo stesso Poiret ha il suo bel daffare a creare abiti per le signore emancipate che vogliono vivere e divertirsi.
Mi sembra di entrare di soppiatto nella camera oscura dell’artista. Sento l’odore cui lui è ben abituato, quello di uova marce, quello peculiare dei bagni chimici per la fotografia. Man Ray armeggia con i negativi destinati allo stilista. Un foglio di carta finisce nella vaschetta per lo sviluppo. Un foglio di carta vergine, tiene a precisare più avanti, finito in mezzo a quelli già esposti sotto i negativi. Aspetta invano un paio di minuti ma non appare nessuna immagine. Si arrabbia perché ha sprecato la carta. Meccanicamente appoggia nella vaschetta, sulla carta bagnata, un imbuto di vetro, il bicchiere graduato e il termometro. Strumenti da camera oscura. Accende la luce e nota che un’immagine comincia a formarsi. Non una semplice silhouette degli oggetti, ma una figura distorta e rifratta dal vetro che è più o meno a contatto con la carta e che si staglia contro uno sfondo nero, cioè la parte esposta direttamente alla luce.
Venerdì 8 novembre 1895 a Würzburg, Baviera, Wilhelm chiama sua moglie Bertha, e lei si sente forse sollevata nell’invadere il mondo del marito. Lo asseconda e gli porge la mano, che lui conduce tra il tubo e la lastra. Si forma l’immagine sul foglio, come sperato: la fotografia dello scheletro della mano di Bertha, con la vera nuziale all’anulare destro. Wilhelm e Bertha Röntgen compongono la prima radiografia della storia.
Ventisei anni dopo, nell’anno 1921, ed è plausibile che si tratti dello stesso 8 novembre, nella notte tra la domenica e il lunedì, in una camera dello storico albergo Des Ecoles in Rue Delambre, il 31enne Man Ray realizza la prima Rayografia. Ci prende gusto perché nella stessa notte utilizza qualsiasi oggetto che trova sottomano, nel buio di quella improvvisata camera oscura: pezzi di spago, la chiave della camera, fazzoletti, matite e pennarelli. Non è necessario immergerli nel liquido, gli basta posarli sulla carta asciutta esponendo questa alla luce per alcuni secondi. Dice tra sé e sé, con autoammirazione, che queste rayografie hanno un aspetto nuovo e misterioso. Dadaista.
Radiografia e Rayografia non sono la stessa cosa. Se la straordinaria scoperta di Röntgen sarà utilizzata soprattutto in medicina come mezzo diagnostico e come cura di molte malattie, la più modesta intuizione rayana sarà lo spunto per una scomposizione della realtà, per un’analisi del mondo. Una forma di diagnosi anche qui. Probabilmente senza la prima intuizione non ci sarebbe stata la seconda e senza la scoperta della fotografia non ci sarebbe stato, forse, nulla di tutto questo.
Senza entrambe non avreste oggi artisti come Hugh Turvey, che fondano la propria arte sulla tecnica dei Raggi X per realizzare i cosiddetti Xograms. Lavori che uniscono arte e scienza, grafica e fotografia pura, che cercano di analizzare l’arte e il mondo entrando nel cuore degli oggetti attraverso il superamento della superficie.
Il video:
Radiografia e Arte: scoperte casuali in laboratori bui
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