INVIDIA . Lector In Invidia
Storie di conti senza l’oste
In 2 Dicembre 2016 da Attilia Patri DPE fu così che un bel giorno di novembre, aprendo i quotidiani e ascoltando la tv, gli Italiani scoprirono a sorpresa, quasi a loro insaputa, di essere più felici o, se non proprio più felici, almeno meno preoccupati, più sereni, meno in affanno nell’affrontare la quotidianità e nel guardare al futuro, anche se quantizzare la qualità del futuro sembra essere sempre più una chimera.
A darci conto e farci partecipi di tanta contentezza ci ha pensato l’Istat, l’Istituto Nazionale di Statistica, che tanto si prodiga nello stendere rapporti su tutto quello che ci riguarda. Nello specifico l’analisi si occupava di stabilire “La soddisfazione dei cittadini per le condizioni di vita” e il risultato estrapolato indicava, a chiare lettere, il termine aumento di soddisfazione. “Aumento”, in positivo, dunque; induttore di emoticon sorridente, Principio di Archimede capace di sollevare l’anima un po’ rattrappita e afflitta da mille e più complessità, respiro di sollievo che stira alveoli con una ventata di aria più nuova e fresca, piacere di un caffè di quelli che “più lo mandi giù e più ti tira su”.
Il giorno era il 22 novembre, un martedì; un martedì come oggi che sto scrivendo e che di numero fa 29 e per sottrazione indica una settimana, un tempo brevissimo per fare stime eppure, nel suo piccolo, riflette quanto si possa dire di tutto e il contrario di tutto: soddisfazione presunta e insoddisfazione latente, felicità dedotta e disperazione dichiarata.
Ma chi sono, dunque, i depositari di tanta felicità, ovvero su chi e su che cosa si sono basati gli esperti nazionali della Statistica, prendendo come periodo di riferimento il quinquennio 2011 – 2016, per poi poter trarre conclusioni così confortanti? Ce lo svela il report di Istat dal quale si evince che le persone dai 14 ai 19 anni risultano essere le più soddisfatte raggiungendo il 54,1% mentre lo sono molto meno i giovani adulti (dai 35 ai 44 anni) e i giovani anziani (dai 65 ai 74 anni). Si potrebbe ribadire all’Istat che essere felici tra i 14 e i 19 anni, a parte le problematiche tipiche dell’adolescenza, non ci sembra una grande rivelazione soprattutto quando vige la morale imperante che tende nelle famiglie nostrane, anche le più economicamente disastrate, a fare in modo che ai pargoli di casa non manchi mai nulla nonostante i se e i ma, mentre non ci sorprende che lo siano meno sia la fascia trainante dell’economia-Paese che quella che, catapultata in questa nuova Italia un po’ traballante, non si riconosce più provenendo da periodi di benessere passato che non ritrova adesso.
Anche per quanto riguarda la sfera inerente la situazione economica delle famiglie, l’Istat ci offre la lettura di un leggero miglioramento, un minor timore o un maggior coraggio (a scelta) nell’affrontare la paura del domani rispetto al tenore di vita attuale. Il 50,5% delle famiglie guarderebbe avanti in modo sereno ma, matematicamente, 50,5% è la metà dell’intero dove l’altra metà è già sottosopra da un po’, riuscendo a malapena a barcamenarsi nell’odierno da non aver neanche tempo e illusione di guardare al domani.
Al parametro economico è strettamente collegato il dato che afferisce alle professioni. Tra gli occupati, i dirigenti, gli imprenditori e i liberi professionisti insieme ai quadri e agli impiegati dichiarano livelli di soddisfazione più alti che crescono in relazione al titolo di studio, rispetto ai punteggi di operai e lavoratori in proprio; verrebbe da dire “ci voleva l’Istat per arrivarci”.
Proseguendo nell’elenco scopriamo che il 90,1% degli Italiani è soddisfatto nell’ambito delle relazioni familiari e, qui, possiamo anche crederci o far finta di crederci visto che, nella grande maggioranza dei casi, quando i rapporti familiari non funzionano più, spesso si riempie la pagina dedicata alla cronaca nera. L’82,8% della popolazione è soddisfatta per le relazioni amicali assecondando il vecchio adagio secondo il quale “chi trova un amico trova un tesoro”, mentre l’81,2% lo è del proprio stato di salute, il che non è proprio poco se si pensa che “quando c’è la salute c’è tutto”. Il 67% degli interessati al sondaggio è appagato dalla quantità e qualità del proprio tempo libero secondo le risposte fornite dalla fascia compresa tra i 14 e 19 anni, l’unica probabilmente in grado di trovarlo e apprezzarlo appieno, mentre, inevitabilmente, per tutti gli altri varia con le fasi del ciclo di vita e in relazione alle differenze di genere che vede le donne con una percentuale inferiore di risposta positiva rispetto a quella degli uomini. Quest’ultimo dato non sorprende affatto. Proviamo a chiederci se una donna mediamente giovane possa essere soddisfatta dal suo tempo libero tra occupazione esterna, famiglia, casa e il quadro è talmente lampante che l’unica risposta un po’ sensata e senza essere pessimisti è quella di dire che non era neanche il caso di porgere domande e stilare statistiche.
In ambito più generale alla domanda sul grado di fiducia verso gli altri il 78,1% degli interpellati ha dichiarato che “bisogna stare molto attenti” confermando la norma che “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” pur convenendo che percepisce il rischio criminalità nella zona in cui vive più basso rispetto al passato. In lieve aumento le lamentele concernenti la sporcizia nelle strade, i collegamenti con i mezzi pubblici, l’inquinamento dell’aria, il traffico e conseguente difficoltà di parcheggio, il rumore. Insomma, le solite cose utopistiche di sempre che se non affrontate mai seriamente mai si risolveranno o, almeno, ridurranno.
Dunque, ricapitolando: nelle cose mediamente più essenziali, situazione economica e attività lavorativa, dalle quali poi dipendono le derivate (qualità del tempo libero, mantenere e raggiungere lo stato di salute, relazioni familiari distese) l’Italiano medio, nel 2016, si ritiene più soddisfatto e, anche per chi legge, all’apparenza, pure queste sono soddisfazioni.
Però c’è un però e francamente tanta positività un po’ sorprende specie se confrontata con l’articolo di “Repubblica Economia e Finanza” del 24/11 che riporta la valutazione macroeconomica del disagio sociale elaborata da Confcommercio, il Misery Index, che osserva a settembre 2016 un aumento dell’indice di disagio sociale a 18,9 punti con una disoccupazione estesa costituita da disoccupati, cassaintegrati e scoraggiati che raggiunge il 14,8% degli individui in età lavorativa.
Il dato numerico di per sé già dice tanto ma ancor più racconta se, in questo, è conteggiato qualcuno che magari ha famiglia e obblighi verso di essa e si trova in condizione di cassaintegrato prima e di disoccupato poi. Non saprei con che coraggio l’Istat potrebbe chiedergli cosa pensa del tempo libero e della salute, annoverando nella salute anche solo un banale controllo odontoiatrico, tanto per fare un esempio; con che buon senso chiederebbe una valutazione da 1 a 100 del grado di soddisfazione ad un laureato precario (quando gli va bene), ad un imprenditore a rischio fallimento o a chi la saracinesca della bottega già l’ha abbassata da un po’.
Sarebbe allora il caso di dire che, se soddisfazione c’è, questa forse è la risultante di un progressivo adattamento a tempi diversi e difficoltà poste su un piano inclinato in salita e rinunce che diventano norma e alle quali non si fa neanche più caso; il passaggio dapprima doloroso e soffocante e poi progressivamente anestetizzato dall’abitudine a ritmi di vita non più scanditi da quelle piccole o grandi gratificazioni voluttuarie, magari banali e superflue, ma che sono il condimento naturale di giorni pieni, la naturale ricompensa e completamento del proprio darsi da fare.
La riprova che tanta soddisfazione non c’è la ritroviamo anche nelle stime di Ania-Consumatori che, sempre in data 24/11, pubblica i risultati dell’Osservatorio sulla vulnerabilità economica. Dalla ricerca emerge che il 61,3% delle famiglie fa fatica ad arrivare a fine mese e, volendo ulteriormente suddividere per meglio scavare in questa “grande soddisfazione”, si ottiene il seguente ventaglio percentuale: 7,9% gravi difficoltà, 13,3% molte difficoltà, 40,1% alcune difficoltà. La panoramica di ritorno non è certo delle più rosee e ci fa intuire, anche senza molti voli di fantasia, e anche senza riportare ulteriori dati, che troppi sono costretti a rinunciare anche al necessario, non solo ritardando le spese importanti e le visite mediche, ma anche risparmiando sulla spesa quotidiana.
Sempre secondo l’Ania la “vulnerabilità” – perché “quasi povertà” è troppo dura d leggere – si esprime anche nella estrema difficoltà per circa il 16,5% delle famiglie a far fronte a una spesa imprevista dell’ordine di 700 euro per cui ricorre all’indebitamento attraverso prestiti e mutui che, se da un lato aiuta, dall’altro fa sprofondare nel girone dei sovraindebitati dal momento che la rata complessiva, secondo Banca Italia, è superiore al 30% del reddito.
La tanto declamata soddisfazione proclamata dall’Istat sembra naufragare anche nei dati riportati da “La Stampa” in data 28/11 che esaminano Bologna la grassa e ne fanno un ritratto di città al limite dove la crisi non è mai finita, specie se si entra in una mensa della Caritas dove il 64% dei pasti sociali è per gli Italiani.
E’ in quella specie di sala d’aspetto che finisce il boom economico di alcuni che non ci si aspetterebbe di trovare lì e che, invece, sono proprio lì in fila come e insieme agli altri, quelli che si danno per scontato possano essere lì; gli ex-benestanti si riconoscono per quella diversa forma di disagio, di educazione, di eleganza di modi che si portano dietro comunque siano andate le cose, fianco a fianco dei nuovi poveri, quelli con figli e penalizzati dai divorzi. Per tanti di questi fruitori il tetto per la notte è rappresentato da un biglietto del treno da 1 euro e 50 centesimi, il più economico, la chiave di accesso per entrare in stazione da dove non si parte ma molto più semplicemente consente di trovare giaciglio sul pavimento coprendosi con coperte che formano il bagaglio che accompagna per le strade le loro esistenze quasi invisibili.
Questa è Bologna ma non ci riesce difficile immaginare che ciò avvenga, quasi a fotocopia, anche in molte altre città dello Stivale, così come non ci riesce difficile immaginare che in Italia vi sia ormai una percezione generale che sembra orientata più alla provvisorietà del tutto che a progressiva stabilità al punto che si può comprendere perché, nel nostro Paese, nascano sempre meno bambini da coppie italiane: meno 17000 rispetto al 2014, meno 91000 rispetto al 2008. I dati sono sempre dell’Istat e pubblicati da “Rainews” il 28/11 e sembrano in contraddizione con quelli che indicano maggior soddisfazione derivante da benessere, perché, dove c’è benessere, una nascita non spaventa.
Da questo raffronto di dati e realtà sembra che la Statistica sia una strana Scienza dove trovi tutto e il contrario di tutto e, in questo scontro fra numeri, forse ha ragione Ania quando dice che “può parlare di miglioramento della propria situazione, in generale, chi si trovava già in una situazione di poca vulnerabilità”. E’ lapalissiano, certo. E allora è lecito un dubbio e cioè: l’Istat questo sondaggio lo ha proposto ai Parioli, a Cortina, a San Babila e a Porto Rotondo? Oppure, più semplicemente, le persone per un senso di orgoglio, per rinnegare difficoltà, per non emergere come perdenti o, peggio, fallimentari hanno falsato le risposte. Oppure, ancor più semplicemente, l’ottimismo è – in fondo – il sale della vita. Quella che verrà.
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