IRA . Lettere dall'Ira
Uomini Omega
In 7 Maggio 2021 da Chiara MenardoAmmassi di burro e colline. Camminano, sole o in gruppetti, con i capelli lisci e lunghi che si muovono a ritmo e intanto parlano al telefono, sculettano, si fermano a guardare le vetrine, lanciano sguardi veloci come frecce che mancano il bersaglio e proseguono oltre.
Ammassi di colline e di burro con gambe lunghe fasciate dai pantaloni stretti, o libere in gonne leggere, le borse a tracolla e un gelato in mano. Ammiccano e cercano. Mascherine truccate che vogliono sembrare perfette, nascondere le rughe e i nei. Che si strizzano in magliette attillate. Petto in fuori, pancia in dentro, inarca la schiena e tira su il mento. Me le vedo, allenarsi allo specchio a fare le facce: stringendo le palpebre, tirando in dentro le guance. Me le immagino eccome. Tutte così, sono. Dalla prima all’ultima.
E, mentre lucidano gli involucri di burro e colline per mettersi in mostra, in quei cervelli coperti di trucco calcolano e misurano, pesano e contano.
Cercano, volpi in agguato davanti ai pollai: studiano e osservano, puntano al gallo più grasso da portarsi via. Quello più bello, con la cresta più grande e le piume della coda più colorate e lucide. Tutte così. Sono tutte uguali, loro, ammassi di colline e di burro con gli occhi grandi e il mascara. Tutte, dalla prima all’ultima, senza eccezioni.
Le guardo passare senza vedermi, come se fossi un velo di fumo. Non mi guardano, non mi prendono in considerazione: non sono il tipo, per loro che cercano il capobranco e non l’ultimo esemplare spelacchiato del mucchio.
Sono troppo ordinario, troppo magro, con la pancia un po’ grossa, troppo stempiato, troppo ordinario, troppo poco ambizioso, troppo poco intelligente, con il conto in banca troppo sguarnito e poi non ho nessuno da comandare, io.
Le osservo in ufficio mentre ronzano intorno ai papaveri, mentre io sono un filo d’erba. Grazie, prego, ciao, mi passi la pratica? E alle cene, sugli autobus, nelle code davanti ai negozi, in palestra, al mare in estate, agli aperitivi. Così fanno, non mi chiedono mai come sto, non vogliono sapere cosa ne penso del tempo, delle notizie del giorno, dell’ultimo film. Sono un velo di fumo sottile, per loro. Invisibile.
Quindi non parlo con loro se non quando devo, e sono smozzichi di sillabe con la bocca quasi chiusa, mentre io vorrei tanto toccarle, sfiorare i capelli lisci come le acque ferme di un lago, affondare la faccia sulla piega del collo dove so che si spruzzano il profumo. Ma non mi guardano: perché non sono abbastanza.
Per questo le odio: perché passano oltre e non si fermano mai.
Ammassi di burro e colline, tutte uguali, tutte loro. Tutte.
Ho letto libri su come si fa ad avvicinarle, ho studiato e fatto ricerche, io. Prove su prove, tentativi andati a male come pesche molli e ammuffite. “La Bibbia della seduzione”, “Il seduttore zen”, “Approcci a freddo”, “Conquistala con frasi choc” e così via, così discorrendo. Ho cercato on line e offline.
Ho fatto di tutto quello che andava fatto, io, eppure non è servito a niente. Sono rimasto invisibile, pieno di tecniche in testa che restano lì perché, nonostante tutto, per loro continuo a essere una cortina trasparente di fumo cui passano attraverso, il bersaglio sbagliato delle loro frecce. Passano oltre.
Ma non sono solo, non mi sento più solo. So che siamo tanti, noi uomini omega buttati in un angolo, privati del più basilare dei diritti umani: il diritto al piacere, a una sana scopata come si deve, senza contropartite.
E non è colpa mia, non è colpa nostra. Sono loro, gli ammassi di burro e colline: cercano altro, di più, sempre di più. Cercano gli alpha, vanno con gli alpha, la danno agli alpha. Ce n’è sempre uno davanti a me nella fila, un prescelto. E uno scartato: eccolo qua.
C’è quella del bar dove vado al mattino: disegna le foglie nella schiuma del cappuccino e non mi guarda nemmeno in faccia quando mi allunga la tazza spingendola dal bordo del piattino, mentre il suo sguardo mi passa attraverso e si pianta, freccia finalmente andata a bersaglio, su un qualsiasi altro maschio dietro di me: meglio vestito, più alto, più muscoloso, con il telefono più figo o, solamente, con l’aria di quello che prende tutto quello che vuole. E lei vuole essere presa. Da lui, non da me, ovvio.
E la collega, quella alle vendite, che gira sui tacchi e ondeggia come una tenda mossa dal vento, con i capelli lunghi e sciolti sulle spalle, che profumano sempre di buono? E poi la commessa al supermercato, la ragazza in portineria, la dottoressa della mutua e la farmacista, e tutte le altre. Non ce n’è una per me, nemmeno per sbaglio.
Sono una persona pulita, dico per favore e grazie, ho un lavoro, ho letto dei libri, ho una casa e una macchina: sono io. Mi vedi, brutta stronza? Guardi me, per una volta, invece di cercare muscoli e soldi, mascelle e testosterone? Mi vuoi guardare una sola cazzo di volta?
Ammassi di burro e colline un paio di palle. Non avete né cuore né pietà, mucchi di carne con le gonne leggere che non riesco a sfilare, labbra e capelli che non posso sfiorare, braccia che non cingono me.
Noi. Avete braccia per altri ma non per noi, uomini omega che un giorno o l’altro ci vendicheremo, in qualche modo.
Noi. Costretti a pagare per un diritto che è nostro.
Noi. Calpestati dai vostri tacchi a stiletto.
Noi. Chiamati morti di figa.
Noi. Chiamati involuntary celibate, INCEL, sfigati.
Noi. Che vogliamo solo che l’ordine torni a essere quello che era quando le cose andavano bene, non come ora che tutto è cambiato.
Noi. Che prima o poi ve la faremo pagare.
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