
CattiviConsigli . IRA
Sono sempre gli stessi
In 24 Ottobre 2020 da Gianluca PapadiaIo e il mio amico Franco da trent’anni, tutti i venerdì, c’incontriamo nello stesso pub per bere una birra insieme. È un appuntamento fisso e le poche volte che non ci siamo visti è stato per gravi motivi di salute. Non basta una febbre per saltare quest’appuntamento e nemmeno un’allerta meteo rossa. Lockdown a parte, mi ricordo che in entrambe le occasioni ero a letto con una colica renale in atto. Franco non è venuto quando suo suocero è stato operato all’anca e quando, dopo un incidente stradale, lo trattennero in ospedale in osservazione perché aveva battuto la testa contro il volante.
Stasera siamo di nuovo qui. Di solito restiamo fino alla chiusura, chiacchierando del più e del meno, sorseggiando la nostra birra preferita e fumando il sigaro. Il proprietario è un amico di vecchia data e ci lascia fumare dentro, soprattutto d’inverno.
«Tra un po’ chiudiamo» dice la ragazza che ci sta servendo un altro giro di birra. Non ricordo se è il sesto o il settimo. La paura che ci avrebbero fatto uscire dal locale ci ha spinto a bere come se non ci fosse un domani.
«Davvero?» chiede Franco dopo aver svuotato la sua bottiglia in un sorso solo. Io faccio lo stesso per non restare indietro.
«C’è il coprifuoco» risponde lei. Quella parola mi riporta alla mente i racconti sulla guerra di mio nonno.
«Maledetti fascisti!» sussurra Franco con lo sguardo perso nella bottiglia vuota. «Non sanno più cosa inventarsi per toglierci i nostri diritti» aggiunge, poi come se avesse avuto una folgorazione: «barrichiamoci in questo pub e scoliamoci tutte le bottiglie di birra!»
«Il conto, per favore» urlo al titolare, per cambiare discorso.
«Ti ricordi gli anni della pantera?» mi chiede Franco con un sorriso satanico stampato sulla bocca. Evidentemente non ha ancora abbandonato l’idea che gli sta frullando in testa. «Occupazione! Ecco cosa ci vuole. Protestiamo! Cazzo! Non facciamo sempre le pecore.»
«C’è una pandemia, lo fanno per contenere il contagio» gli dico cercando di farlo ragionare. Per fortuna nel locale siamo rimasti solo noi. La ragazza sta liberando il nostro tavolo dalle bottiglie vuote. Li mette tutte in uno zaino nero.
«Volete occupare il pub?» ci chiede con un tono divertito. «Non sarete degli sfigati che da giovani occupavano l’Università solo per non sostenere gli esami? »
«No, macché» rispondo prontamente. «Era solo per parlare. Dove li porti?» le chiedo quando ha finito di riempire il suo zaino.
«Mi servono» mi risponde con un tono da bambina impertinente.
«Non sarai una di quelle sfigate che pensa che riciclare due bottiglie possa salvare il mondo?» le sputa addosso Franco in un momento di lucidità.
La ragazza sembra aver incassato bene il colpo e, dopo aver scambiato un saluto con il titolare, esce dal locale come se avesse fretta.
«Deve essere a casa prima del coprifuoco» dice Ciro, il proprietario del pub, interpretando i miei pensieri. «Ragazzi vi devo chiedere di uscire» aggiunge e appoggia il conto sul tavolo.
«Dovresti protestare» gli dice Franco. «Dovremmo protestare tutti invece di chinare il capo» aggiunge dopo aver leccato una goccia di birra caduta sul tavolo.
Mi alzo e, mentre passo 50 euro a Ciro, avvicino due volte il pollice alla bocca. È un chiaro segno per fargli capire che Franco è ubriaco e sta vaneggiando. «Tieni pure il resto».
«Se vi sbrigate, è lì che vorrei andare» risponde lui e, dopo aver intascato i soldi, fa partire un video su Youtube. Migliaia di persone si sono radunate sul lungomare per protestare contro il coprifuoco.
«Sei sicuro che non sia un fake?» pronuncia Franco che ha strappato il cellulare dalle mani di Ciro e ha gli occhi incollati a quel video.
«L’ha postato un mio amico che ha un pub lì vicino» risponde Ciro e si affretta a chiudere tutte le luci.
«Una manifestazione spontanea!» sta dicendo Franco mentre lo trascino fuori dal locale.
Ciro chiude la porta del pub, si riprende il cellulare dalle mani di Franco e inizia a correre verso il lungomare. Franco lo segue immediatamente lasciandomi spiazzato.
«Forza, muovi il culo!» mi urla il mio amico che non vedevo così eccitato dai tempi del nostro primo viaggio ad Amsterdam.
Dopo il primo scatto, devo fermarmi perché sono senza fiato. Correre con la mascherina non è proprio il massimo e me la tolgo per riuscire a respirare in modo corretto.
Un vecchietto che sta passando proprio in quel momento mi guarda con disprezzo. «I soliti giovani che non si mettono la mascherina» sentenzia con un tono acido.
«Non dovresti essere a casa, nonno? Stasera inizia il coprifuoco!» gli urlo quando il mio respiro sembra essere tornato regolare.
Raggiungo il lungomare e vedo Ciro che parla con alcuni suoi amici. «Dov’è Franco?» gli chiedo da lontano. Ciro allarga le braccia per farmi capire che non ha idea di dove può essersi cacciato il mio amico.
Lo cerco tra la folla ma non riesco a trovarlo. Da lontano sento dei cori da stadio che si stanno avvicinando. Dalla parte opposta poliziotti in assetto da guerra, stanno componendo un cordone umano per non fare arrivare i manifestanti sotto la sede della Regione Campania.
Il gruppo di scalmanati mi raggiunge e faccio giusto in tempo a salire sul muretto che divide il marciapiede dagli scogli, per non essere travolto. Mi alzo in piedi sul muretto e finalmente lo vedo: Franco è in prima fila a urlare slogan contro il Presidente De Luca. Scendo dal muretto e m’intrufolo in quella folla di agitati. Raggiungo con difficoltà la prima fila proprio quando il gruppo si ferma a una decina di metri dal cordone di agenti in assetto antisommossa.
«Che cazzo fai?» urlo nell’orecchio di Franco. «Guardati intorno, non li vedi? Sono sempre gli stessi» aggiungo, cercando di tirarlo per un braccio ma lui oppone resistenza e non si sposta nemmeno di un centimetro. Mi metto davanti a lui per essere sicuro che capisca bene le mie parole. «Sono sempre gli stessi, lo capisci? Ci sono quando il Napoli vince e ci sono pure quando il Napoli perde. Ci sono quando vince la destra ma pure quando vince la sinistra. Sono sempre gli stessi! C’erano pure per Greta, ti ricordi? Alla marcia della pace, alla manifestazione per i diritti degli immigrati, ai presidi contro la terra dei fuochi e allo sciopero dei lavoratori della Whirpool. Franco, ascoltami! Sono sempre gli stessi!» urlo ancora mentre i poliziotti alle mie spalle cominciano a muoversi verso di noi.
Qualcuno inizia a lanciare delle pietre verso gli agenti. «Lo vedi che non è una manifestazione spontanea? Dove le hanno prese le pietre?» chiedo a Franco e un sospetto s’insinua nel suo sguardo. Vedo la ragazza che serviva prima ai tavoli che gira tra la folla. Sta distribuendo qualcosa che prende dal suo zaino nero. Al primo lancio di molotov capisco a cosa le servivano le nostre bottiglie di Du Demon. La polizia risponde prontamente con un lancio fitto di lacrimogeni.
«Hai visto? Sono sempre gli stessi e hanno sempre con loro le molotov. Era tutto premeditato» urlo a Franco mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime. I manifestanti stanno raccogliendo i fumogeni e li lanciano contro la polizia. Gli giro la testa verso la ragazza che sta distribuendo le molotov. «Guarda. Sono le nostre bottiglie di birra! Le vedi?»
«Ehi! Bastarda! Quelle sono le nostre bottiglie!» urla Franco alla ragazza che intanto si è dileguata.
Lo scoppio di una bomba carta ha un effetto devastante su Franco che, con lo sguardo terrorizzato, inizia a spingermi verso gli agenti. Si fa scudo con il mio corpo mentre i poliziotti ci caricano a colpi di manganello.
«Franco! Franco! Lasciami. Che fai?» sono le ultime cose che riesco a dire prima di svenire dalla paura.
Quando mi risveglio, non riesco a muovere le mani. È come se le avessi legate dietro la schiena. Sento qualcuno russare e quando i miei occhi si abituano alla luce, capisco che si tratta di Franco che dorme a pochi metri da me. Siamo entrambi seduti in una stanza buia. Non so da quanto tempo siamo lì ma a me sembra un secolo. Un agente di polizia entra nella stanza e, quando accende le luci, finalmente capisco dove ci troviamo.
«Agente ci deve essere un errore. Perché sono ammanettato?» dico ma lui non mi degna nemmeno di uno sguardo. Sta scrivendo qualcosa su un foglio che ha preso da una cartellina che era poggiata su un tavolo in fondo alla stanza.
«Il tuo amico ha confessato. Adesso stiamo aspettando che arrivi il giudice» dice l’agente di polizia prima di uscire dalla stanza.
«Franco! Franco!» urlo verso il mio amico che dorme beato come un bambino. Provo a dargli un calcio ma il mio piede non arriva alla sua sedia.
«Sono il commissario Vicidomini» dice un uomo sulla sessantina che è entrato nella stanza. Ha un volto conosciuto ma non ricordo dove l’ho visto prima.
«Guardi dottore, c’è stato un terribile malinteso».
«Le accuse verso di voi sono gravi. Il suo amico ha confermato quello che un agente infiltrato aveva già messo agli atti».
«Ma cosa? Franco era ubriaco fradicio, mi creda».
Il commissario prende un foglio dalla cartellina poggiata sul tavolo e, dopo aver indossato un paio di occhiali, legge una dichiarazione: «Francesco Cassetti, gridava alla suddetta ragazza non ancora identificata, “Ehi! Bastarda! Quelle sono le nostre bottiglie!”» .
«Erano le birre che avevamo bevuto al pub».
«Il Cassetti, qui presente, ha confermato che le molotov le avete portate voi» mi dice l’uomo guadandomi da sopra gli occhiali.
«Siamo alle solite. A ogni manifestazione c’è sempre un gruppo di facinorosi che cerca un pretesto per avere uno scontro con le forze dell’ordine. Sono sempre gli stessi, li conoscete tutti ma non fate nulla per impedire che tutto ciò accada. Vi servono per screditare ogni manifestazione di protesta. E come fate a non arrestarli? Cercate un capro espiatorio da sbattere in galera e questo stronzo del mio amico ve l’ha servito su un piatto d’argento. Adesso se è così gentile da liberarmi, devo fare una telefonata al mio avvocato».
L’uomo poggia il foglio sul tavolo e prende le chiavi dalla tasca. Si avvicina a me e libera finalmente le mie mani. «Farò finta di non aver sentito le cose che ha detto. Evidentemente lei è ancora sotto choc» pronuncia indicandomi la porta.
Mi muovo verso l’uscita ma sento Franco che si agita sulla sedia. È come se non riuscisse a trovare la posizione poi apre un solo occhio, si guarda intorno, mi vede in piedi e pronuncia serenamente: «Ti dispiace chiudere la luce? Qui c’è gente che sta cercando di dormire!».
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