IRA . Racconti da Kepler
Hey, che Happy Days!
In 15 Gennaio 2016 da Il ViaggiatoreProvo una strana sensazione su questo set, oggi 18 gennaio 1974: mi trovo nella ricostruzione di un locale bar, punto di ritrovo dei protagonisti di questa serie longeva e fortunata. Sono in quello che, solo nei primissimi episodi, sarà Arthur’s per poi diventare per tutto il mondo Arnold’s. Sono sul set di Happy Days, teoricamente a Milwaukee nel Wisconsin, in una città che negli U.S.A. si può considerare di provincia; questa sera sulla rete ABC andrà in onda All the Way (Fino in fondo), il primo dei 255 episodi distribuiti in undici stagioni per raccontare il decennio tra la metà degli anni Cinquanta e Sessanta.
La serie è un cosiddetto spin-off che nasce dall’episodio Love and the Happy Days della produzione Love, America Style che si chiude proprio quest’anno.
I Settanta sono anni rivoluzionari e post rivoluzionari, nei quali forse si ha voglia anche di guardarsi indietro e ripescare una certa spensieratezza; il 1974 è l’anno del Padrino parte II e l’Oscar® come miglior film a La stangata. Nella cinquina c’è pure American graffiti, la pellicola che vede tra i protagonisti proprio il protagonista di Happy Days: Ron Howard, che qui interpreta Richie Cunningham.
Mi siedo sulle poltroncine in pelle marrone, dove gli inseparabili Richie, Potsie, Ralph mangeranno hambuger preparati da Arnold prima e da Al dopo, soffriranno per amore, cresceranno negli anni del loro college alla Jefferson High School, come è scritto sulla schiena del loro cardigan. E poi Fonzie, la rivelazione della serie e che da coprotagonista con un giubbottino azzurro indosserà presto il giubbotto di pelle nera mentre cavalca la sua Triumph TR5.
Lì c’è il jukebox, quello dei lenti e del rock and roll, negli anni nei quali al cinema James Dean è il divo e Montgomery Clift l’antidivo. Gli Stati Uniti sono un Paese pieno di contraddizioni, bacchettone e che si sta preparando al VietNam, al quale non sfuggirà proprio Richie che da giovane sognatore ed eroe positivo diventerà uomo segnato da una guerra disastrosa come è capitato alla generazione che interpreta.
Certo che è proprio bello quel jukebox, davvero geniale nella sua invenzione. Spesso Fonzie lo accenderà senza moneta ma con un leggero pugno e il conseguente “Hei” sottolineato dai due pollici in segno di autocelebrazione di uomo esperto e vissuto, il duro dai buoni sentimenti, il meccanico dalle mille conquiste femminili che rimangono sempre circoscritte all’apparente “pomiciata”.
Mi piacerebbe che Artur o Al, i gestori del locale che si passeranno il testimone nel corso delle stagioni, mi portassero frappé, patatine e hambuger e mi raccontassero questi anni, mentre il flipper risuona perché in tilt. E mentre leggo i nomi sui gagliardetti appesi alle pareti vedo la porta del bagno, anzi dell’ufficio di Fonzie. La tentazione è entrare, guardare lo specchio dove il ciuffo di questi ragazzi non può essere mai spettinato, grazie all’immancabile pettine da estrarre dalla tasca posteriore dei pantaloni con i risvoltini.
Il creatore di questa produzione è Garry Marshall (regista tra qualche anno girerà Pretty Woman) che ha costruito uno spaccato molto tradizionale, forse per questo vincente, in cui tutto ruota attorno alla famiglia dove il fulcro è la mamma Marion, spiritosa, apparentemente ingenua se non svampita, pronta a sfornare la classica apple pie e indossare la gonna lunga e voluminosa; il padre è Howard, tipico americano con qualche chilo di troppo, serio lavoratore e commerciante con un negozio di ferramenta, frequentatore del circolo, la mitica Loggia del leopardo, dall’apparenza un po’ burbera e che in politica vota Repubblicano, al contrario del figlio, progressista e con il quale si scontrerà quando lo vedrà sostenere un candidato democratico, accettandone alla fine la scelta per un buonismo giustificato dalla leggerezza della produzione. A chiudere il classico canovaccio non tanto Chuck, un fratello maggiore troppo preso dalla pallacanestro e che scomparirà molto presto da ogni episodio, quanto la sorella minore “sottiletta” Joanie, curiosa, impertinente e che passerà dall’adolescenza alla giovinezza che la faranno sempre più protagonista con il passare degli anni e gli abbandoni nel cast.
Mi tornano in mente due altri spin-off: da Happy Days nasceranno infatti altre due serie, Laverne e Shirley (a proposito: Laverne è interpretata da Penny Marshall, la sorella di Garry) e dell’alieno e della sua amica terrestre, vale a dire Mork e Mindy, serie che ha rivelato al grande pubblico il talento di Robin Williams.
Credo sia ora di smetterla di indugiare e sia giunto il momento di alzarsi e, dopo aver tentato di far partire inutilmente il juke box come Fonzie, è meglio spegnere tutte le luci del set, facendo finta di chiudere un locale vero e un passato che mi ha incuriosito e per il quale forse è giusto che proviate un pizzico di nostalgia.
Intanto mi ci vuole un frappé al cioccolato e un po’ di rock and roll…
Alla prossima!
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