INVIDIA . Lector In Invidia
Soffia sul collo il vento
In 22 Marzo 2018 da Attilia Patri DPDa “Picchia la maestra d’asilo per un rimprovero alla figlia” a “Calci e pugni alla mamma perché non vuole pagare la vacanza a Praga”, insieme ad altri episodi che spesso riempiono la cronaca di provincia, tutto il disagio della genitorialità oggi, tra una ‘Festa del papà’ appena trascorsa e una ‘Festa della mamma’ che non tarderà ad arrivare.
Storie sbagliate di maestre e mamme ammaccate. Storie di realtà educative – o pseudo educative – con attori che interpretano ruoli con copioni mal scritti. Madri e padri in affanno perenne e mal speso.
Iper investimento di tempo, di energie, di emozioni, accompagnano e impregnano il ruolo di genitori. Ruolo delicato, denso di responsabilità, di difficile gestione, mutevole secondo le fasi di crescita: in una parola complesso. Molto complesso.
Di sicuro più complesso oggi che nel passato quando ai bambini non si prestava molta attenzione, non c’erano scaffali zeppi di manuali su crescita ed educazione, non ci si affidava al sociologo di turno che indicasse la retta via per diventare genitori perfetti e la vita scorreva sui binari della linearità della crescita come fatto fisiologico naturale: se gli adulti parlavano i bambini dovevano rimanere in silenzio, se facevano i capricci venivano ignorati e, se si annoiavano, erano lasciati liberi di annoiarsi senza che i genitori entrassero in paranoia.
Ruolo molto complesso, dunque, che, col passare degli anni, si è evoluto trasformandosi sempre più in un mestiere, se non addirittura in una mission lastricata di buone intenzioni e totale buona fede.
Per poter incorniciare il genitore perfetto dovremmo avere, del genitore, un buon ritratto fatto di un altrettanto valido mix, ben amalgamato, di autorevolezza, ascolto, comprensione, ma anche di autorità, attenzione, vicinanza, libertà, insieme a calore, limiti, comunicazione efficace, tempo, e azioni volte a guidare, aiutare i propri figli ad affrontare i problemi che, di volta in volta, la vita sparge sul loro cammino, e non risolverli al loro posto con il rischio di creare dei disabili a livello emotivo: insicuri, timorosi, incapaci di tollerare anche le più piccole frustrazioni, di prendere decisioni e assumere responsabilità.
Tutti potremmo avere questo buon ritratto se solo non ci facessimo divorare dall’ansia di protezione che si innesca in molti adulti nel momento stesso in cui leggono il referto del test di gravidanza: Positivo. Sono sufficienti quelle quattro sillabe, condite da gioia estrema, per spostare, in molte coppie, l’asse originale uomo-donna in asse padre-madre, prima, e famiglia figlio-centrica, dopo.
Tutto, da quel preciso momento in poi, subisce una deviazione di rotta, deviazione finalizzata alla costruzione di un piedistallo dove consumare le pratiche di rito collegate al bimbo-centrismo con genitori affannati in mille domande, in continuo confronto e compensazione con il proprio vissuto, ottimi ingegneri nel costruire campane di vetro che proteggano dai mali del mondo, in competizione continua con gli altri genitori per il podio dell’iper protezione, e sempre attanagliati dalla paura del fallimento.
L’ansia di protezione nei riguardi dei figli non sopporta sbucciature alle ginocchia, vede di buon occhio la bicicletta solo se appesa al chiodo perché in giro ci sono troppe auto, anche se abitiamo in piena campagna e non passa mai nessuno, relega in casa, al primo tentativo di soffio di vento e di goccia di pioggia, fino a data da destinarsi e, se proprio non si può fare a meno di uscire, almeno che il pargolo sia vestito come se vivesse in Alaska; ha comandi espressi con ‘non correre’ e ‘non sudare’ e se suda, anziché alleggerire i vestiti, si riportano subito a casa, dove sarà vietato farsi aiutare in cucina, o nell’apparecchiare, perché i coltelli sono taglienti e neanche si richiede un minimo di aiuto nel riordino della cameretta perché, si sa, i prodotti per la pulizia sono troppo pericolosi e, nella scopa, o nel filo dell’aspirapolvere, potrebbe addirittura inciampare.
Dal soffio sul collo normale che, chiunque sia stato figlio di genitori attenti, conosce bene, alla bora che spazza via personalità, carattere, mentre, per gemmazione continua, produce timidezza e insicurezza. Conveniamo che, per questi bambini, la vita non debba essere proprio facile, o semplice, mentre il termometro dell’ansia dei genitori si abbassa.
L’ansia si abbassa, certo, momentaneamente, fino a quando non interviene un altro seppur minimo fattore a rintuzzarla, come attizzatoio su brace in attesa di essere rinfocolata. Piccole scintille di apprensione che si sommano nel sacro fuoco del controllo ad ogni costo, e su tutto, ed ecco che, da quello che era primitivamente solo un asse uomo-donna, padre-madre, si libra, se non proprio nell’aria, sul collo, il fiato caldo, pesante, imbrigliante, dei genitori elicottero: quelli che ronzano costantemente sui figli frenando ogni qualsivoglia forma di progressiva autonomia e che instaurano con la prole un rapporto di natura prevalentemente tossica.
Sono padri e madri che, in buona sostanza – ma anche in buona fede, credendo di agire per il meglio – vogliono risolvere tutti i problemi dei loro figli, prendere tutte le decisioni, anche le più insignificanti, intervenire quando notano il minimo segno, o ombra, di “pericolo”.
Sono genitori che non conoscono il termine limite e vanno ben oltre il rapporto genitoriale psicologicamente sano e necessario. Sono quei padri e quelle madri che rimproverano agli insegnanti di aver dato un brutto voto o una nota disciplinare al proprio prezioso tesoro nonostante tutto, che criticano e si sostituiscono agli allenatori durante gli incontri sportivi, soddisfano e anticipano ogni desiderio privando i figli dell’autonomia di scelta e dell’esperienza della frustrazione ma seppellendoli sotto moli di giocattoli prima e di vestiti, telefonini, fotocamere, PlayStation, computer, dopo; super genitori che accompagnano i figli ai colloqui di lavoro e che pretenderebbero di parteciparvi come se la loro presenza potesse essere determinante per un esito positivo dello stesso; quelli che come obiettivo principale di vita hanno eletto il successo dei figli ad ogni costo, senza sforzo, perché lo fanno già loro; quelli che riempiono la loro agenda con decine di attività extra scolastiche come panacea da ogni male e condizione tassativa per un futuro vincente. Vietato annoiarsi o perdere tempo perché l’ansia in questi genitori non ha il tempo di aspettare.
La perfezione dei figli come risultante della propria perfezione, del proprio ‘Ah, se non ci fossimo stati noi’, dello specchio delle loro brame che riluce di imposizioni, senza, spesso, tener conto delle personali inclinazioni. Iper-padri e iper-madri sempre presenti e con quella funzione di spazzaneve che allontana sforzo, fatica, sfida, nel tentativo meramente illusorio di creare intorno ai figli un’area di sicurezza, un cuscinetto protettivo dai tonfi necessari per la crescita individuale.
Le risultanti di questi affanni, di questa organizzazione millimetrica della vita, di questa fame del fare per placare l’ansia, di questo stato di continua tensione, questo immischiarsi senza tregua nelle loro passioni, attività, amicizie, non possono essere che insicurezza, apprensione, tirannia, la convinzione che tutto sia dovuto, anche dagli amici e, più in generale, dall’intera società con la quale, in definitiva, non sanno rapportarsi; le risultanti partoriscono , a volte e loro malgrado, gli scenari dei titoli riportati dalla cronaca.
Non tanto diversa dalla figura dei genitori elicottero è quella della madre tigre, quella incontentabile e che si aspetta dai figli solo risultati eccezionali non solo sul piano scolastico, ma anche nelle mille attività alle quali, nolenti o volenti, iscrive i figli per fornire loro ogni possibile vantaggio competitivo nei confronti dei loro coetanei: ore e ore di strumento musicale forzate, almeno due corsi di lingua straniera, sicuramente almeno una disciplina sportiva pensando alle Olimpiadi, zero attività extracurricolari divertenti, e punizioni, da ricordare per la prossima volta, in caso di delusione delle aspettative.
Figli senza grandi possibilità di scelta e che, nel tempo, non sviluppano la necessaria fiducia in se stessi e che finiscono di chiedere ai genitori di non essere lasciati soli. Meccanismi di circoli viziosi, di cerchi che si chiudono soffocando autonomia e autostima.
Madri che manifestano affetto ma non è un affetto incondizionato, esentasse, ma piuttosto un affetto basato sul merito, sui risultati e sulla buona condotta; un affetto che si deve guadagnare.
Madri onnipresenti e con idee educative agli antipodi rispetto a quelle di David Herbert Lawrence che, per l’educazione dei bambini, suggeriva principalmente tre regole: ‘lasciarli in pace, lasciarli in pace, lasciarli in pace’.
In entrambi i casi, con genitori di questa portata – portata devastante – viene a cadere la Teoria dell’Autodeterminazione second
La genitorialità intensiva dimentica che, tutti, durante le varie fasi di vita, siamo chiamati ad affrontare alcune sfide necessarie per lo sviluppo, che non si possono proteggere i figli per sempre, e che , prima o poi i figli dovranno farsi carico in prima persona di sé stessi, affrontare le proprie paure, inciampare e fare l’esperienza e i conti con gli errori. I super-genitori dovrebbero dare più retta a Sartre quando diceva che se i genitori hanno dei progetti per i loro figli, i figli avranno dei destini quasi mai felici e ‘la giovinezza dovrebbe essere l’epoca in cui il fallimento è consentito e che non c’è formazione senza fallimento’.
La genitorialità intensiva impregnata di ansia non si pone mai tregue e dimentica che, a volte bisognerebbe fermarsi, sedersi, fare inspirazioni profonde, pensare che gli stessi dubbi, le stesse preoccupazioni di sbagliare sono comuni a tutti i genitori e che, il più delle volte, un controllo attento ma normale – nelle modalità e nelle dosi – fa già genitori più che accettabili promuovendo serenità nel contesto familiare e sviluppo di crescita interiore più che soddisfacente per tutti i componenti.
Se ancora non bastasse queste poche righe potrebbero essere di ulteriore conforto:
Il suo terrore, così lo chiamava, era più gonfio e teso della sua pancia.
“Come possiamo sperare di allevarli?”
“Moglie. Mia meravigliosa donna. Nessuno sa come allevare i figli. Eppure pare che chiunque ce l’abbia fatta sin dall’inizio del genere umano” – Il tempo di una canzone, Richard Powers
Navigazione
Consigli
Articoli recenti
- Progresso 21 Maggio 2024
- I giorni in quella stanza 14 Maggio 2024
- Il nuovo allestimento della casa di Giacomo Matteotti 10 Maggio 2024
- Sette automobili tratte dai film italiani 28 Aprile 2024
- Lo sbarco di Anzio dal vivo 19 Aprile 2024
Lascia un commento