
IRA . Le Giornate Mondiali
Giornata mondiale del libro – Incipitiamo
In 23 Aprile 2016 da Il ViaggiatoreC’è chi sceglie il libro dalla copertina, chi dalla sinossi in quarta. Chi per passaparola, chi ovviamente spinto dal marketing. Chi sente un richiamo e ne prova immediata attrazione. Chi legge nome e cognome dell’autore e trova irresistibile quel suono.
E poi ci sono quelli – quasi tutti – che sfogliano.
Il libro, così come è per la nostra tradizione partendo da Aldo Manuzio, ha un inizio e una fine. E l’incipit è il primo legame empatico che si crea tra noi e quella carta stampata che rappresenta una fuga temporanea, una momentanea suspension of disbelief.
Per la giornata mondiale del libro vogliamo scrivere gli incipit più emozionanti per noi.
Vadinho, il primo marito di dona Flor, morì a Carnevale, una domenica mattina, mentre ballava un samba vestito da baiana in Largo 2 Luglio, non lontano da casa sua. Non apparteneva al gruppo, ci si era semplicemente aggregato, con altri quattro amici tutti vestiti da baiana, e tutti provenienti da un bar della zona del Cabeça, dove il whisky correva a fiumi, alle spalle di un certo Moysés Alves, piantatore di caffè, ricco e spendaccione.
Ciao tu.
No, forse è meglio: be’, allora? Anzi: ti ricordi di me? Perché io no, non mi ricordo di te. A dirla tutta, non credo di averti mai conosciuto, ma quando si è in caduta libera ci si attacca a qualsiasi appiglio e…
Scusa. Mi rendo conto: non si chiede aiuto così. Ma io non l’ho mai saputo chiedere, aiuto. Eppure ora lo chiedo a te, anche se probabilmente non esisti: proprio perché probabilmente non esisti.
«Grazzie alla Vita, all’Amore e al mio Angelo Custodde ti ho incontrato! Buon San Valentino. Gioconda.»
Ho trovato questo biglietto improbabile nel cassetto del comodino della mia nuova stanza da letto, nella casa dove i miei nonni hanno vissuto per sessantuno anni. Insieme.
Prima se n’è andato lui, sei mesi dopo l’ha raggiunto lei. Da mia nonna, a parte questa casa, ho ereditato soltanto il nome, Gioconda, che mai come adesso mi schiaccia come una beffa. Perché la fiducia nella vita e nell’amore decisamente no, non li ho ereditati.
Così stanotte non mi rimane che rivolgermi a te.
Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati. Il dottor Juvenal Urbino lo sentì appena entrato nella casa ancora in penombra, dove era accorso d’urgenza per occuparsi di un caso che per lui aveva cessato di essere urgente da molti anni. Il rifugiato antillano Jeremiah de Saint-Amour, invalido di guerra, fotografo di bambini e il suo avversario di scacchi più pietoso, si era messo in salvo dai tormenti della memoria con un suffumigio di cianuro di oro.
Sono nato il quattro gennaio 1951, nella prima settimana del primo mese del primo anno della seconda metà del ventesimo secolo. Lo si potrebbe quasi considerare un evento da commemorare ed è per questo che i miei genitori mi hanno chiamato Hajime che significa “inizio”. A parte questa singolare coincidenza, non ci sono altri particolari degni di nota riguardo la mia nascita. Mio padre lavorava in una grande società di intermediazione mobiliare, mentre mia madre era una comune casalinga.
Era una notte meravigliosa, una notte come forse ce ne possono essere soltanto quando siamo giovani, amabile lettore. Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso che, gettandovi uno sguardo, senza volerlo si era costretti a domandare a se stessi: è mai possibile che sotto un cielo simile possa vivere ogni sorta di gente collerica e capricciosa? Anche questa è una domanda da giovani, amabile lettore, molto da giovani, ma voglia il Signore mandarvela il più sovente possibile nell’anima! … Parlando d’ogni sorta di signori capricciosi e collerici, non ho potuto fare a meno di rammentare anche la mia saggia condotta in tutta quella giornata.
Nella regione rossa e in parte della regione grigia dell’Oklahoma le ultime piogge erano state benigne, e non avevano lasciato profonde incisioni sulla faccia della terra, già tutta solcata di cicatrici. Gli aratri avevano cancellato le superficiali impronte dei rivoletti di scolo. Le ultime piogge avevano fatto rialzare la testa al granturco e stabilito colonie d’erbacce e d’ortiche sulle prode dei fossi, così che il grigio e il rosso cupo cominciavano a scomparire sotto una coltre verdeggiante. Agli ultimi di maggio il cielo impallidì e perdette le nuvole che aveva ospitate per così lungo tempo al principio della primavera. Il sole prese a picchiare e continuò di giorno in giorno a picchiar sempre più sodo sul giovane granturco finché vide ingiallire gli orli d’ogni singola baionetta verde. Le nuvole tornarono, ma se ne andarono subito, e dopo qualche giorno non tentarono nemmeno più di ritornare. Le erbacce si vestirono d’un verde più scuro per mascherarsi alla vista, e smisero di moltiplicarsi. La terra si coprì d’una sottile crosta dura che impallidiva man mano che il cielo impallidiva, e risultava rosa nella regione rossa, bianca nella grigia.
Popolo della terra, attenzione, prego. Qui parla la commissione per la pianificazione dell’iperspazio galattico. I piani di sviluppo delle zone periferiche della galassia richiedono la costruzione di una superstrada iperspaziale attraverso il vostro sistema stellare. Il che rende sfortunatamente necessaria la demolizione di alcuni pianeti tra cui il vostro. I lavori avranno inizio immediato; e dureranno circa due minuti terrestri. Grazie.
Questa storia comincia di domenica e non poteva cominciare in un altro giorno.
La domenica per te è un avanzo di settimana, per me è una zingara che fruga tra scatoloni e panni usati, che cerca roba ancora buona in mezzo a quello che è stato buttato via.
Credo che i migliori propositi si facciano di domenica.
Credo che le guerre finiscano di domenica.
Credo che Ulisse sia tornato di domenica, dopo il ballo delle onde, è tornato a casa come torni tu, dopo il ballo delle onde, ogni domenica.
Per Penelope il suono del ritorno era il legno tosto di una zattera che si scontrava con la roccia del porto. E l’odore del ritorno era salsedine.
Per una madre il suono del ritorno sono tre giri di chiave, uno scatto, la porta che apri e chiudi. E l’odore del ritorno non è salsedine, no, è un profumo maschile che ti si è impigliato nei capelli, un profumo che ogni settimana cambi.
Si dice che il carattere di una persona si formi nei primissimi anni di vita. Sono i primi anni che influenzano tutto il resto. Una bella fregatura. Perchè basta che per un motivo o per l’altro quel periodo non vada per il verso giusto, che sei rovinato per sempre. Hai voglia ad andare a cercare cos’è stato a farti diventare come sei, qual è l’avvenimento che a un certo punto ti ha fatto deviare dal percorso. Col tempo, il fatidico istante si perde nei meandri della memoria e diventa quasi impossibile recuperarlo. Per gli altri, forse. Non per me.
Io – ve lo confido – leggo subito il finale. Ma questa sarà un’altra storia…
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