
IRA . Racconti da Kepler
Ali-Foreman e la strategia della vittoria
In 30 Ottobre 2015 da Il ViaggiatoreLa mia prima volta in Africa: sono a Kinshasa nello Zaire di Mobutu Sese Seko in questo 30 ottobre 1974. Sono le 3.30 del mattino e il caldo è sfiancante. Non oso chiedere quanti siano i gradi e immagino quei due che stanno per salire sul quadrato. Il teatro è quello dello stadio Tata Raphaël, intitolato al missionaro belga Raphaël de la Kethulle de Ryhove che si è adoperato per lo sviluppo dello sport nella colonia.
C’è chi parla di incontro del secolo e che entrerà nella storia. E sarà così: qui lo vedranno 100mila persone, negli USA non so, nel corso degli anni verrà visto e rivisto da milioni di appassionati.
L’organizzazione è la prima di Don King, che ha pure promesso una borsa di 5 milioni di dollari e pare che al momento dell’offerta non li avesse!
Il rumore dei tifosi è sempre più forte e l’alba si avvicina. Chissà come si stanno preparando i due contendenti: da una parte George Foreman, 26 anni e 40 vittorie su 40 – e ben 20 di queste per ko -; dall’altra lo sfidante, Cassius Clay, ormai Muhammad Ali dopo la conversione alla religione islamica, 30 anni, reduce da una sospensione a causa del rifiuto di combattere in VietNam. 47 incontri, con solo due sconfitte, ma solo 9 ko. Il favorito è Foreman, la sua sconfitta è pagata a tre.
Si alza la concitazione e i due stanno arrivando e salgono sul quadrato. Come sempre ho studiato le regole di questo sport, che chiamano la noble art, come l’ha definita James Figg, pugile del 1700.
I due si scrutano dall’alto degli oltre 190 cm: sono impressionanti con i loro sguardi. La boxe è tattica, e come dirà Eddie “Scrap-Iron” Dupris in The Million Dollar baby: “Indietreggiare per avanzare, ma mai farsi mettere nell’angolo”. Alì ha un credo nel combattere “Vola come una farfalla, pungi come un ape”.
George Foreman vs Muhammad Ali - Oct. 30, 1974 - Entire fight - Rounds 1 - 8 & Interview
E invece non fa esattamente così, deve sentirlo di essere considerato il perdente, perché attacca immediatamente Foreman, strategia insolita per lui. No, mi sbaglio, mi è giunta voce di una tattica e la sto aspettando. Sono qui per capire, per essere un cronista. L’allenatore Angelo Dundee sapeva già che Ali si sarebbe avvicinato alle corde e avrebbe opposto una minima resistenza ai colpi dell’avversario. Questo è il rope-a-dope, termine del pubblicista John Condonla, che descrive la strategia passiva di Mohammed Ali. L’ho sentito io, con queste orecchie, il fotografo George Kalinsky. Gli ha urlato: «Perché non provi una cosa? Una sorta di lubrificante alle corde, lasciando che Foreman scivoli via?»
Vediamo Ali appoggiarsi all’avversario con tutto il suo peso, e poi tenergli la testa abbassata per colpirlo sul collo. Lo vediamo disorientare Foreman, e poi ancora, con strategie sempre nuove, lui, il trentenne che non ha la forza del giovane che ha davanti. Incassa, e anche quando ci aspettiamo che cederà, lui non fa una piega.
Siamo già al sesto round. Ali urla a Foreman: «Mi hanno detto che potevi colpire come Joe Louis!». Ma lui è stanco, resiste ancora un round e all’ottavo cede al gancio sinistro che gli solleva la testa e al successivo micidiale al viso. Si immobilizza, barcolla per il ring e infine crolla a terra. Lo vedo rialzarsi quando l’arbitro arriva a contare 9, eppure il conteggio continua a 10.
E Ali è il vincitore.
L’immagine di copertina è tratta da Tgcom24.
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