Appunti di viaggio . IRA
Il Fucino
In 25 Marzo 2022 da Matteo RosielloLe genti di montagna sono prosaicamente definite come pervicaci, cocciute, “capoccione”. C’è un popolo in particolare le cui peculiarità corrispondono a questi aggettivi. Credo che cercando banalmente su Internet o chiedendo a qualche conoscente, chiunque possa identificare gli abruzzesi come dei gran testardi.
Di primo acchito potremmo vederlo come un bruttissimo difetto. La storia e la geografia di questa regione ci dimostra però l’esatto contrario: per vincere nemici come popoli ostili e un territorio non proprio facile bisogna avere una grandissima ostinazione, una resistenza da maratoneta.
Esempio calzante di questa mentalità è la zona del Fucino. Da sempre viavai di popoli e crocevia della storia italiana e non solo, affonda le sue radici nell’età del bronzo. A testimonianza di queste origini, sono varie le grotte che sono state ritrovate sulle montagne del Parco Naturale Regionale Sirente-Velino.
In seguito si sono succeduti vari popoli. Alcuni più celebri, come gli Equi e i Marsi (da cui tutta la zona prende il nome), altri meno, come gli Angizi, di cui si è ritrovato uno stanziamento presso Luco dei Marsi.
Di sicuro con le tecnologie odierne sarà capitato di passare sopra questa enorme piana guardando con Maps, o quantomeno di percorrere la A25 in direzione mare da Roma, magari per un’estate di sole verso la Puglia. Campi coltivati a perdita d’occhio colpiscono per la regolarità con cui il terreno è suddiviso e per l’estensione che raggiungono. In pochi però sanno che l’origine di questa piana è da attribuire all’imperatore romano Claudio. Attraverso particolari studi ingegneristici e all’impiego di 30.000 schiavi fece scavare un cunicolo emissario per svuotare il lago preesistente. Ebbene sì. Il Fucino prima era un lago.
Oggi i cunicoli di Claudio sono ancora visitabili. Si trovano a sud di Avezzano e danno origine a un emissario che si può osservare a Capistrello. Qui troverete anche un’opera ingegneristica moderna, ovvero una ferrovia elicoidale costruita nel XIX secolo che permise di superare i 100 metri di dislivello tra la valle Roveto e i piani Palentini attraverso 7 gallerie e con una pendenza media del 20 per mille. Ai tempi una vera e propria sfida vinta!
Il prodotto tipico del Fucino è la patata, riconosciuta con il marchio IGP dal 2016. Ma la piana non è famosa solo per questo. Ospita infatti il Centro Telespaziale, con grandi antenne paraboliche visibili da molto lontano. Basti pensare che è il più grande teleporto al mondo per usi civili.
La tecnologia però non si ferma qui. Guardando verso il Sirente, in direzione della piccola Collarmele, si notano in lontananza dei giganti che sembrano agitare le braccia al vento: sono le pale eoliche costruite a partire dal 1998 in un grande parco che sfrutta il vento di questa regione trasformandolo in energia verde.
Poco lontano da qui troviamo Celano. Riconoscibile da tutta la valle per la mole del suo castello a fare da guardia, deve la propria fortuna ai Berardi prima e ai Piccolomini poi. Questi costruiscono nei paesi vicino una rete di fortificazioni e punti di osservazione in comunicazione visiva: Collarmele, Cerchio, Aielli, Celano, Santa Iona, Castelnuovo e Albe rappresentavano un’ideale cerchia difensiva, in effetti mai attaccata.
Da Celano partiva il grande tratturo reale che permetteva la transumanza degli animali fino a Foggia: pastori, mandrie e greggi partivano nei mesi più freddi alla ricerca di nuovi pascoli dove far rifocillare gli animali. Oggi è in corso la riscoperta di questi percorsi attraverso trekking di più giorni.
Così come è in atto una vera e propria rivalutazione del movimento contadino del brigantaggio: spesso persone molto povere attirate dall’idea di una libertà lontana dai meccanismi feudali che, delusi da promesse mai portate a termine, si facevano carico della fame del popolino attraverso azioni di rivolta contro i padroni e i proprietari terrieri.
I terremoti sono la più dolente delle note di questa regione. Sembra siano stati l’inizio della fine di Alba Fucens. La più coraggiosa delle colonie (e in seguito città) romane, talmente grande da avere un anfiteatro maestoso al suo interno. Recandosi nell’area archeologica lo si può visitare, entrandoci dalle porte che davano sull’asse maggiore della sua arena ellittica. Molto emozionante poi è passeggiare tra i viali ancora pavimentati dell’antica città, tra quelli che una volta erano templi o edifici pubblici come il macellum, il foro, la basilica e il comitium. Ah, il tutto gratuitamente!
Ma guardando verso l’alto si notano i resti di un altro paese, più recente: Albe. Mura di case, spesso ancora intonacate e dipinte ma interrotte a mezzo metro di altezza. Alcune arrivano anche al metro e mezzo e supportano una scala che da nel nulla: è il risultato del grande terremoto del 1915.
Qui, così come a Pescina o a San Benedetto dei Marsi, la distruzione è arrivata alle ore 7:52 del mattino, portando un totale di oltre 30.000 morti, con una magnitudo XI della scala Mercalli.
Il disastro venne completato dal crollo di molti edifici di culto: dato l’orario, molte persone erano in chiesa per le lodi mattutine e lì trovarono il proprio destino ad attenderle.
Girando per i paesi si notano interi quartieri nuovi, con casette basse, dalla forma regolare. Sono gli alloggi costruiti nel post-terremoto, utili solo a dare un tetto e a non spopolare questa valle: di sicuro, non buoni a risollevare l’animo di un popolo che non si è mai fatto abbattere da nessun evento. Nemmeno dalle lotte contadine novecentesche represse nel sangue, che hanno dato il la alla riforma agraria italiana e al miglioramento delle condizioni lavorative dei lavoratori del settore primario.
Il viaggio stavolta si conclude idealmente nel posto più significativo, un luogo di memoria e di resilienza. Ed è così allora che saliamo nella vecchia Pescina, attraverso le case crollate, dove il vecchio castello è in fase di ristrutturazione. Ci lasciamo guidare da un viale alberato e ci ritroviamo davanti una scalinata. La vista è stupenda: l’intero Fucino ai piedi. Ed è proprio con questa veduta eterna che lo scrittore Ignazio Silone volle farsi costruire l’ultima casa, in un luogo dove poter abbracciare per sempre le sue terre e le sue genti. Cocciute, testarde, a volte ribelli. Ma molto accoglienti. Benvenuti nel Fucino.
Al prossimo racconto!
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