AltreStorie di Neó
Streghe
In 18 Settembre 2023 da Redazione Seven BlogUn racconto di Cristina Biolcati
Stava scendendo il buio. Susanna amava le giornate lunghe della bella stagione, ma temeva il calare delle tenebre. Con la luce che svaniva, tutto in quell’edificio sembrava sempre distorto e alterato dal terrore.
Rimase in ascolto. Il suo respiro affannato rompeva il silenzio, quindi si impose di calmarsi e il sangue che rimbombava nelle orecchie si affievolì.
Le sue compagne stavano rassettando le brande, in vista della notte, e la grande stanza del collegio echeggiava di voci sommesse. Davvero loro erano tanto tranquille?
Susanna notò qualcosa con la coda dell’occhio. Si disse che doveva fare attenzione ai movimenti repentini, al flebile cigolio della porta dietro di sé.
La prima cosa che aveva notato era stata un’aura luminescente, tipo un’ostrica d’argento, che si trascinava accanto alle ragazze con cui lei divideva la camerata, però mai troppo vicina. Che a un certo punto strisciava via, come un animale rabbioso.
Susanna aveva assecondato la logica folle, mentre ogni volta il sangue le si gelava nelle vene, quasi si stesse già coagulando. Si era chiesta il perché avvenisse ormai da tempo quello strano fenomeno. Conoscere i dettagli l’avrebbe aiutata a prendere coraggio.
Si concentrò sui toni. Era come se quel lucore seguisse altra luce, si nutrisse di istanti di vita. E non facesse caso a chi giaceva nell’ombra nascosto. Colta dal panico, lei corse perciò nell’angolo più distante in cui c’era un buio pesto.
Si mise a sedere con la schiena contro il muro, in trappola. A chi poteva dirlo? “Con un po’ di pazienza, qualcun altro se ne accorgerà”.
Susanna trattenne il fiato. Stava tremando. D’improvviso udì un rumore di passi leggeri che si avvicinavano senza fretta. I piedi si fermarono a pochi centimetri da lei e le parve di sentire qualcuno fiutare nell’aria.
«Qui c’è un cattivo odore», disse una vocetta infantile.
Era Viola, la piccolina del gruppo. Quella che tutte là dentro prendevano in giro, per le sue intuizioni geniali, chiamandola strega.
«Lo senti anche tu, Violetta?», osò chiedere, rinfrancata.
L’altra strizzò gli occhi nell’oscurità e la mise a fuoco. Poi annuì, tanto che il cuore di Susanna mancò un battito.
Fu allora che ambedue videro la cosa venire verso di loro, mentre Susanna si alzava in piedi di scatto e chiudeva le dita ad artiglio, cercando di soffocare i singhiozzi.
«Come ti chiami?», azzardò Viola, rivolta a quella che da vicino sembrava una coetanea, solo più sporca e trasandata. L’odore acre e pungente che emanava strappò una mossa di disgusto.
Davanti a loro c’era una figura vestita con un grembiule sbrindellato, con ancora una targhetta cucita sul petto, evidentemente il suo nome. Che trasmetteva un profondo malessere, complici le orbite bianche. Chiunque fosse, digrignò i denti ed emise un lamento simile al ringhio di un cane. E come un animale selvatico, si buttò quindi a terra e corse veloce, a quattro zampe, sino a gettarsi dalla finestra. Quest’ultima era aperta e faceva entrare un’aria fresca, mista al profumo dei fiori piantati nelle aiuole del giardino, a opera delle religiose che gestivano l’educandato.
Susanna sentì la rabbia salire, quel furore che immancabilmente seguiva la paura. Con Viola andarono al davanzale e si sporsero per vedere meglio, ma nel cortile, della sventurata creatura non c’era traccia. E nemmeno tra i cespugli di rose, coi giacinti già fioriti a fare da contorno.
«Da quanto era lì?», le chiese allora la più giovane.
«Da quando è iniziato l’anno scolastico. Dal primo giorno. Però oggi si aggirava tra le brande, si muoveva di continuo. Cercava me, o forse te. Non so».
Il cervello di Susanna registrò le proprie parole, senza paura di apparire pazza. Davvero si era spinta così oltre sino a confidarsi con una compagna?
Viola era come lei. Si erano riconosciute.
Susanna posò un piede davanti all’altro. Un solo passo, alla volta, verso la sua nuova amica.
Possibile che le altre continuassero con la loro opera di toeletta, senza accorgersi di niente?
«Ti ha detto qualcosa?», chiese Viola e lei ebbe l’impressione di intravedere un ghigno divertito.
Susanna scosse il capo.
«Non devi avere paura, Susy. Credo sia un’alunna che doveva venire nella nostra classe. Ho sentito una telefonata di condoglianze, a fine agosto, che facevano le suore ai suoi genitori. Si chiamava Yolanda Respighi. Hai visto la targhetta sul suo grembiule?».
Yolanda, c’era scritto, in effetti. Con l’iniziale ricamata con cura, quasi fosse opera di un esperto miniatore.
«Ci teneva parecchio allo studio, si vede, se è venuta sin qui».
Lei stava appunto per dire la stessa cosa. Invece Viola, che l’aveva preceduta, prese di nuovo la parola.
«Se Yolanda ritorna, bisogna tenere aperta la finestra. Spargere del profumo, non basta quello dei fiori. Nella bocca le si muoveva qualcosa e sembrava a disagio».
Susanna era d’accordo. Appoggiò la schiena di nuovo contro il muro e scivolò lentamente a terra.
Sentì il pianto salirle in gola, ma questa volta non cercò di reprimerlo. Perché adesso sapeva.
Sapeva che dopo la morte non ci sarebbe stato più niente, oltre la coltre del disgusto.
O dell’umana indifferenza.
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