AltreStorie di Neó
Baciare Elvis
In 9 Marzo 2023 da Redazione Seven BlogUn racconto di Cristina Biolcati
Martedì 16 agosto 1977, Portland (Maine) Quando suo fratello Gideon le aveva regalato due biglietti per il concerto di Elvis Presley, Ann era impazzita. Lo aveva baciato di slancio sulla guancia, cosa che non era mai successa prima. Lui aveva realizzato il suo sogno, oltre a essersi speso tutto lo stipendio del fast food in cui lavorava.
«Sarà un delirio. Ti accompagno io», aveva detto, fingendosi vagamente annoiato.
Ma amava quella musica. Era tutta scena.
L’idea ad Ann era venuta guardando i video dei concerti del re del rock. Alla fine, sudato e sfiancato, Elvis si concedeva in lenti e appassionati “limoni” con le ammiratrici in delirio. Era generoso, per non dire altro. E lo faceva anche quando in sala era presente la moglie Priscilla.
Negli ultimi anni era rimasto da solo, sebbene si vociferasse di altre donne che si alternavano al suo fianco. Priscilla se ne era andata, con la loro figlia Lisa Marie. Elvis era lievitato di peso, sembrava sempre sul punto di crollare. Come nell’esibizione di giugno, nell’Indiana. Affetto da piccoli e grandi acciacchi; soggetto a ricoveri in ospedale che si cercava di tenere segreti. Schiavo di un lato oscuro che nessuno aveva mai bene sondato, qualcosa che aveva a che fare con barbiturici e anfetamine. Sostanze che lo stordivano, ma gli rendevano la vita sopportabile.
Ad Ann lui pareva un orso di peluche, dallo sguardo buono, bisognoso di essere abbracciato.
Sognava quell’incontro di labbra tumide, dunque, col suo scambio di saliva. Perché Elvis avrebbe baciato anche lei, vero? Era la prassi. Non poteva rifiutare.
Dopo le sue canzoni, dove ancora una volta avrebbe ballato a scatti frenetici, neanche fosse posseduto da una forza invisibile, le ragazze si sarebbero messe in fila. L’istante eterno, che più di tutti generava impazienza, al pari della giornata che Ann stava cercando d’ingannare.
A tal proposito, si era data lo smalto e si era lavata i capelli. Aveva telefonato alla sua amica Jenny, che le aveva palesato un’invidia genuina. Poi si era messa ad ascoltare musica, il vinile, che mandava a ripetizione, Suspicious Minds, la sua preferita. Perché l’amore ti travolge, quasi che ti investisse un tir. Però se non c’è fiducia, poi, non dura.
Non avrebbe dormito, quella notte. Come riuscirci? Soprattutto perché era preoccupata. Se Gideon avesse intuito le sue intenzioni, l’avrebbe strattonata via dalla fila, e addio bacio.
Fosse successo questo lei… lo avrebbe odiato.
«Non ti vergogni a baciare Elvis davanti a tuo fratello?», le aveva chiesto Jenny. Ma Ann aveva risposto candidamente: «È lui che paga i biglietti».
Gideon l’avrebbe vissuta come un’umiliazione, che la sorella voleva infliggere a se stessa, in nome della stupidità. Mentre lei contava le ore, i minuti, che la separavano da Elvis.
Solo quello.
Su Portland aleggiava una cappa di umidità, che rendeva insopportabile anche respirare. Ma era l’emozione, il miraggio di far avverare un sogno. L’adrenalina che si stava impossessando di lei e veniva percepita dal suo corpo come qualcosa di tossico. Stare in allerta e non avere requie è spossante, faticoso.
Ann guardò dalla finestra. Là fuori, sua madre stava stendendo il bucato. Doveva distrarsi, magari disegnare un po’, in camera sua.
Prese l’album, quando udì suo padre e suo fratello rientrare dal lavoro. Dopo qualche minuto, fu Gideon a gridare: «Ann! Vieni subito qui, presto!».
Allora entrò in salotto e vide l’immagine di Elvis campeggiare sullo schermo. Però di quando era magro. Era bello. Alla televisione stavano dicendo che era stato trovato privo di sensi, nel bagno di Graceland.
Ann sentì la testa girare e le gambe farsi molli. Davanti al cancello della villa comparve Vernon Presley, padre del cantante. «My son is gone», annunciò.
L’indomani non ci sarebbe stato nessun concerto. Mai più.
Erano le sedici esatte, la fine del mondo.
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