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Ritratto di Alienato
In 27 Marzo 2016 da Redazione Seven BlogIl racconto vincitore di StorieSuperbe – L’Avarizia
di Natasha Vagnarelli
Il giovane Gericault venne condotto in una stanza scura, piccola e sudicia, il cui ospite rispecchiava così tanto quelle stesse caratteristiche da mimetizzarsi con i muri, quasi. Una volta entrato nella camera il proprio accompagnatore, ovvero un infermiere del manicomio, chiuse la porta, rimanendo comunque dietro di essa, a disposizione del pittore. Tra le mani aveva solamente un foglio di carta ingiallita e un carboncino.
«Bonjour Monsieur, io sono Theodore Gericault. Vi ringrazio per aver acconsentito a farvi ritrarre».
Quasi come risvegliato da un sogno, il malato alzò la testa, e il suo sguardo venne catturato non tanto dal volto dell’artista, ma dall’orologio da taschino che sbucava dal gilet altrui.
«È un orologio davvero molto bello, il suo», disse l’uomo, piegando verso l’altro gli angoli delle labbra, schiudendole appena, rivelando una bocca sdentata. Theodore si ritrovò a stringere macchinamente il proprio bene nella mano destra, sapendo bene il perché della presenza del suo interlocutore in quell’istituto psichiatrico. Era un cleptomane, malato di furto.
«Oh, questo?», ribatté Gericault, in una lieve risata. «Comprato a qualche soldo la settimana scorsa. Nulla di valore».
In qualche modo, sperava che quella confessione distogliesse l’interesse dell’alienato dall’oggetto, ma si sbagliava, decisamente. «Non importa quanto valga». Il suo sguardo divenne offuscato, tra il vuoto e il pensoso, e il sorriso si spense. A bocca chiusa, il pittore notò, il suo volto aveva una fisionomia scomposta, che si accostava così bene ai capelli spettinati e alla barba incolta. «Davvero, Monsieur?». Gericault aveva bisogno che la follia si riflettesse sul corpo, e l’unico modo era spingere l’uomo a parlare della sua ossessione. Gli occhi del pittore si muovevano con velocità, posandosi una volta sul foglio e una volta sul proprio modello. Il cleptomane, quasi paralizzato, iniziò a raccontare, senza freni.
«Avere è l’unica cosa importante. Cos’è la vita senza possesso? È vuota, nulla. Chi pensa davvero che vivere nella povertà sia appagante, è solo uno sciocco. Io lo so bene, giacché ho provato sia questa, sia la ricchezza. Credetemi, Monsieur Gericault, un tempo ero benestante, ero rispettabile! Preservavo con attenzione ogni singola moneta da me guadagnata. Spendevo solamente il minimo indispensabile, per essere sicuro di non rimanere mai a corto di denaro, nel caso di una crisi o di perdita del lavoro. E avevo ragione, oh, se avevo ragione! Dopo vent’anni di lavoro, ecco che la fabbrica chiude. Nessun preavviso, nessuna spiegazione. Ci hanno sbattuto via come scarpe vecchie».
Quanto erano frenetiche le sue parole! Cambiava continuamente tono di voce, giocava con i tempi verbali e con la successione degli eventi come se l’ascoltatore conoscesse ogni dettaglio della sua vita, e sapesse orientarsi in quel racconto.
«Avevo risparmiato, avevo risparmiato tanto. Mi davano del taccagno, quegli stessi diffamatori che poi piangevano alla mia porta per un tozzo di pane! No, non avrei dato loro nemmeno dell’acqua lercia. Non lo meritavano! Se non avevano conservato i quattrini, non ne avevano bisogno, no? Erano stati stupidi, ed io certo non avrei sprecato anni di sacrifici per qualche strana morale. Che morale è, poi, dar soldi a chi non ne ha, lasciando che si crogiolino nella beneficienza, diventando fannulloni e buoni a nulla? Io li ho aiutati, li ho spronati al lavoro, ho dato loro una lezione di vita! Già troppo generoso sono stato!».
Theodore continuava a disegnare, allo stesso ritmo frenetico delle parole dell’alienato. Il volto stava prendendo forma sulla carta, e poteva vederne il peccato scolpito nello sguardo vacuo. Verde. Sì, una volta trasportato su tela, avrebbe usato il verde. Era stato il primo colore che la sua mente aveva associato a quella figura; non un verde brillante, non uno smeraldo fuso, ma il verde acido dello sporco, della melma nelle fognature, il verde di una sozza palude.
«Eppure, Monsier Gericault» continuò l’uomo, preda del suo stesso discorso, simile a un fiume in piena, «non mi hanno ringraziato, anzi! Piuttosto che cercare un nuovo lavoro, hanno continuato a invidiare il mio aver una zuppa al dì, e hanno deciso di rovinarmi! Tutti i miei averi, tutta la mia fortuna… rubata!». Quasi urlò quella parola, e Theodore sobbalzò leggermente. «Rubata! Mentre ero fuori casa a prendere una boccata d’aria, infami e codardi! Hanno rovistato ogni mobile, ogni angolo, e hanno trovato tutti i miei risparmi, nascosti nel pavimento! Hanno trovato l’asse di legno che chiudeva l’intercapedine! Ah, stolto me! Avrei dovuto malmenarli con un vecchio bastone la prima volta, per far loro capire con chi avevano a che fare! Sul lastrico, sul lastrico mi hanno mandato!».
L’artista notò la teatralità di quel racconto, e per più di una volta gli passò per la testa che si trattasse solo di una bella storia. Anche se così fosse stato, però, certo l’uomo non gli faceva pena. Poteva capire la rabbia di quelli che lo avevano derubato; persino lui, all’autoelogio dell’alienato, aveva provato una grande irritazione. Come poteva ritenersi quell’essere avaro, un sant’uomo?
«Ho iniziato quindi a riprendermi ciò che era mio. Dio stesso ha disegnato il mio destino, la quantità dei miei soldi, ed è un peccato assai grave mettersi contro di Lui. Ma tutti mi hanno dato del ladro, mi hanno incarcerato! Ma so che voi mi capite, Monsieur Gericault, e per questo mi darete quell’orologio».
Theodore storse il naso, stranito, a quello spudorato ordine. «Monsieur, l’ho pagato, mi spiace. È mio». Rispose secco, sentendosi tremendamente a disagio quando il cleptomane iniziò a ridere.
«Oh no, no. Quell’orologio è mio. Colui che ve l’ha venduto, l’ha rubato a me. Devo riottenere i miei averi, Monsieur, è il disegno divino».
Il pittore non rispose. Si limitò a osservare il ritratto appena terminato.
Verde. Sì, avrebbe decisamente usato il verde.
L’immagine di copertina è la riproduzione di un dipinto di Théodore Géricault intitolato La Folle monomane du jeu (Musée du Louvre).
VINCITRICE
Natasha Vagnarelli
TITOLO
Ritratto di Alienato
La motivazione della Giuria è la seguente:
Orologio, simbolo del tempo che ruba gli attimi. Verde, colore-metafora dei soldi. E avarizia, intimo e raccapricciante peccato che colpisce l’istinto di possessione di ogni essere umano. Ecco presentati i tre elementi chiave di questo racconto, che sono trainati – trovando la propria contraddittoria giustificazione – dall’arte, narcisistica espressione umana e divina insieme, perché l’arte racchiude tutti i peccati e per ognuno crea la controparte. In un gioco fatto di dialoghi – spesso in funzione fàtica – e di rimandi extratestuali – come se un racconto avesse una vita propria fuori dai segni che lo codificano – anche il lettore è trascinato a ripostulare il concetto di avarizia. E a dargli un colore.
Biografia dell’Autore in un Tweet:
Nata diciotto anni fa, ha nel cuore la musica e la scrittura. Il suo sogno è quello di pubblicare un romanzo in combo ad una colonna sonora.
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