INVIDIA . Lector In Invidia
Sorella, benvenuta su Scherzi a Parte
In 26 Ottobre 2017 da Attilia Patri DPDopo la moda di bere ingenti quantità di alcolici pubblicando i video su YouTube, una volta archiviato il capitolo Blue whale, il terrificante gioco della balena blu di cui si è molto discusso nei mesi scorsi, ora è il momento del Pull a pig. A differenza del blue whale non prevede violenze fisiche, bensì morali. Viene etichettato come scherzo, come gioco, e la giustificazione di base recita che “in fondo è solo per fare due risate”. Peccato che le risate non coinvolgano entrambi i giocatori perché, se così fosse, il gioco sarebbe stato divertente in ugual misura per i due partecipanti ma si inneschino, esplodano, si irradino contagiose solo da una parte, dal lato che ha lanciato l’esca mentre il pesciolino che ha abboccato, suo malgrado, non può che rimanere muto, attonito, ripiegato su se stesso oppure rilanciare precise accuse e denunce. Prendiamo sempre più atto che se un gioco, per essere bello, deve durare poco, quello brutto deve terminare con una denuncia che, anche se non ripaga del tutto la vittima, almeno serve, o dovrebbe servire, da monito o da “apri l’occhio” per altri. Il tutto ovviamente in prima visione technicolor social e riportato da stampa e informazione varia.
Pull a pig arriva dall’Inghilterra e sta attraversando tutta l’Europa al punto che i casi segnalati sono già numerosi e tutti simili per dinamiche di svolgimento e partecipanti attivi; sembra una nuova moda in realtà è solo una sotto branca del bullismo solito nell’interfaccia maschio-femmina e, come al solito, declinato nella voce “gioco” senza valutarne le intime conseguenze. Nome nuovo, hashtag nuovo, ringalluzzimento periodico dell’intrattanimento in Rete, ragazze pubblicamente esposte e derise, pseudo conquistadores in cerca di consenso dai loro pari.
Pull a pig: niente di nuovo, in fondo, sotto al sole e tra le pubblicazioni più cliccate. Niente di nuovo nel cercare la discolpa nella parola scherzo, gioco, nel declassare a puro divertimento un comportamento sessista obiettivamente incivile che lascia strascichi che graffiano come grossolana carta vetrata. “Era tutto uno scherzo, sei stata pigged” è la frase, il saluto conclusivo riservato alla malcapitata di turno che aveva intravisto in quelle attenzioni, corteggiamento, savoir-faire un trattamento privilegiato ed esclusivo al quale rispondere, liberamente, affidandosi. Sei stata pigged. Più che una doccia fredda una slavina scivolosa, una precipitazione verso il basso sperando ci sia in fondo un buco nero dal quale essere inghiottite a tempo indeterminato o, se non proprio indeterminato, almeno per quello necessario per ricucirsi addosso una qualche sicurezza, dignità, fiducia nel prossimo; quel prossimo che, ci hanno insegnato, dovremmo e ci dovrebbe amare come noi stessi ma non sempre va così perché il prossimo viaggia su tante strade: alcune sono le nostre stesse e ci riconosciamo abbastanza facilmente come simili, altre sono divergenti se non addirittura parallele, destinate a non incontrarsi mai e con quel prossimo non vorremmo aver proprio nulla a che fare, nulla da spartire neanche all’infinito, ammesso che all’infinito le vie parallele si incontrino. Bisognerebbe fidarsi della geometria nel caso delle vie rette, dell’istinto e nel farci qualche domanda con risposta onesta per il rapporto con il prossimo del quale non sappiamo nulla, se non quello che ci racconta. Ci si dovrebbe ricordare anche che di narratori di favole e romanzi permeati di “rosei per sempre” ce ne sono tanti: non per sfiducia, pessimismo cosmico, e “gli uomini sono tutti così”: per carità! Solo per una forma di tutela del nostro io, che non vuol dire non affidarsi ma semplicemente essere pronte ad una reazione appropriata nel caso si incorra nel bullo di turno che, smascherato, prontamente risponderà che era solo un gioco, uno scherzo per ridere con gli amici e tu la selezionata, tu comunque perfetta per quel ruolo; non sei contenta?
Il Pull a pig comincia con una scommessa e si snoda attraverso una dinamica che prevede come primo step individuare e abbordare la ragazza più brutta o grassa presente nel contesto scelto come “sala giochi” o sala operativa; secondo step flirtare con lei e cercare di conquistarla; se si riesce a portarla a letto e poi insultarla pubblicamente sui Social si è, automaticamente, The Winner assoluti.
Quello che per le precedenti generazioni veniva considerata la meno ambita tra le penitenze, “dire, fare, baciare la più brutta”, per le nuove, quelle del tutto e subito, possibilmente senza neanche uno straccio consumato di empatia, senza neanche prendere in considerazione i sentimenti altrui, quelli del “io sono io” e tu sei quella da sfottere e bullizzare perché etichettata come sfigata secondo i parametri comuni, triti, ritriti, esibiti, di bellezza, diventa vanto social. Vanto social per lui mentre la malcapitata, l’ingenua, quella che si è bevuta la pantomima, quella spesso emotivamente fragile, raccoglie brandelli di autostima presa a sforbiciate e indietreggia a passi svelti allontanandosi da quel faticoso processo di accettazione del sé raggiunto a stento in un continuo confronto tra il proprio essere e quel sovrappeso e scarsità generalizzati che non le consentono la catalogazione, effimera ma sempre catalogazione, di bella tra le belle.
Il Pull a pig, lungi dall’essere nuovo, è solo l’evoluzione di un “gioco” ugualmente assurdo in voga qualche anno fa e chiamato “Fat girl rodeo” che consisteva nel conquistare in un locale una ragazza in sovrappeso ballando accanto a lei. Nel momento in cui quest’ultima cominciava a lasciarsi andare le si sussurrava all’orecchio “Sei la più brutta e grassa del locale”. A questo punto si cronometrava per quanto tempo si riusciva ancora a restarle accanto prima di essere cacciati via. Anche in questo caso il sottofondo non cambiava: deridere il soggetto debole.
Storie che troviamo anche nel passato. Storie degli anni ‘70, gli anni di approdo ad una certa libertà sessuale, prima della condivisione sui Social e ancor prima della Rete. Storie di derisione e di “ragazze tappezzeria” che nessuno si sarebbe mai sognato di invitare a ballare in discoteca ma che si potevano frequentare, in gran segreto anche dagli amici, per fare numero, esperienza, pratica. Storie trasversali di tutte le generazioni perché in tutte le generazioni si riconoscevano i giullari di corte dal facile sberleffo verso lo scemo del villaggio, l’uomo debole, la donna dai facili costumi, la nana, la cicciona, la ritardata.
Storie che troviamo nei romanzi trasposti poi in film per il cinema. “La sala docce era piena di voci e di echi sopra il rumore dell’acqua che schizzava sulle mattonelle. Le ragazze avevano giocato a pallavolo e il loro sudore mattutino era leggero e frizzante. Si stiravano e si curvavano sotto l’acqua calda, schiamazzando, spruzzandosi, facendo sgusciare saponette bianche da una mano all’altra. Carrie stava solidamente ferma in mezzo a loro, una rana tra i cigni. Era una ragazza tozza, con foruncoletti sul collo, sulla schiena e sui glutei. I capelli bagnati, senza colore, le si appiccicavano pesantemente alla faccia, e lei se ne stava lì, la testa un po’ piegata in avanti, lasciando che l’acqua le rotolasse via dalla pelle. Sembrava, ed era, l’agnello sacrificale, il bersaglio perpetuo, vittima indifesa di ogni sorta di tiri mancini, di tranelli e scherzi spietati”. Quando Tommy si è avvicinato per invitarla al ballo, Carrie non ci poteva credere: il ragazzo più affascinante della scuola e lei, la più insignificante, la bullizzata da sempre. Carrie non sa che Tommy l’ha invitata solo perché la sua ragazza gli ha chiesto di farlo, né può immaginare che ad attenderla nel momento di massima gloria, quando si sentirà più bella e forte ci sarà un atroce scherzo creato allo scopo di distruggere, definitivamente, la sua autostima. In breve una parte di “Carrie” libro edito da Stephen King nel 1974 ben quarantatré anni prima che un fenomeno conosciuto come Pull a pig riempisse le pagine dei giornali online.
È evidente che, per noi, più che di brutte ragazze si parla di brutte storie, di umiliazioni assolute.
Brutte storie di ragazzi ma a volte anche di uomini già maturi, spesso istruiti, rispettati professionisti con carriere e posizioni di autorità; alcuni hanno moglie, molti sono padri che crescono figlie che un giorno potrebbero essere pigged da qualche idiota che, credendo di essere divertente, non è altro che l’espressione del sessismo più becero travestito, forzatamente, con l’abito del giochino simpatico, quasi goliardico.
Ma è solo un gioco? Secondo Jorge Luis Borges i tratti essenziali di ogni gioco sono: la simmetria, le leggi arbitrarie, il tedio. Nel Pull a big non esiste simmetria perché la donna non è giocatrice consapevole ma solo inconsapevole preda di una scelta; le leggi arbitrarie non sono universali ma dettate dal branco. e ogni branco è branco a modo proprio, anche se si riconoscono dei tratti comuni che li dissociano dalle persone in armonia con un vivere socialmente accettabile; il tedio possiamo riconoscerglielo: quella noia, quel sentirsi grandi nel vincere facile, quella incapacità, riluttanza, paura di interfacciarsi con donne che saprebbero ben difendersi dagli attacchi di piccoli uomini meschini.
Uomini e ragazzi con i quali, probabilmente, le generazioni precedenti hanno fallito nel loro intento di progetto educativo e che mostrano fragilità personale e assenza di valore morale. Forse ci appartiene una qualche responsabilità nel modo di averli educati o, piuttosto, di averli diseducati, di aver prospettato sfide, competizione più che collaborazione, il tutto e subito a portata di mano, l’arrivare per certo e lasciando il segno di grandi imprese in un mondo che sembrava pieno di promesse e di aspettative solo pochi decenni fa, per poi farli approdare, di fatto, in un periodo storico privo di certezze, di ideologie, di valori forti.
Non c’è quasi nulla di nuovo se non cercare di riprendere le redini della responsabilizzazione di tutti, nessuno escluso.
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