
IRA . Lettere dall'Ira
Capelli
In 29 Settembre 2022 da Chiara MenardoIo senza capelli
Sono una pagina senza quadretti
Un profumo senza bottiglia
Una porta chiusa senza la maniglia
Biglia senza pista
Un pescatore sprovvisto della sua migliore esca
Niccolò Fabi, Capelli
Per questo mondo devo essere senza capelli.
Sono lunghi, invece, lucidi e scuri, e morbidi. Ma è come se non li avessi.
Un vecchio incartapecorito nel palazzo di polvere e marmi, la sua polizia e una frotta di consiglieri e vecchi altrettanto, in gonna lunga e barba hanno deciso che i miei capelli, così lunghi e scuri, così morbidi e pieni, devono stare nascosti, invisibili, muti.
I miei capelli sono fili di tela di ragno, sono onde del mare, sono trame di nuvole in cielo. I miei capelli sono la notte e il sole, sono erba alta e profumo di fiori.
I miei capelli sono un pericolo.
I miei capelli, semplici fili sottili che spuntano in testa e scendono fin sotto le spalle.
I miei capelli e i capelli delle mie sorelle sono “minacce alla moralità”. Di chi, poi, non si sa.
I miei capelli sono sovversivi, le ciocche che sfuggono all’elastico per uscire alla luce del sole sono dei terroristi, una minaccia all’ordine costituito.
E allora nascondili e coprili, copriti, copriti tutta, sempre di più. Non farti vedere, invisibile. Non farti sentire, muta. Non farti guardare, non far vedere i capelli che poi, sai, un uomo potrebbe vederli ed eccitarsi, e metterti le mani addosso e peccare. Copri i capelli, copriti tutta, sparisci nel nulla, chiuditi in casa. Questo dicono, vogliono, ordinano i vecchi barbuti per mantenere il potere.
I miei capelli sono lunghi e morbidi prigionieri che profumano di fiori e di colpi di spazzola.
A volte, quando sono da sola all’aperto e nessuno mi vede, li sciolgo dal sudario che li costringe e li scuoto, lascio che volino al vento e mi accarezzino il viso, che pizzichino il naso e mi coprano gli occhi di fili sottili.
Verrà il giorno in cui potrò dire basta, mi ripetevo. Verrà quel giorno in cui potrò togliere la cappa pesante che da sempre porto sul capo e scuotere orgogliosa la testa, senza alcuna paura. Verrà il giorno in cui anch’io sarò vista e visibile, in cui sarò voce e grida, in cui sarò pugni che si alzano al cielo. Verrà il giorno del no.
In piedi, di notte, sul tettuccio di un’auto. Tutti gridano e spingono e corrono. Moto sgangherate che passano, passi pesanti di scarponi neri che pestano i marciapiedi di corsa, e gli scoppi, le urla, l’odore dei fuochi che bruciano manifesti e ritratti di quegli uomini chiusi nel palazzo di polvere e marmo.
Una, un’altra e un’altra ancora: drappi scuri che sventolano e volano in mille piccoli fuochi, a ogni fiamma che si alza un grido trionfante, troppo a lungo lasciato a marcire al fondo di tante, troppe gole.
I colpi sparati in aria, poi ad altezza di uomo e di donna, ma adesso è il momento di togliere i nostri sudari e lasciare libere teste e capelli, di farli andare lontano, di farli vedere: non più invisibili, mai più mute. Una e poi due, cento e poi mille.
In piedi sul tettuccio di un’auto, liberi dal loro sudario, volano liberi nel vento caldo dei fuochi che brillano in mezzo alla strada e mi accarezzano il viso e la pelle, mi coprono gli occhi come fili sottili, si sollevano e scendono mentre salto e cammino gridando che non è questo il mondo che voglio, che ora è il momento del basta, mai più.
Sorelle che tolgono il velo e afferrano coltelli e forbici, che tagliano via le lunghe code in segno di lutto, e li lasciano andare, liberi e persi. Sorelle che so che ci guardano, da qualche parte, lontano.
Al mondo ci sono sorelle che possono toccarsi i capelli sulla pubblica piazza senza paura e ci guardano. Ci sentono, sanno e capiscono. Ci arriveremo anche noi, forse, un giorno. In piedi, sul tettuccio di un’auto, siamo migliaia, centinaia, sono io, siamo noi due: io e i miei capelli.
Bella ciao
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