
DiarioXY . LUSSURIA
La brughiera
In 17 Dicembre 2016 da Chiara MenardoTra le colline basse e morsicate dal tempo si muovono avanti e indietro, come bilancieri di un pendolo rotto. Li vedete? Cavalcano tra il rosa e il rosso dell’erica, arrancano tra gli stretti cunicoli scavati nei muri di neve e poi corrono, passeggiano, amano, odiano, piangono, vivono, muoiono…
Li osservo con ogni rigagnolo che inciampa sul suo letto di rocce, con l’acqua dei laghi, grigia come il pelo di un asino o blu come il mantello di quella donna che cammina laggiù. Li guardo con il ghiaccio dei torrenti in inverno, con gli occhi delle gocce di pioggia che precipitano dall’alto delle nuvole e vanno a sfasciarsi nel fango.
Ne ascolto le voci e le risa dai rami degli alberi resi storti dal fiato gelato che soffia, senza mai smettere, da sempre, dalle foglie d’estate che, cadendo, lasciano scoperte le dita protese e artritiche che in inverno indossano mezzi guanti di neve. Li ascolto piangere, ansimare o gemere da ogni filo d’erba, dal muschio ostinato che si abbarbica ai sassi, dalle foglie dell’edera attaccata con la disperazione del parassita ai muri delle loro case.
Sento i loro passi rimbombare sui miei sentieri. Penetrano attraverso i sassi scolpiti dal trascorrere dell’eternità, resi piatti e squadrati dagli elementi che lavorano piano dall’inizio del tempo. Vibrate come corde tese di un arco, voi piccoli esseri, e io posso sentirvi, sapete?
Non che la cosa mi interessi, mi turbi o che cambi qualcosa. Più che altro, è un lieve divertissement, sentire quali emozioni albergano nei vostri passi, nelle vostre mani.
Io so sentire la rabbia quando pestate con forza i piedi camminando lungo i miei sentieri sterrati. O la serenità dolce e leggera che si irradia dai vostri corpi stesi su un prato, quando osservate le nuvole bianche e sfilacciate e tentate di scorgervi una forma familiare. O la tristezza nelle vostre mani fredde che sfiorano le mie pietre che avete scolpito e inciso a forma di croci. So sentire la vostra passione quando rotolate tra i cespugli, riparati alla vista, lungo i bordi dei torrenti ridendo e sussurrandovi all’orecchio promesse e inutili, convinti ti amo.
E così, i giorni si rincorrono lenti davanti ai miei occhi. Uno di seguito l’altro, senza fine, nell’indifferenza della terra e del tempo.
Un infinito respiro delle stagioni e degli anni. Sbocciare da piccoli semi ingobbiti che si fanno strada insinuandosi tra i blocchi di argilla e finalmente spuntano alla luce del sole pallido, fiorire nella lussuria sussurrata e discreta di estati brevi, asfittiche e sontuose popolate di insetti, decadere nelle erbe seccate pronte all’attesa, serrate nel gelo delle nevi mortali, di rimettere fuori gli steli, in una nuova primavera sempre uguale a sé stessa. Così è la mia vita.
Se sei la brughiera, impari a nutrirti di poco e a godere di nulla, rinchiusa in un masso freddo e crepato o in un campanellino minuscolo di erica, piccolo e tenace. Narrata dai cinguettii sfrenati di gioia delle tacchinelle e dei tordi, o dal cadere silenzioso dei fiocchi gelati.
Ma ho i fianchi dolci e morbidi delle colline sinuose che corrono una dietro l’altra, immobili. Onde del mare incantate e ferme, sono così tante che non se ne vede la fine. E poi gli altipiani e le rocce a picco sul nulla. E i miei laghi si annidano come l’acqua tra le mani che gli umani chiudono a coppa quando vogliono bere.
Io, dura e leggera, infinita e compressa.
Ho visto nascere l’infinito. Ho visto nascere e morire passioni, ho visto gli spettri aggirarsi senza riposo tra gli alberi nelle notti battute dal vento impetuoso che scende dal nord.
Ho visto la follia e il buonsenso.
E, a voler essere franca e sincera, non c’è nulla che importi davvero. Vi guardo affannarvi e lottare, desiderare vendette e riparo dei torti, maledire il destino di una terra brulla o accontentarvi di trascinare un carro del latte su e giù per le mie colline sconnesse, vi guardo gioire per i piccoli istanti e ancora non capisco come ancora non abbiate compreso che nulla ha importanza se non il respiro del tempo uguale a sé stesso.
Dello zingaro che si mangiò la redenzione e l’anima con l’odio bieco della rivincita camuffata da riscatto, con la violenza e la rabbia infinita e nera come il fondo di un pozzo; della bella ribelle fino a quando non le furono assicurati un manto di pelliccia e delle pantofole calde; della vendetta oltre le generazioni e il tempo; dello spirito fiero e acceso che pronunciò un nome fuori dalla finestra in una notte di vento, in fin dei conti, non mi importa granché. Perché la brughiera scorre, cambiando pian piano ogni giorno e ogni notte, ferma nei suoi mutamenti minuscoli ma fragorosi. Un sassolino che rotola dal fianco di una delle mie colline: questo ha importanza.
E voi, formichine abbigliate che mi solleticate con i vostri piccoli passi, non potete capire.
Il libro…
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Titolo: Cime tempestose
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Autrice: Emily Brontë
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Prima edizione: 1847
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