
Le opinioni superbe . SUPERBIA
L’Eden, perché…
In 31 Maggio 2022 da Redazione Seven BlogL’Eden, paradiso, luogo fisico o spazio mentale? Prigione dei sentimenti o libertà? Il tema di maggio 2022 è Eden: noi ne scriviamo raccontini superbi…
da Debora
Tre cervelli
Abbiamo tre cervelli. Sono tre parti unite, tre appendici l’una dell’altra, tre completamenti. Ma sono al contempo tre unità. Una, due, tre. Possono convivere in equilibrio. Finché, pum!, una delle tre prende il sopravvento. Le altre due soccombono. Portano avanti un compito, un piccolo obiettivo. Be’, tanto piccolo non è: la sopravvivenza è quello stato perfetto che non può essere messo in discussione, che domina ogni singolo meccanismo dell’essere. Ed è in quel momento, nel momento in cui due cervelli combattono per la sopravvivenza solo per far emergere il terzo, ecco, in quel momento l’insieme fa più della somma delle parti. Allora, nell’Eden perfetto del meccanismo dei tre cervelli umani che presentano dinamiche a tratti imperfette, il lobo frontale impara ad acquisire un nuovo comportamento e una nuova esperienza. Si chiama coscienza.
Coscienza. La madre, il padre. Il barometro dell’ego. L’osservatore del narcisismo del terzo arrogante.
Lei manipola i tre cervelli. Sa come fare. La vedo lì davanti, gli occhi fissi, le iridi verdi e intransigenti, i tratti distesi nelle efelidi da bambina, queste – invece – rassicuranti. La pelle liscia, bianca, le parole dosate, il tono basso, la cadenza lenta, l’accento francese. Le pause, il respiro regolare. Le mani composte sulle gambe, l’ologramma che registra ciò che avviene dinanzi la sua stazza esile ma autorevole. L’aria sempre dura, definitiva.
L’essere umano che la guarda, impaurito. Che parla cercando le parole giuste. Che chiede scusa. Scusi, dottoressa, scusi se non mi faccio capire. Lei mi capisce, dottoressa? Sì, ti capisco bene, non chiedere scusa.
Ed è l’essere umano a non capire, invece, a non sapere che lei registra, imprime ogni singolo movimento in Big Data lanciati a uno dei tre cervelli e immediatamente secretati. Registra come avrebbe fatto con la macchina fotografica antica, di cui si serviva prima.
Il prima e l’oggi. Convivono in lei come i tre cervelli-unità, con la differenza che il prima non prevale mai. Non più.
L’hanno presa, l’hanno cambiata. Era solo una fotografa, vendeva emozioni. E a un certo punto ha cominciato a rubarle. Si è impossessata pian piano della coscienza dell’essere umano.
L’essere umano che le chiedeva perfino scusa.
da Caterina
Tra Eden e Inferno
Era sera, la luce della lampada si rifletteva vivida sulla tela lasciando che la penombra avvolgesse tutto il resto. Il tanfo di sigaretta corrompeva l’aria e una tosse secca e stizzosa infrangeva a tratti il silenzio. Fede, con il braccio poggiato su una canna, dipingeva l’ultimo quadro di Alice; il pacchetto delle Marlboro poggiato sulla piccola scrivania, lo sguardo attento e vigile, la convinzione primordiale che raffigurare un corpo equivale ad impossessarsene, ne ferma la vita e il suo fluire.
Più volte, per incatenarla, aveva finto di temere un abbandono, molte altre lo aveva temuto veramente: le aveva chiesto di non lasciarlo, l’aveva implorata, poi si era negato, infine l’aveva cercata. Ora, però, sentiva che come sabbia tra le dita la donna scivolava via, era sempre più lontana e la rabbia e il disappunto gli rodevano la carne. Avrebbe voluto essere come lei, capace di leggere con un solo sguardo fin nel profondo di un’anima. Così ingenua all’inizio, aveva imparato in fretta: lui era un libro aperto e lei una lettrice rapida e sicura, addirittura invadente, di fronte a lei si sentiva debole e disarmato.
Quante volte aveva desiderato una donna così, una donna capace di capirlo oltre i gesti e le parole, poi l’agghiacciante scoperta di trovarsi, anima nuda, di fronte a un giudice implacabile, il disagio di sentirsi sotto esame, di vivere l’ambiguità di un rapporto che era linfa vitale e veleno quotidiano.
Si era illuso che l’amore potesse essere un eden, invece ogni giorno sprofondava sempre più nell’abisso della gelosia. Si avviluppava nella sua stessa trappola, una storia già scritta: lei se ne sarebbe andata, lui sarebbe rimasto tra le fiamme del suo inferno.
da Giorgio
Fuori dall’Eden
Signore, lo so che mi senti, e non m’importa se non mi ascolti. Tuo è il campo, tuo l’albero, tua la mela, non lo nego. E ti ringrazio per l’invito, ma devo dirtelo, non sei stato un ospite gentile. Mi ci hai messo tu su quel terreno e poi ci hai messo lei, bella, giovane, nuda. E già mia, perché nata da una costola del mio corpo. Lei è sempre stata parte di me, e con lei sono tornato a essere tutto. Allora perché punirci? Quella che tu chiami tentazione altro non era che desiderio d’essere uno. E il serpente, un ignobile trucco, uno scherzo puerile, il gioco di un padrone annoiato che mendica attenzioni. Potevi toglierti anche tu una costola e regalarti una compagna. E invece no. Ci hai spiato, pronto a battere il martello e a emettere il giudizio. Ebbene, Signore, questo ti dico, che fra me e te, sono io che amo veramente, perché sono pronto a scontare il mio peccato senza ripudiare la colpa. Ah… e a proposito della mela. Tieniti pure il torsolo, io mi sono gustato la polpa!
da Claudia
Evelyn
Prendi questo coltello, Eve! Lo vedi? Guardalo bene, lui è quello che ha abusato e abusato di te, notte dopo notte. Colui che ti ha privato della tua innocenza. Guardalo, Evelyn: ora è vecchio, dorme nella poltrona a fianco al camino e sembra innocuo.
È così innocente, sembra innocente, ma di innocente non avrà mai niente. La sua innocenza ha smesso di esistere quando ha deturpato la tua. La nostra.
Ora abbracciami, noi siamo una cosa sola, e non puoi più resistermi. Abbracciami, Eve, abbraccia il tuo riflesso. Siamo una cosa sola. Accoglimi, Eve.
Eve abbracciò il suo riflesso e si fece guidare. Come uno spettro, arrivò silenziosamente nel salotto.
Si fermò di fronte al padre col coltello in mano. Lui non si accorse di nulla: dormiva, e ormai solo il respiratore lo teneva in vita.
Ma per pochi secondi aprì tiepidamente gli occhi, gli stessi occhi grigi e freddi che aveva visto sopra di lei affannare tante volte.
Lei sbattè le ciglia. «Va bene, scendo all’inferno, padre, ma tu verrai con me!».
Non esitò e piantò il coltello, lo fece dall’alto verso il basso però, in modo da inserirlo lentamente nella cassa toracica. Poi, impassibile, lo guardò affogare nel suo stesso sangue, trovandosi completamente cosparsa del liquido vischioso di quell’uomo, ormai agonizzante.
Eve ne prese una goccia, la portò dentro la bocca e l’assaggiò: non provò nulla, tantomeno rimorso.
Sentì solo sapore di ferro.
Guardò il padre esalare l’ultimo respiro e disse: «Questo inferno a me sa di buono, a me sa di paradiso!».
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