Le storie superbe . SUPERBIA
Il pegno
In 27 Febbraio 2023 da Redazione Seven BlogUn racconto che ha partecipato a SevenStories – Banco dei pegni
di Massimo Coccia
Ho una Porsche, una villa al mare, un attico in città. Ho una cantina ben fornita, vestiti firmati e chi cucina per me. La bella vita. E tutto grazie al banco dei pegni.
Ci capitai per caso, un giorno, alla fine di un periodo in cui la mia vita aveva intrapreso una strada verso il basso, lungo una china particolarmente ripida.
Avevo un lavoro, più che discreto, ma spendevo un buon 65% dei miei guadagni in scommesse e un altro 65% abbondante in alcol. Questa cosa pare infastidisse molta gente, tra cui mia moglie che non capiva come avremmo fatto a pagare cibo e bollette (che infatti non pagavamo), il mio datore di lavoro che vedeva le mie performance non brillare granché e persino mio fratello, che era diventato il fornitore più o meno regolare di quel 30% che mancava a far quadrare il mio bilancio.
Con allibratori e baristi intrattenevo relazioni sicuramente più spensierate, ma la cosa non portava grande giovamento a me, né alle mie casse.
Dopo un periodo più o meno lungo, di cui io ricordo molto poco, un giorno trovai le mie cose sul pianerottolo e un biglietto con scritto “puoi stare in box finché non trovi altro”.
Il box non era poi male tenuto conto che aveva anche un lavandino. Il barista ormai amico mi metteva a disposizione bagno e doccia e quindi si andava avanti. Le cose si misero davvero male quando anche il mio capo mi fece trovare un bigliettino che suonava vagamente come quello di mia moglie. In aggiunta c’era solo un “giusta causa” ad un certo punto di una pomposa e fredda frase.
Senza un lavoro anche l’amicizia col barista si incrinò un pochino, il che mi fece ricredere un po’ sulla sincerità e sul disinteresse dei rapporti umani.
Di fatto, però, mi servivano soldi. Assolutamente. Cominciai a frugare tra gli scaffali del box, in cerca di qualcosa che avesse un valore. La prima caccia non andò male, trovai alcuni francobolli che mi regalò uno zio, l’orologio da taschino del bisnonno, il numero uno di “Capitan America”, originale ma non in condizioni perfette, e gli occhiali da sole del nonno, ricevuti dall’esercito per la campagna di Libia.
Tramutare queste cose in soldi non è sempre così semplice, ma c’è il banco dei pegni.
Raggranellai così una somma, senz’altro disonesta ma pur sempre in contanti, grazie alla quale potei concedermi una memorabile serata, finita con lo svenimento sulla soglia del box. Mi ripresi una buona mezza giornata dopo, e contando quel che mi rimaneva in tasca mi resi conto di essermi divertito parecchio la notte prima.
Cominciai una seconda caccia in box, e poi una terza ed una quarta. I reperti che scovavo erano sempre più miseri, come le somme che ne derivavo dal banco. Quanto al riscatto dei pegni, non era proprio nei miei pensieri.
Andò così per qualche tempo, fino a quando un giorno entrai al banco dopo un’assenza più lunga del solito. Avevo con me due cianfrusaglie, ormai il box era pulitissimo. Il banco era deserto. Giovanni fece la sua offerta, misera come pensavo. Dopodiché stette in silenzio per un attimo, mi squadrò, ammiccò.
“Non ti vedo benissimo, ultimamente. E che ci fai con questi due spicci?”.
Di nuovo silenzio.
“Senti… Ti piacerebbe fare un po’ di soldi? Soldi veri?”.
“Ma la cosa è legale?” chiesi.
“Se fosse legale la farei io, caro”.
Iniziò così.
Piccola ricettazione, piccole estorsioni, qualche minaccia ai debitori insolventi. Arrivarono i primi soldi. Mi rimisi in forma. A tratti ero anche sobrio. Piacqui. Arrivarono i primi incarichi di responsabilità, fino al mio primo omicidio. Fu involontario in realtà, e ne fui atterrito. Ma quelli rendevano parecchio e a tutto ci si abitua.
Anche alla cella.
Ho una Porsche, una villa al mare, un attico in città. Vestiti firmati, la bella vita.
Il pegno? La mia dignità. La mia libertà.
Ho tutto quello che voglio.
Non ho più niente.
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