Amatorius Secretum . LUSSURIA
291 vite di Casanova e 1 amore
In 2 Aprile 2016 da La Comtesse
- Bonjour Monsieur Casanova, quale onore è incontrarvi nel Terzo Millennio. Credo che voi mi conosciate già – e non sarebbe bello per una Comtesse presentarsi da sola – pertanto lascio a voi la parola, perché sapete, sono molto curiosa di sapere cosa pensate di questa mia epoca.
- Intanto una domanda, mia divina. Il baciamano è ancora consentito?
- Ah, audace! Il baciamano ve lo consento io, ma sappiate che le mie contemporanee ne riderebbero. Immagino che dopo questa mia affermazione rimpiangerete le dame del XVIII secolo… Una in particolare: Lucrezia Castelli.
- «Le cose han cambiato volto, mi cerco e non mi ritrovo; non sono più quello di prima, e questa non è vita. Posso solo dire di aver vissuto». L’ho scritto nelle mie Memoires, quando ero ormai vecchio e di quello slancio mi rimanevano solo i ricordi, Madame. Ma ora che voi mi avete donato la curiosità di rivivere l’amour des temps, non posso rimpiangere nulla: sarebbe scorretto verso voi, che siete magnifica, e verso le vostre contemporanee, che sono così belle e intelligenti. E a me piace trovarmi ignorante dinanzi alle donne.
- So quanto amate le donne, Monsieur Casanova. Ma non mi adulate, anche se vi nascondete dietro l’ignoranza non è bello che ignoriate il nome che vi ho citato. Quindi ora racconterò io, e avrete la parola solo alla fine. Forse.
Si dice che Giacomo Casanova ebbe un’avventura meno avventura delle altre. Un unico amore? No, sarebbe scorretto, perché furono tutti amori, i suoi. È assolutamente vero che amava le donne. Le amava con desiderio di scoprirne l’essenza, ed era un po’ questo che gli garantiva il fascino particolare dell’avventuriero, del corteggiatore. Donc, mes amis, dicevamo, l’avventura più importante, ma solo perché è la prima. Lucrezia Castelli, o «la belle romaine».
La signora della buona borghesia che gli diede una figlia illegittima, Leonilda, la quale è stata amata a sua volta dal Casanova, e non proprio platonicamente – tanto che lei non credeva mica troppo nell’amore sospirato: «Dio mi guardi da questo platonismo! A voi di trarre le conseguenze» – è stata per un Casanova novellino e pronto a tutto («Non voglio dire che avessi la bellezza, ma qualcosa che val di più e che non so precisamente cosa sia. Mi sentivo disposto a tutto») la rivelazione all’amore («Che dolci ricordi sono legati a quei luoghi! Mi sembrava di vedere per la prima volta la mia divina Lucrezia. I nostri sguardi ardevano, i nostri cuori palpitavano all’unisono nella più dolce impazienza, e l’istinto ci guidava verso un rifugio solitario che sembrava preparato dalle mani stesse dell’amore per consumarvi i misteri del suo culto più segreto»).
È il 1744 e il giovane abate Giacomo Casanova ha 19 anni. Vive le avventure felici con Lucrezia in una Roma misteriosa, decadente e massonica:
Roma è l’unica città in cui un uomo, partendo dal nulla, è spesso salito molto in alto […]. L’uomo adatto a far fortuna in questa antica antica capitale del mondo deve essere un camaleonte pronto a riflettere tutti i colori dell’atmosfera circostante, un Proteo capace di assumere qualsiasi forma. […] e se ha la sfortuna di non avere religione in cuore, deve averla nella mente, sopportando in pace, se è un brav’uomo, la mortificazione di doversi riconoscere ipocrita. Se non sopporta questa finzione, farà meglio a lasciar Roma […].
Un solo ostacolo: Lucrezia è sposata con un avvocato di mezza età. Ma l’ostacolo ha più l’aria di un indulgente lasciapassare:
Il marito, sempre compiacente, le disse che ero innamorato di lei, e la suocera, Donna Cecilia, gli disse di non fare tanto il gradasso. […]
La mattina del giorno in cui avevo deciso di passare la serata da Donna Lucrezia, mi vidi piombare in camera suo marito, il quale mi disse che sbagliavo se credevo di fargli credere che non ero innamorato di sua moglie non andando più spesso a farle visita; poi mi invitò a far merenda al Testaccio con tutta la famiglia il giovedì seguente.
Lucrezia è la donna che ritorna. Quella con cui i conti della vita non sono mai chiusi. Che dopo averlo avuto con passione, lo dona ad Angelica, la sorella diciassettenne vergine solo per far capire a questa le bellezze della passione. Lo dona, ma con partecipazione:
«Abbracciala, amor mio», mi dice Lucrezia, spingendomi verso di lei e godendo di vederla tra le mie braccia immota e languente. […] mi abbandona alla dolce Angelica, che per la prima volta sacrifica a Venere. Lucrezia, stupita e rapita dal piacere, ci dispensava i suoi baci. Angelica, non meno felice di lei venne meno tra mie braccia per la terza volta, così teneramente che mi strappò il cuore.
Torna, Lucrezia, diciotto anni dopo, in una Napoli dalle verità celate, affascinante e vigliacca nella propria ipocrisia. Una Napoli fatta di satire verso la corte la notte, ma che ogni mattina rinnova il baciamano al re. Dove si gioca d’azzardo appena dopo un’opera al San Carlo. Dove si hanno giovani e belle amanti nonostante l’impotenza, per preservare l’onore dell’uomo. Dive si dà del “tu” a chi si è appena conosciuto per spirito di ospitalità. Casanova non è più il novellino di quella Roma delle speranze e dei giovedì al Testaccio. È già passato attraverso avventure e amori, è già stato promesso sposo chissà quante volte. Si innamora di Leonilda, una bella ragazza, considerata intelligente dal suo protettore perché parla francese e sa disquisire d’amore.
Leonilda era un bellezza; aveva i capelli castano chiaro, colore non sospetto, e i suoi begli occhi neri dalle lunghe ciglia ascoltavano e interrogavano al tempo stesso. Ma quel che mi incantava era per me una vera novità, era che quando raccontava qualcosa, essa parlava con le mani, coi gomiti, con le spalle e persino col mento. La lingua non le bastava a spiegare tutto quello che voleva far capire.
Ecco, Leonilda è la figlia di Lucrezia. Figlia di Casanova, nata diciassette anni prima, concepita su un prato romano. O questo sostiene Donna Lucrezia Castelli. Il passionale Casanova lo scopre da lei stessa appena prima di sposare Leonilda, otto giorni dopo averla conosciuta. Un altro matrimonio finito in niente.
Noi sappiamo – perché lui l’ha scritto con estrema lucidità nelle 4000 pagine delle sue memorie – che questa storia avrà un seguito. Ma lasciamoci con Lucrezia, l’ésprit fort, la belle romaine, il primo amore. E lasciamoci con un Giacomo giovane e ingenuo, anche se le bellezze della donna e dell’amore sono sempre state presenti in lui.
- Dico male, Monsieur?
- Avete detto tutto ciò che volevate dire. E con un’estrema eleganza, Comtesse. Chi sono io per darvi torto?
- Siete un veneziano che ha vissuto 291 vite. A proposito: buon compleanno, mio caro Giacomo.
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