IRA . Racconti da Kepler
Monarchia o Repubblica in riva al fiume.
In 2 Giugno 2017 da Il ViaggiatoreIl fiume non scorre soltanto, racconta e osserva per qualche istante i luoghi che attraversa portandosi via storie e immagini riflesse. Sono in una città che per colpa della guerra ha visto distruggere il suo ponte medievale, rosso, unico, un capolavoro architettonico. Le bombe lo hanno devastato. Lo ricostruiranno trenta metri più avanti ma non sarà più lo stesso.
Il fiume è lavoro per chi trasporta merci e per chi lava i panni dei signori. Ma vi si corteggia la bella della tua contrada e si va a riflettere sulla vita. Si va anche a pescare, un po’ per aggiungere qualcosa alla pentola e un po’ per arrotondare i soldi della settimana rivendendo alle trattorie, poco distanti dalla riva in cui mi trovo, pesci per frittura o per carpione (so cosa vuol dire, gnam gnam!).
I pescatori sono interessanti da ascoltare: si infilano nell’acqua con il gelo invernale e con la calura estiva, non rinunciano nemmeno quando c’è la nebbia – e qui, ho scoperto, mica scherza! Quanto è lontano il mio Kepler, spesso lo cerco nelle notti più limpide senza utilizzare tutta la tecnologia che mi porto persino in tasca: sento voglia di casa. Sarà colpa del fiume, che ha il potere di farmi riflettere.
Oggi, 2 giugno 1946, sono qui al caldo a osservare due pescatori che confabulano da amici: chiacchierano in modo confidenziale tra un lancio e l’altro del filo e mi fanno intuire che questa domenica è cruciale. Tra oggi e domani un Paese uscito dalla guerra e ancora malconcio decide se smettere di essere ancora guidato dalla monarchia che nemmeno da troppo tempo lo ha unificato, un po’ per caso e un po’ inaspettatamente, oppure diventare una Repubblica. La dittatura da poco sconfitta ha lasciato le ferite della guerra Mondiale e il sale che le fa ancora bruciare della guerra civile: la pacificazione sarà ancora lontana e il pericolo rosso, quello che aveva spalancato la porta al Fascismo è tornato al centro della disputa politica e al lavorio sotterraneo delle potenze esterne. E questo si ripercuote sull’altro voto, quello per la Costituente, l’assemblea che dovrà scrivere la nuova Costituzione.
Ho scoperto, una volta a mie spese, che si può essere spettatori della pesca altrui, basta non disturbare. E così sto facendo, perché ci tengo ad ascoltare i discorsi. Sono due giovani già abbronzati dal sole di pianura che non perdona quando deve rosolarti la pelle e che non disdegnano di assaporare il contenuto di un fiasco ogni volta ben fissato nella sabbia dove le docili correnti del fiume lo possono tenere fresco. I posti segreti, quelli più pescosi rappresentano il vanto di ogni pescatore ma temo che oggi la zona non sia così favorevole, perché le loro sacche languono un po’: c’è qualche arborella ma di cavedani non se ne vedono. Il primo di questi giovanotti ha una voce profonda segnata da un r che fa tanto Bassa e braccia che fanno intuire un lavoro di quelli tosti; il secondo ha una voce più tenue che cozza un po’ con l’aria austera e un fisico altrettanto corpulento. Il loro dialogo diventa sempre più animato, un rimpallo che ho cercato di riportare fedelmente e con minuzia traducendolo dal dialetto (che mi sono dovuto imparare):
«Questa sera. Mia mamma è andata questa mattina e non le sembrava vero di poterlo fare».
«Pure la mia, insieme a mia sorella. Mi hanno detto che hanno scelto la Monarchia ma non mi ha voluto dire che partito ha votato, tanto lo so che hanno dato retta al prete!».
«Hanno fatto bene, viva i Savoia!».
«Come “viva i Savoia”? E la dittatura? E le le leggi contro gli ebrei?».
«Ma dai, lo sai che quelle le ha imposte Mussolini, sono brave persone, hanno avuto pure un lutto in famiglia con una figlia morta in campo di concentramento e poi Umberto e Maria José sono socialisti».
«Come no, hai mai visto un nobile socialista? Io voglio la Repubblica. Non mi dimentico che sono scappati a Brindisi e io qua sotto quel ponte dopo che avevo fatto la guerra in Africa, per quel pelatone là».
«E io ero in Grecia e sono tornato a piedi e non potevo scrivere a casa ma l’ho fatto per il Re. E non sono scappati per salvare il trono, hanno lasciato Roma e hanno salvato l’Italia. Se siamo una nazione lo dobbiamo a loro. Del resto pure il tuo Togliatti nel 1943 a Salerno ha detto che piaceva anche a lui la Monarchia».
«Non l’ho proprio capita quella, perché i russi sapevano cosa farci con ‘sti nobili. No no guarda, dai retta a me, scegli la Repubblica».
«Non ci penso nemmeno! Viva il re! Ti ricordi quando è venuto qui? Quanti applausi e che emozione!».
«Stai facendo scappare i pesci con le tue chiacchiere, come scapperà lui quando perderete il referendum. Esilio, ecco quello che ci vuole. E ci vuole per tutti i suoi familiari. Via via, una corte da mantenere e che vive a sbafo».
«Ma che esilio ed esilio! Hanno costruito l’Italia una volta e lo faranno ancora. Vedrai, una bella Monarchia è quello che ci vuole, altro che Repubblica, la Repubblica ci farà diventare come la Russia, ancora dittatura».
«Dittatura? Ma tu sei matto, saremo liberi».
«Io non mi fido, vedrai che ci saranno brogli o conteranno male le schede, così avrai la tua Repubblica, non mi fido troppo dei rossi».
«E tu ti fidi troppo dell’austriaco, quello che hanno votato mia mamma e mia sorella. Accidenti! E non ridere sai?».
«Ma tu che Italia vorresti?».
«Libera, dove non hai bisogno di divise e non girano i manganelli. Dove puoi vivere in santa pace e metter su famiglia con la Rosa».
«Già, certo che la Rosa è proprio bella, come la mia Mariuccia».
«Era bello il nostro ponte, eh?».
«Mi vien da piangere a vederlo così, ti ricordi quando ci tuffavamo dai balconcini per farci guardare dalle ragazze?».
«È passato qualche anno ma sembra tanto tempo fa».
«La guerra ci ha cambiato e non saremo più gli stessi».
Come il ponte, dico sottovoce, per non disturbare e lasciarli alle loro chiacchiere.
Alla prossima.
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