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Hazzard
In 22 Gennaio 2018 da Fabio MuzzioNell’ondata di serie TV che riempirono i palinsesti delle emittenti private e in particolare di Mediaset negli anni Ottanta, un posto di rilievo è da assegnare a The Dukes of Hazzard, che nella versione italiana venne semplificato in Hazzard con tanto di sigla realizzata ad hoc da Augusto Martelli, una consuetudine dell’epoca.
La serie, diventata un vero cult, venne messa in onda per la prima volta dalla CBS il 26 gennaio 1979: i cugini Bo, Luke e Daisy Duke approdarono in Italia solo due anni dopo con un doppiaggio di grandissimo rilievo (Lino Capolicchio, Flavio Bucci e Micaela Pignatelli diedero le voci a tre protagonisti appena citati nelle prime cinque delle sette stagioni).
A ripensarla a distanza di così tanti anni, chi scrive era un tredicenne ancora indeciso se ad attirarne l’attenzione fossero le evoluzioni del Generale Lee, la Dodge Charger del 1969 tutta arancione con lo 01 sulle fiancate, la bandiera sudista sul tetto e l’inconfondibile melodia del clacson, oppure le gambe di Daisy, cameriera del Boars Nest che si innamorava pochissime volte (ma all’apparenza senza concedersi), faceva strage di cuori e spesso utilizzava la sua avvenenza per “intortare” sia il vice sceriffo Enos, innamorato cotto di lei, che i diversi cattivi, in fondo poco più che bambinoni ingenui. Quelle gambe erano di Catherine Bach ed erano assicurate per 1 milione di dollari. E a ripensarci le valevano proprio.
Il canovaccio era semplice: un boss locale, Jefferson Davis “Boss” Hogg, che controllava tutto nella Contea e che a colazione mangiava fegato crudo accompagnato da caffè nero, fumava un sigaro puzzolente ed era sempre alle prese con traffici illeciti, contrastato in questo dai due cugini che cercava ogni volta di far arrestare; la stupidità dello sceriffo e cognato Rosco P. Coltrane che non riusciva mai a catturarli per più di qualche ora, non guadagnava nulla nel coprire gli “affari sporchi” ed era sempre in compagnia di Flash, il suo basset hound. In questo quadretto tutto si giocava sulle tante corse in macchina nel Sud degli Stati Uniti con sottofondo country, dove era ancora vivo il sentimento dei Confederali ma non più il razzismo che albergava all’epoca della guerra di Secessione (e anche dopo). Si poteva comunque dedurre, alla fine, che la benzina costava davvero poco, alla luce del fatto che Bo e Luke non avevano mai un centesimo di dollaro ma il serbatoio sempre pieno.
Le vicende di questi campagnoli dal cuore d’oro, con in testa il saggio zio Jessy, sapiente ex distillatore e contrabbandiere di bourbon, allergico alle parolacce e alle prese con l’ipoteca della fattoria, restituivano un’immagine degli U.S.A. un po’ diversa da come ci avevano abituato altre serie, in particolare quelle “poliziottesche” nelle varie San Francisco, New York o Los Angeles. Insomma la polvere dei campi che avevamo lasciato ne La grande Vallata e ne La casa nella prateria adesso si alzava per sgommate e inseguimenti a suon di sirena.
E se il meccanico Cooter Davenport, perennemente sporco di grasso e un cappellino dal quale chiunque sarebbe girato al largo, era stato il fautore della nascita del Generale Lee, colore arancione compreso, la storia delle sette stagioni della serie sono state tutt’altro che lisce: 147 episodi non senza litigi, abbandoni del cast, in testa Tom Wopat e John Schneider sostituiti da Byron Cherry e Christopher Mayer nel ruolo di altri due cugini: Coy e Vance, sempre l’uno biondo e l’altro moro per mantenere inalterato il format. Dopo 19 episodi, complice il calo degli ascolti, si tornò ai cugini originali. Oltre a sottolineare che il gioco delle coppie delle serie TV o era il confronto generazionale, giovane/vecchio, oppure uomo colore/bianco o del biondo e del moro, come avevano evidenziato Starsky e Hutch. E proprio come questa serie, altrettanto di culto c’è una macchina che contraddistingue la coppia (in questo caso una Gran Torino rossa); e non solo, pure la trasposizione cinematografica che, nel caso di Hazzard, è stata imbarazzante, avendo ottenuto premi e candidature che spaziano da peggior film a peggior interpretazione e peggior versione cinematografica di una serie TV.
L’8 febbraio 1985 la serie ha chiuso i battenti e ammetto che se capita l’ennesima replica sui nostri canali mi fermo ancora volentieri: Hazzard ci ha dato un’immagine leggera e divertente senza avere la pretesa di prendersi sul serio; il lieto fine era canonico come il volo da un fosso all’altro della macchina con tanto di colpo di clacson.
E poi ci sono sempre le gambe di Daisy.
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