
Le storie superbe . SUPERBIA
La voglia è una palla di frolla
In 27 Agosto 2016 da Redazione Seven BlogIl racconto quarto classificato (ex aequo) di StorieSuperbe – La Lussuria
di Chiara Menardo
La frangia lunga che scende sul viso le accarezza le guance.
A cavalcioni su una sedia, appoggiata con il busto allo schienale, gli occhi socchiusi carichi di mascara e kajal ormai disciolti nella giornata passata, L. osserva. Un velo di sudore sottile le copre la pelle mentre piano percorre le labbra con la punta della lingua. Il contatto delle dita dei piedi con il pavimento di marmo smorza il caldo sciropposo della sera di luglio.
Lui la sta aspettando.
Anche lei aspetta, mentre lo lascia aspettare.
«Tutto passa in primo luogo dagli occhi», mormora. «Prima lo sguardo, poi arrivano il profumo, il contatto con la pelle e poi ancora il suono, vago e sottile. Solo alla fine, solo quando è il momento…».
Sospira, anticipando l’istante. «Lo prendi tra le labbra e ne senti il sapore, ecco. Il gusto è l’unico senso che accoglie, che è attivo: deve essere l’ultimo. Sì, è così. Prima, osserva con attenzione: ogni dettaglio, ogni particolare bellissimo e perfetto, anche nell’imperfezione».
L. permette ai suoi occhi di scivolare e perdersi in quel trionfo d’ambra dorata e di curve. Sente lo sguardo uscire da sé come una freccia che si allunga, fino a toccare: è un mescolarsi di sensi.
È bellissimo.
Così, ancora, senza lasciare che la sensazione si allenti.
Piano però.
Inclina un poco il capo, scosta una ciocca di capelli dal viso e attende che un sentore lieve di sale e vaniglia invada, discreto, le narici. Molto lentamente.
Il piacere è lento, sale come il montacarichi dal pozzo di una miniera, non ha alcuna fretta. Assaporare l’istante, renderlo rotondo e indimenticabile, immortale è l’immaginazione dell’atto, prima di compierlo. Viverlo e riviverlo ancora, senza ancora averlo vissuto.
Anticipare i secondi, far salire la voglia. Aspettare che tutto ti invada.
E così, lentamente, allunga una mano: la punta delle dita sfiora la superficie calda, umida e morbida, sente un brivido che parte dai polpastrelli e raggiunge il cervello per poi scendere ancora fino ad avvolgere, come un bozzolo di seta, la pelle.
Inspira ed espira profondamente: sta per cedere oltre il controllo, così non va.
Piano.
Più piano, non è ancora il momento.
Deve imparare a dominare l’istinto bestiale che sembra possederla.
Si alza, ansimando. L’oggetto del suo desiderio è lì, immobile, in attesa paziente: aspetterà ancora, non può fare altro.
Lascia la stanza in una smorfia di stizza. È un esercizio faticoso il suo, occorre sapere quando fermarsi.
Acqua: la lingua sembra impastata, come spennellata con uno strato di colla. È la voglia che la sta asciugando da dentro, non va bene.
Apre il frigo e osserva.
Ora solo acqua e un poco di ghiaccio.
Il caldo si intensifica con il calare del sole, le luci fuori si muovono come un budino quando lo scuoti, vibrano tutte.
L. si sfila la canotta larga, rimane quasi nuda: solo uno slip di cotone a coprirla. Torna indietro, avvicina a sé la sedia, la monta come fosse il dorso di un cavallo.
Il ghiaccio freddo le cigola tra i denti, lo passa da una parte all’altra della bocca. Lentamente, avvicina due dita alle labbra, prende il cubetto gelato e si sfiora il collo, scende percorrendo lo sterno. Tutto passa dagli occhi, non ha smesso di fissare lui, che la sta aspettando lì, fermo, in attesa.
Abbassa lo sguardo e osserva i pori sollevarsi a contatto con il ghiaccio: bello.
Poi, lenta, torna a osservare l’immobilità morbida dell’oggetto del suo desiderio.
Il profumo torna ad avvolgerla come l’ovatta: vaniglia, nota di testa. Paradiso, nota di cuore. Un vago sentore di sale, nota di coda. Chiude gli occhi e inspira. Immediatamente, si riprende: mai, mai permettere a un senso di escluderne un altro.
Passione è immergere tutto il proprio essere, perdersi nel mescolarsi vorticoso dei sensi dove ogni cosa si fonde, dove alfa e omega non esistono più perché tutto è uno e tu sei tutto, e uno, e non ti distingui.
La voglia è una palla di frolla.
Allunga di nuovo la mano, tremando. Nella luce gialla che invade la stanza le dita sembrano risplendere, mentre si separano leggermente tra loro per toccare. Di più, ancora.
Un istante sospeso, perfetto, quello prima del contatto: «3 metri…2 metri … 1 metro … 50 centimetri … Houston, l’aggancio con la stazione spaziale è stato perfetto».
Cos’era, Armageddon? Non ricorda bene, ma ricorda la tensione, lo spasmo alla base del ventre, il fiato trattenuto mentre guardava sullo schermo della televisione lo shuttle che si avvicinava lento, inesorabile e preciso a quella specie di rocchetto di filo nello spazio. Così come lente, inesorabili e precise sono le sue dita in quell’istante, sospese tra la solitudine dell’aria e l’unione compatta con un altro corpo.
Morbido, lievemente umido e appiccicoso, liscio e ruvido nello stesso tempo. Lo splendore e la meraviglia la assalgono. L. inspira ed espira, è un momento delicato. Non vuole venire di nuovo sopraffatta dall’incontrollabile.
«Ricorda, L., il montacarichi che sale dal pozzo di una miniera … Va tutto bene: stai controllando perfettamente».
È un istante di grazia acuta, combinato con il sincronismo dell’intero universo, quello in cui le sue dita si posano sull’oggetto del suo desiderio: un silenzio perfetto amplifica il rumore del tocco, la musica del fruscìo e del contatto.
L. è ipnotizzata dal lento avvicinarsi alla meta. Stringe con delicatezza le dita e un sospiro sale dal profondo del corpo fino ad accarezzarle la gola.
È il momento: senza staccare le dita, L. si alza dalla sedia con respiri profondi. Languida e pesante si avvicina, le mani ora possono stringere lui, l’oggetto del suo desiderio.
Socchiude le labbra, finalmente le appoggia a quell’ambra di zucchero, al profumo, alla morbidezza dell’estasi.
Affonda i denti nella consistenza morbida, stringe fino a che le labbra si serrano e la gola è invasa dalla viscosità fredda dell’anima dell’oggetto del suo desiderio.
Finalmente può chiudere gli occhi, mentre stringe tra le dita sporche di zucchero sciolto quel che resta del bombolone alla crema.
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