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Le mirabolanti aspettative di un trentacinquenne in declino
In 28 Agosto 2016 da Redazione Seven BlogIl racconto vincitore di StorieSuperbe – La Superbia
di Rachelsa
Merda, ho pensato. Sono così fottutamente britannico da non scompormi nemmeno se rivedo la mia ex storica in un bar a Londra, puzzo d’erba e non ho un lavoro.
Ho capito che era Kath perché aveva quella sua aria sicura, tipica di ogni volta in cui voleva nascondere la sua buona dose di ansia sociale che la rendeva nervosa anche quando ordinava un cappuccino.
Mi sono chiesto se fosse davvero lei, visto che le probabilità di incontrarla nello stesso caffè di Londra alla stessa ora non erano molto alte. Ma quando ci ha messo una buona manciata di secondi a decidere se dovesse prima sedersi, sistemare il cappotto dietro la sedia o appendere la borsa da qualche parte, ho pensato: eccola. È lei.
Mi ricordavo il suo culo come se lo stessi mordendo in quel momento. Era bello guardarla da lontano, sapendo di non essere visto. Potevo farmi un sacco di domande, tipo se avessi fatto bene a mollarla, se vedendola a quell’età in un locale avrei voluto offrirle da bere, se le sue tette fossero ancora sode, e che cazzo di lavoro facesse.
Kath era cambiata. Era più snella, ma aveva anche qualche ruga intorno agli occhi e alla bocca. Sembrava una donna impegnata. Non felice, soddisfatta o sicura di sé: non lo sarebbe mai stata, probabilmente. Ma impegnata, sì. Era vestita di scuro, come al solito.
Si è seduta col suo caffè e ha aperto un quaderno. Si è messa a un tavolo il più possibile lontano da chiunque e ho pensato a quanto non fosse cambiata di un millimetro in quello. L’ho vista lanciare occhiate di sbieco qua e là. Diffidente e solitaria. Come sempre. Si è anche lasciata i capelli lunghi come aveva a ventitré anni. L’ho apprezzato. Tutte le mie coetanee si stavano facendo quelle orribili pettinature da casalinghe o da femministe e portavano i capelli corti tipo professoresse delle medie. Li trovavo sexy quanto potevo trovare sexy una tanica d’acqua distillata.
Si è messa a scrivere – certo, non potevo vedere se stava scrivendo un racconto, ma lo sapevo. Me l’ero portata a letto per quattro anni interi, in fondo. Dovevo conoscerla almeno un po’.
Non mi sono neanche domandato se fosse il caso di salutarla o no, di dirle che avevo trentacinque anni, mi erano venute le rughe, fumavo un sacco di erba, non avevo un lavoro e avevo tentato di farmi un cocktail letale un paio di settimane prima. Era un Negroni corretto con l’intero contenuto di una bottiglia di acetone che una tizia aveva lasciato nel mio bagno.
Dopo la prima gozzata mi ero vomitato addosso. Non ero buono nemmeno ad ammazzarmi. Un fallito sotto ogni punto di vista. Bravo, Damien.
Kath non ha levato lo sguardo dal foglio per un po’, così mi sono alzato in silenzio e, noncurante della figura del bastardo viscidone che avrei fatto agli occhi degli altri avventori avvicinandomi in quel modo inquietante, mi sono diretto verso il suo tavolo. Portavo gli occhiali da sole perché, da bravo stronzo, la mattina non sopportavo la luce.
Nel breve tragitto mi sono domandato quale fosse il miglior modo per rompere il ghiaccio. Ciao Kath, come stai? Sono il tuo ex e, quando non fumo erba o non provo ad ammazzarmi, cerco di trasformarmi in Dracula. Come vedi, mi sta riuscendo egregiamente, visto che non riesco ad uscire di giorno senza occhiali da sole, anche sotto il cielo grigio di Londra. Ah, comunque, ci tengo a specificarlo, non è colpa tua, se provo ad ammazzarmi. Almeno quello. Ma è andata proprio come dicevi tu. Che mi sarei ridotto nella merda con le mie stesse mani. Beh, eccomi qua. Buona giornata.
Un altro si sarebbe rifiutato di presentarsi in quello stato a una ex che sembrava relativamente in forma, sempre che l’attributo “in forma” potesse essere associato a una come Kath. Anche a ventitré anni, bella, giovane e intelligente, si era sempre sentita attraente e interessante come uno scaldabagno.
Ma io non ho esitato. Conoscendola, sapevo come sarebbe andata. Le avrei fatto una delle mie battute da stronzo, lei avrebbe fatto finta di odiarmi e poi ci saremmo messi a ridere. Se me la giocavo bene, potevo pure rimediarci qualcosa, magari un drink da me e una scopata. Kath non era una che si tirava indietro. Era ancora discreta. Ho cercato di ricordarmi in che condizioni avevo lasciato il mio appartamento, già di per sé fatiscente.
Meglio non pensarci, vecchio mio.
Conoscevo il mio punto forza comunque. Era quello, l’importante. Sapevo che l’avrei fatta ridere, perché quando stavamo insieme il mio umorismo era stato veramente l’unica cosa che era riuscita a farla star bene nel suo mondo di paranoie e ansie croniche. Le mie solite battute da stronzo l’avrebbero intenerita. Avrebbe avuto un momento di nostalgia, di quelli che le piacevano tanto nelle commedie romantiche che non guardavo mai con lei. E io avrei provato quell’antica sensazione di essere adorato, cioè l’esatto contrario di quello che provavo alzandomi la mattina accanto bionde casuali con nomi orrendi, come l’ultima, Tiffany, col suo completo leopardato fucsia e le ciglia finte rimaste incollate al cuscino. Brividi. La colla era rimasta attaccata al tessuto per settimane senza che fossi riuscito a lavarla via.
Insomma, forte della mia sicurezza, mi sono avvicinato e, con tutta la naturalezza possibile, mi sono seduto di fronte a lei.
«Ciao, Jane Austen».
Mi sarei aspettato che saltasse sulla sedia, data la sua angoscia sociale di base, ma lei non ha neanche alzato la testa, calma, e ha continuato a scrivere.
«Ciao, Damien».
Da quanto non sentivo la sua voce bassa. Mi è mancata.
«Ehi, wow. Mi avevi già visto?».
Lei non ha ancora alzato gli occhi dal foglio per guardarmi. Ha coperto metà pagina perché non potessi leggere però. Un classico.
«Mi sono chiesta se per caso il tuo egocentrismo fosse diminuito negli anni, ma questa tua domanda è di per sé una risposta».
Finalmente ha chiuso il quaderno e ha alzato lo sguardo.
I capelli erano sempre gli stessi anche da vicino, scuri e incasinati. Le labbra erano piene, rossastre, e metà del rossetto era finito sulla tazza di caffè.
È stato un grande momento guardarla negli occhi per la prima volta dopo tanto tempo. La sua pelle era chiara, gli occhi scuri grandi e dolci. Come sempre.
Ho pensato, ora mi sorride. Ne ero sicuro. Ma dopo qualche istante, mentre la guardavo, ho cominciato a sperarci. Non ero più sicuro che l’avrebbe fatto.
Volevo che lo facesse.
Ti prego, so che sono stato uno stronzo, ma ora devi sorridermi perché ne ho bisogno.
Damien, lo farà. Lo sai che è ancora pazza di te.
Ho sentito il suo sguardo correre sui miei capelli biondicci ingrigiti, sulla mia barba di sei o sette giorni, sulle rughe intorno ai miei occhi e intorno alla bocca e sui miei denti giallastri. Mi aveva sempre detto che gli uomini con l’età miglioravano. Il viso diventava più espressivo, diceva. Lo sguardo più profondo e intelligente.
Sapevo che avrei passato l’esame. L’ho capito da come le si incurvavano le labbra e le rughette si formavano intorno ai suoi occhi scuri. L’ho capito da come si è schiarita la voce, quella roca, bassa e morbida che avevo sentito per anni.
Ero sicuro di me, e ho allungato la mano sul tavolo per prendere la sua.
Ho aperto la bocca per parlare, ma lei mi ha preceduto.
«Damien», Mi ha guardato dritto negli occhi. «Levati dal cazzo».
VINCITRICE
Rachele Salvini
TITOLO
Le mirabolanti aspettative di un trentacinquenne in declino
La motivazione della Giuria è la seguente:
Dunque cos’è la superbia? Un peccato naturale, dai troppi volti. Qui si rivela come un disperato tentativo di attenzione, una necessità dal sapore tragicomico. E nel mezzo – cioè in quello spazio sospeso tra il pensiero che abbiamo di noi e quello che di noi vedono gli altri – ci sono vigliaccherie e giudizi valoriali, simile a capelli di donna «sexy come taniche d’acqua distillata», ci sono ricordi cinici, ci sono nomi saccenti – Kath –, fastidiosi ma attraenti – Damien – e «orrendi» – Tiffany. Ci sono le paure e le ossessioni dell’essere umano, l’indifferenza e le vendette, il tutto in un ritmo incalzante costruito su turpiloqui e stream of consciousness.
Biografia dell’Autore in un Tweet:
Ho ventidue anni, studio scrittura creativa a Londra e scrivo sia in Italiano che in Inglese.
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