
INVIDIA . Lector In Invidia
Possiamo ancora essere philosophes engagés?
In 13 Luglio 2023 da Debora BorgognoniSono arrabbiata. Sono furiosa. Una rabbia che nasce dall’impotenza, certo, e che si alimenta con la comunicazione costante, crescente, con la conoscenza, con la lente che chi ama il mondo mette sullo stesso per sapere, osservare, cercare un senso.
E no, non cerco un senso ontologico alla vita. Non mi chiedo neanche più dove sto andando. Sono il bon sauvage che vaga, cercando solo di amplificare i sensi. Sbagliato!, direte voi. Mai mettere lenti, mai ascoltare, si rischia la vita, le bonheur. E così la rabbia diventa un’ansia costante che fa mangiucchiare le unghie, una serie di considerazioni molto concrete che terminano con punti esclamativi, e forse anche un po’ populiste. La lealtà non è un valore. La politica è dei mediocri. Il tradimento è un’ovvietà che devi mettere sempre in conto, e “cresci, Dio santo, dove vivi?”.
E mentre il 34% della povera gente vota un governo che legittima truffe e arroganza, e persino stupri, che vuole epurare il diverso nascondendo la faccia dietro i valori cristiani della famiglia (mi ricorda qualcosa del passato), il mondo, il mio mondo, è pervaso, assuefatto dalle nefandezze, come una musica di sottofondo che preavvisa lo spettatore di un delitto; e ognuno rinnega l’amicizia del vicino perché la vita è uno slogan e non c’è spazio per un altro corpo oltre al mio. Devono pensarla così quelli che non mantengono la parola data, che guardandosi allo specchio vedono il più furbo e non solo il più infame, in una sorta di anti regola di civiltà.
Sono arrabbiata. Furiosa. E anche un po’ stanca.
Una lettrice fedele
Cara lettrice fedele, entrata a tutto diritto nel club degli incazzati, mi permetto di risponderti che sei stata fin troppo garantista, e che, al tuo elenco, si potrebbero aggiungere una card una tantum che esclude i single (ma anche i genitori single: nessuno si è mai posto il problema che fra questi ci siano anche dei vedovi?) e gli anziani, pur in stato di povertà. Potremmo aggiungere il ripristino dei vitalizi per i parlamentari, anche per gli ex. Possiamo aggiungere il bel discorso del nostro signor presidente di consiglio che ci conferma di essere mamma e che quindi è vicina a un papà (del carnefice, mentre della mamma e del papà della vittima si è un attimo dimenticata). O della speculazione di un milione di euro a cura di Madame La Russa e Mister Santanché su un villino sobrio sobrio. E a proposito di Mister Santanché -e questo, sì, è un giudizio valoriale, ogni tanto mi può scappare, pardon-, il suo nome chilometrico e fintissimo ha in sé la spocchia fastidiosa e molesta di tutto ciò che rappresenta il potere in questa epoca: un’assicurazione finché dura, e possibilmente a vita, di mero guadagno personale realizzato sulle spalle di altri, o meglio, della comunità.
Recentemente ho avuto modo di analizzare le conte philosophique de l’époque des Lumières, e in particolare il Zadig di Voltaire.
Voltaire, le philosophe engagé, che fugge per tutta la vita da se stesso e dal potere interessato, egoista, corrotto, ma che per ambizione (ambizione che nasconde un senso civico portato a valore altissimo. E non ho sbagliato a dire, non ho invertito i ruoli, cara lettrice: non è senso del dovere che nasconde ambizione, quello di Voltaire. È proprio l’ambizione a essere mezzo espressivo, legittimazione del senso civico) continua ad affiancare o osservare lateralmente, o analizzare. Voltaire, che sente nelle viscere un’ira corrosiva per essere diventato le baladin du roi, e che pensa a quale alternativa gli possa offrire la vita e la sua epoca per essere utile alla società pur senza combattere le ingiustizie dall’interno della corte. Voltaire è speculare a Zadig, e Zadig è l’espressione politica dell’ideale di Voltaire. Lotta, cresce, perde tutto, anche se stesso, in un clima da Mille et une nuit che ci porta ad allontanarci -insieme a lui, ma lo capiamo dopo- dalla soggettiva del personaggio, in una focalisation zéro che però ci è utile per prendere parte a un dibattito politico attuale.
E qui ti rispondo, tornando a noi. Facciamo in modo di essere noi il grido che ci aspettiamo da qualcun altro. Facciamo in modo di essere sindaci, consiglieri, per guardare da dentro la forma bubbonica delle nefandezze, e una volta capite, decidere come è meglio combattere, come strutturare la lotta. Non è vero che si vive meglio senza fare nulla: me l’ha ricordato qualche giorno fa il Professore Trifone Gargano, durante una chiacchierata sul senso dell’ignavia, mentre si citavano il Manzoni e il Petrarca, e me lo ricorda persino la lettatura francese del XVIII secolo. Facciamo in modo di scriverci, sul nostro calendario di cittadine e cittadini, le tappe dell’acquisizione dei diritti, e di celebrare loro l’anniversario con candeline colorate e fuoco vivo. Facciamo in modo di ricercare le bonheur collettivo, ché quello individuale ha vita breve, ed è solo una falsa felicità. Falsa come un nome da principe registrato a San Marino, o come una tessera per contrastare la povertà che di fatto discrimina chi non ha costruito una famiglia di stampo cristiano (se questo può avere qualche significato), o come l’intervento in Parlamento della pitonessa.
Nota di redazione: le considerazioni espresse si riferiscono a quanto finora emerso dalle notizie.
Fonte principale: repubblica.it
(ADV)
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