
IRA . Racconti da Kepler
Luigi Tenco
In 27 Gennaio 2017 da Il ViaggiatoreHo capito quanto sia importante studiare un Paese attraverso gli spettacoli e le competizioni canore. Per questo motivo sono a Sanremo in questo 26 gennaio 1967. Sono arrivato oggi pomeriggio a bordo di una Spider, la Duetto dell’Alfa Romeo. Sono riuscito a concedermi pure il lusso di fare qualche chilometro di Aurelia senza capotte su questo “osso di seppia” tutto rosso. L’anno prossimo questa macchina diventerà simbolo del film Il laureato. Ma non voglio divagare. In Italia nevica ma nella riviera del Ponente ligure le temperature sono miti. Alloggio all’Hotel Savoy di via Nuvoloni, e tra qualche ora diventerà luogo di una tragedia. Al Casinò di corso Matteotti ci voglio andare a piedi, indossando uno smoking da grande serata. In fondo è solo una passeggiata di qualche minuto, che mi permette di godermi l’evento in città e ancor di più il profumo del mare. Mi sono catapultato sul finire degli anni Sessanta, che cominciano a dare le avvisaglie di momenti imminenti sempre più cupi. Il Vietnam è il tema dominante della politica estera, in Italia si comincia a discutere di consentire il divorzio, gli studenti iniziano a essere in fermento, e la voglia di cambiare il mondo, almeno a parole, si percepisce molto bene.
Nel frattempo, dopo corso Imperatrice, ho imboccato corso Matteotti e sono arrivato al Casinò; entro in questo edificio in stile liberty progettato dall’architetto francese Eugène Ferret e consegno il mio invito per la sala: sta per iniziare il Festival di Sanremo numero 28. Lo presenta per la quinta volta consecutiva (alla fine lo farà altre sei volte) il presentatore e personaggio televisivo più famoso in questo momento: Mike Bongiorno. Lo affianca nel ruolo di valletta una soubrette che non disdegna il canto: Renata Mauro. Le polemiche non mancano, i capricci e i litigi nemmeno. In sala, ho scoperto, ci sarà anche Mick Jagger: il leader dei Rolling Stones accompagna la fidanzata Marianne Faithfull, che canta in coppia con Riki Maiocchi. In gara, domani, una principessa Irochi (tribù che si definsce il popolo della lunga casa): si tratta di Cher, che si esibisce sia da sola che in coppia con il marito Sonny Bono. E tra i partecipanti c’è pure un giovane Lucio Dalla: spesso i grandi sono passati di qua non senza essere criticati e poco compresi. I complessi, che rappresentano la nuova tendenza musicale non solo per i capelli lunghi, sono comunque obbligati a indossare lo smoking e si esibiscono nel teatrino dell’Opera sempre al Casinò, dove l’acustica dicono sia migliore. Non mancano, ovunque, i fiori, simbolo della città.

Mike Bongiorno e Renata Mauro
La sala, i cantanti famosi, le telecamere, la musica. Mi sto perdendo nel racconto, quindi andiamo con ordine: ho scoperto che per ogni canzone ci sono due interpreti e spesso uno di questi è straniero. I pezzi in gara sono 30 e ne passeranno in finale solo la metà. Intanto la regia RAI ha dato l’ok alla messa in onda e quindi Mike Bongiorno inizia a presentare Renata Mauro e insieme annunciano i cantanti in gara e il regolamento di questi tre giorni. Sono le 21 passate: la tragedia si consumerà tra cinque ore.
Il primo a cantare è Giorgio Gaber con E allora dài, poi toccherà a Bobby Solo. La sera scorre, Fred Bongusto, Ornella Vanoni (alcuni li ascolto per la prima volta), Gianni Pettenati che con Gene Pitney condividono La Rivoluzione, la canzone che, si dirà, scatenerà la reazione di Tenco, in quanto salvata dalla giuria rispetto alla sua. Il debuttante Mino Reitano e poi una pausa, devo dire che si fuma parecchio e il mio respiro ne risente. Altre esecuzioni e poi Orietta Berti con Io, tu e le rose, altra canzone “incriminata” di essere stata preferita a quella di Tenco. I temi dell’amore regnano incontrastati ma si affacciano anche le tematiche sociali, tra cui quelle legate all’emigrazione, come dai testi delle canzoni di Sergio Endrigo, un altro cantautore, con Dove credi di andare e di Wilma Goich con il brano Per vedere quanto grande il mondo, entrambe in gara domani. L’ultima dedicata a chi lascia la propria terra sarà proprio Ciao amore ciao. Prima tocca a Domenico Modugno e a Christophe ed ecco l’annuncio di Bongiorno, che chiama ad esibirsi Tenco, che è affiancato da Iolanda Cristina Gigliotti, cantante italo-francese nota con il nome d’arte di Dalida. I due sono legati sentimentalmente, si sono conosciuti a Roma nell’agosto dello scorso anno. I maligni dicono che sia una trovata pubblicitaria della casa discografica, perché il cantautore è legato a una certa Valeria ma la storia, se ne parla anche qui in sala durante le pause, è per molti vera. Tenco tra due mesi compirà 29 anni ed è nato a Cassine in provinicia di Alessandria: ha recitato in qualche film, suona pianoforte e sassofono e ha mosso i primi passi suonando jazz. Appartiene a una scuola musicale molto fertile, quella genovese, che annovera artisti innovatori come Gino Paoli, Bruno Lauzi, Fabrizio de André e Umberto Bindi. È cantante impegnato e colto, vicino ai temi sociali, probabilmente tormentato. L’ho percepito leggendo una strofa di Io sono uno, canzone del 1961:
Io sono uno
che parla troppo poco, questo è vero
ma nel mondo c’è già tanta gente
che parla, parla, parla sempre
che pretende di farsi sentire
e non ha niente da dire.

L’ultima esibizione di Luigi Tenco
Sono passati quasi sei anni dal suo esordio come solista con I miei giorni perduti. Ora me lo voglio ascoltare. Si ha pure la sensazione che tardi leggermente a uscire sul palco. Intona le prime parole della canzone:
La solita strada, bianca come il sale
il grano da crescere, i campi da arare.
Guardare ogni giorno
se piove o c’è il sole,
per saper se domani
si vive o si muore
e un bel giorno dire basta e andare via.
Ciao amore,
ciao amore, ciao amore ciao.
qualcuno in sala bisbligia che l’esecuzione è più lenta rispetto a come doveva (deve aver sentito le prove mentre mi godevo la mia Spider rossa). Il sospetto, si dirà dopo, che sia stato dovuto all’assunzione di un farmaco e di un alcolico.
Ciao amore,
ciao amore, ciao amore ciao.
Andare via lontano
a cercare un altro mondo
dire addio al cortile,
andarsene sognando.
E poi mille strade grigie come il fumo
in un mondo di luci sentirsi nessuno.
Saltare cent’anni in un giorno solo,
dai carri dei campi
agli aerei nel cielo.
Fa un effetto strano sapere che questa è l’ultima esecuzione di Tenco, che da questo momento verrà riconosciuto come grandissimo artista e ricordato come uno tra i più grandi poeti della canzone italiana. La registrazione televisiva andrà distrutta, quindi non sarà più possibile ascoltarlo.
E non capirci niente e aver voglia di tornare da te.
Ciao amore,
ciao amore, ciao amore ciao.
Ciao amore,
ciao amore, ciao amore ciao.
Non saper fare niente in un mondo che sa tutto
e non avere un soldo nemmeno per tornare.
Ciao amore,
ciao amore, ciao amore ciao.
Ciao amore,
ciao amore, ciao amore ciao.

L’esibizione di Dalida
La sua esibizione finisce, gli applausi non mancano e tocca a Dalida, che ripropone il brano con un’interpretazione più decisa e apprezzata. Questa non basterà e la canzone verrà eliminata anche dalla successiva giuria di ripescaggio, che gli preferirà, come vi ho già dettto, La rivoluzione.
Quel che accade dopo verrà raccontato, scritto, riscritto e più volte ripreso. Una cena mancata, lasciando Dalida e i discografici al ristorante; la ripartenza in auto si disse ad alta velocità verso la camera dell’hotel. La frase detta a Mike Bongiorno: “Faccio questa canzone e poi ho finito”. Di certo, o quasi, c’è che la tragedia si compie nella sua stanza, la 219 dopo le 2 di notte: Tenco si spara alla tempia destra con una calibro 22 e la sua morte apparirà fin da subito misteriosa e con diversi interrogativi, dividendo l’opinione pubblica tra chi accredita il suicidio e chi pensa al complotto e quindi all’omicidio. Lo troverà Dalida, che chiamerà subito Dalla, che dorme nella camera a fianco. Le indagini saranno affidate al vicedirigente del commissariato di Sanremo, Arrigo Molinari. Ad accreditare la teoria del suicidio una scatola di barbiturici vuota che, come effetto collaterale se assunti con alcol, inducono al suicidio; oltre a questo, ad avvalorare la tesi, un biglietto di addio:
Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io, tu e le rose” in finale e una commissione che seleziona “La Rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi.
Chi parlerà di omicidio, invece, tra le altre prove, segnalerà una grossa vincita al Casinò sparita, i dubbi sulla posizione del cadavere (in realtà portato all’obitorio e riportato in camera per completare le indagini frettolose) pure un particolare che lascia aperti i dubbi: nessuno ha sentito lo sparo, con il sospetto che sia stato ucciso altrove e poi portato in stanza. I complottisti hanno sottolineato due anomalie: nessuna autopsia e nessun guanto di paraffina sulle mani per fugare ogni dubbio.
Nelle testimonianze successive diverse saranno le conferme di un Tenco turbato e triste per l’eliminazione, qualcuno dirà che al Festival ci era andato pure controvoglia, con una canzone che aveva cambiato in alcune strofe e persino nel titolo, in origine Li vidi tornare: la canzone aveva più i toni antimilitaristici e parlava di soldati che partivano per la guerra risorgimentale, trasformata poi in un addio verso una nuova terra in cerca di fortuna.

I vincitori del Festival
Il festival non si fermerà e sabato a mezzanotte trionferà la coppia Claudio Villa/Iva Zanicchi con Non pensare a me. Ciao amore ciao venderà subito 300mila copie. La morte di Tenco lascerà il segno sull’intera macchina del Festival e non sarà facile per chi salirà nuovamente sul palco. Dalida tenterà il suicidio un mese dopo nella sua casa parigina e ci riproverà ancora il 3 maggio 1987: questa volta i barbiturici non le lasceranno scampo.
Intanto la serata si è conclusa e vado verso il mare, non ho voglia di tornare al Savoy. Lo farò magari verso l’alba. Cammino e penso a un uomo che compie una scelta così estrema. Ormai nel mio vagare mi sono lasciato tutti alle spalle e adesso sento solo il rumore delle onde. In tasca ho ancora la trascrizione di Io sono uno e mi rileggo le altre tre strofe:
Io sono uno
che sorride di rado, questo è vero
ma in giro ce ne sono già tanti
che ridono e sorridono sempre
però poi non ti dicono mai
cosa pensano dentro.Io sono uno
che non dice chi è la sua donna, questo è vero
perché non ammiro la gente
che prima implora un po’ d’amore
e poi non appena l’ha avuto
lo va a raccontare.Io sono uno
che non nasconde le sue idee, questo è vero
perché non mi piacciono quelli
che vogliono andar d’accordo con tutti
e che cambiano ogni volta bandiera
per tirare a campare.
Mi piace l’odore del mare. Domani si torna ma prima mi concedo un altro viaggio con la Spider.
Guardo l’orologio, sono passate le 2. Ciao Luigi.
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