DiarioXY . LUSSURIA
La donna che viene e va, parlando di Michelangelo
In 14 Gennaio 2017 da Chiara MenardoIl braccio in controluce, ricoperto di bracciali che suonano e di una lieve peluria chiara, è mio.
Mio è lo scialle, così come lo sguardo sbieco, il sopracciglio alzato, dibattuto tra noia e alterigia, mentre osservo il Poeta, il Filosofo, l’Intellettuale che si dimena sulla poltrona dallo schienale alto. È così compreso nel suo ruolo, nella parte che si è ritagliato qui, nel mondo, nella sua testa.
Io sono una delle donne che vanno e vengono nella stanza, parlando di Michelangelo.
Reggo la mia tazza di tè, la sigaretta, il filo di ragno del giusto e cortese, con appena quel tocco sciropposo ed elegante di borghesia art nouveau.
Sono colei che osserva, mentre lui si analizza con attenzione i risvolti ai pantaloni o riflette assorto sul colletto inamidato che sorregge la testa alta come gli si conviene, al Poeta, all’Uomo che tutto può dire e immaginare di fare, alto ed eburneo, quasi incorporeo nella sua Dignità.
Noi, no. Non siamo Poeti, non siamo Intellettuali. Noi siamo coloro che siedono, morbidi e inconsapevoli, tra tartine al cetriolo, tè serviti in tazze di porcellana sottili come carta velina e parole vacue mascherate delle grandezze dei passati Titani.
Caro, caro il mio Poeta. Amato, adorato Osservatore del Cosmo, così colmo di Dignità, Disprezzo e Rassegnazione fino a traboccare.
Mi sorprendo a riflettere su ogni tua parola, su ogni tua resistenza in nome dell’Arte, della Ragione e dell’Intelletto.
E, francamente, sorrido. Non rido, bada bene, mio Amato: sorrido delle Scuse, dei Ragionamenti, dei Sottintesi e dei Segreti che tieni stretti nel profondo del tuo cuore, di cui non osi parlare, ma che, a chi sa osservare, sono così così chiari e lampanti…
Rispetto la tua illusione, faccio finta di non sapere, assecondo la fola del “tu non capisci, non posso dire, è arte e ricerca, desolazione e immutabilità, è ciò che è stato” mentre, dentro, taccio e muoio, taccio e rido, taccio e grido.
Entri nei salotti volteggiando come se poggiassi i piedi sulle onde del mare, trasportato da sirene che cantano l’una all’altra mentre tu, sospirando, contempli l’umanità ciangottante che popola i tuoi giorni e ti struggi: le sirene non cantano per te, credi.
E se cantassero per te, invece?
Se ti stessero dedicando la loro canzone più bella, l’avessero composta per te, aspettando tutta la vita il momento, l’istante unico e irripetibile nel quale levare le loro voci e tu, semplicemente, non capissi?
Poeta, Filosofo, Pensatore Ermetico che sfogli la vita e i suoi giorni come un carciofo, per arrivare all’essenza, hai mai pensato che, forse, non cogli gli istanti che cambiano vite, quelle del mondo come la tua?
Roso e corroso dal dubbio della contemplazione mentre percorri le strade al tramonto, nelle sere nebbiose che scendono silenziose come i gatti le scale, pensi di avanzare nel fiume di Eraclito ma, in realtà, sei racchiuso in un sasso, come la zanzara invischiata, per l’eternità, in una goccia di ambra.
La luce gialla traspare, ti vedo immobile osservare il mio braccio, coperto di una lieve peluria. Ti passi una mano sul capo, sul viso, sulla barba leggera. Ripassi la vita che hai misurato in cucchiaini da tè, mentre guardi assorto il fondo della zuccheriera: chissà quante tazze riuscirai ancora ad addolcire prima di finire lo zucchero?
Conti. Misuri. Contempli.
Mio Amato, mio Poeta ed Amico immobile e illuso, ragno infilzato in uno spillo.
Finché voci umane non ci svegliano. E affoghiamo.
Il libro…
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Titolo: The Love Song of J. Alfred Prufrock
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Autore: Thomas Stearns Eliot
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Prima edizione: 1915, Harriet Monroe Publisher
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Ma che meraviglia, questo scritto! Mi ha procurato un minuto di vero piacere.
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