
DiarioXY . LUSSURIA
Tassonomia del tatuaggio
In 25 Dicembre 2021 da Chiara Menardo
TattooMadness, di Tommaso Donati, 2021
L’ossessione dei tatuaggi era nata con lo stupore borghese di Tiny Ewell di fronte al numero impressionante di persone tatuate che girava per la Ennet House. E i tatuaggi avevano cominciato ad apparirgli come potenti simboli non soltanto di tutte le cose che rappresentavano, ma anche dell’agghiacciante irrevocabilità degli impulsi intossicati.
Il punto è che i tatuaggi sono permanenti. Una volta fatti, rimangono – ed è proprio l’irrevocabilità di un tatuaggio a far scattare l’adrenalina della decisione intossicata di mettersi a sedere e farselo fare sul serio (il tatuaggio) – ma la cosa agghiacciante dell’intossicazione è che questa sembra farvi considerare soltanto l’adrenalina di quel preciso momento e mai (a nessun livello) l’irrevocabilità prodotta dall’adrenalina. È come se l’intossicazione impedisse alla persona tatuabile di proiettare l’immaginazione al di là dell’adrenalina e considerare le conseguenze permanenti che a loro volta producono il brivido dell’eccitazione.
Tiny Ewell esprime in continuazione quest’idea astratta ma non troppo profonda, lo fa quasi ossessivamente e in una grande varietà di forme, eppure non riesce a interessare neanche uno dei residenti tatuati, sebbene Bruce Green lo ascolti cortesemente e Kate Gompert, clinicamente depressa, non abbia le forze per alzarsi e andarsene quando Tiny attacca e quindi Ewell la perseguita con la storia dei tatuaggi, nonostante lei non ne abbia.
David Foster Wallace, Infinite Jest,
Tiny Ewell: E ora immagina, perdio, un piccolo ago. Minuscolo.
E ora immagina quell’ago ricoperto di inchiostro scuro, vischioso, appiccicaticcio, pieno di metalli polverizzati e pigmento.
Ok, te lo vedi davanti agli occhi? Un ago appuntito e una goccia di inchiostro intrappolata nella punta dell’ago, pronta a cadere come una goccia di sangue che gocciola da un polso tagliato.
Ok, ci siamo? Mi segui fin qui?
Kate Gompert: … mmhhhh …
Tiny Ewell: Bene. Benissimo!
E ora immagina un punto qualsiasi del tuo corpo: una spalla, una gamba, l’Unità – come si dice a Boston -, il gomito, la fronte, un orecchio o l’altro, la caviglia, il dito medio della mano sinistra, la coscia, la natica destra… un lembo di pelle scoperto, a tuo piacimento.
Lo sai che la pelle è l’organo più grande del corpo? Lo sai quante terminazioni nervose ci sono in un solo centimetro quadrato di pelle? Tre milioni. Lo ripeto: 3.000.000.
Sai di quanta pelle siamo ricoperti? Due metri quadrati. Ventimila centimetri quadrati.
Il calcolo, fattelo tu. Tre milioni per centimetro quadrato per due metri quadrati: miliardi di piccole porte dalle quali entra il dolore.
Anzi, per la precisione, per facilitarti il compito, per rendere l’idea, lo dico io: sono 60.000.000.000. Sessantamiliardiditerminazioninervose che filano come minuscole autostrade da ogni millimetro del corpo fino al cervello. Andata e ritorno di sensazioni, incessanti, continue: caldo, freddo, morbido, ruvido, bagnato, secco, zigrinato, ustione, puntura, un taglio di coltello mentre affetti le carote, un ago che entra nella pelle. Appunto.
E ora, chiudi gli occhi – sulle palpebre ci sono centinaia di milioni di recettori nervosi, riesci a immaginare? -: l’ago, la goccia di inchiostro intrappolata, lo spostamento d’aria e la sensazione della punta che si appoggia sulla pelle. E non si ferma. Scende, scende ancora e l’inchiostro esce come una goccia di sangue che esce da un taglio nel dito e penetra, inonda, invade, imbibisce le cellule intorno. Pensa a cosa deve provare ogni singola cellula che si sente soffocare, asfissiata da cinabro, cromossido e cobalto.
E ora immagina questo processo per decine di volte, su e giù per la parte del corpo che hai deciso di sacrificare, scarnificare, immolare sull’altare della tua appartenenza intossicata all’eternità dermatologica.
Kate Gompert: …
Tiny Ewell: E ora si passa alla Fase due.
Neri, blu, verdi, rossi. La tassonomia del simbolo si trasla nella tassonomia del portatore. Ordine della classificazione: segno grafico, colore, estensione, allocazione.
Un quaderno sotto la branda e molta pazienza. Domande e domande, disegni scarabocchiati la notte, abbarbicato alla luce di sicurezza che filtra dal corridoio. Incroci di simili e differenti. Domande e risposte. Chi ne parla, chi grugnisce, chi si rifiuta anche solo di rispondere al più innocuo e innocente quesito, chi scappa al solo vedermi arrivare con il dito alzato in procinto di porre la domanda: Tu ce l’hai, un tatuaggio? Dove, quando, perché, quanto è grande, cosa ti sei disegnato addosso per sempre?
A volte, me li fanno vedere, anche quelli nei posti più nascosti. Ma spesso no. Da domanda senza risposta sorge un’altra domanda. Perché imprimersi un simbolo indelebile sulla pelle, turbando milioni e milioni dei tuoi recettori del dolore per chissà quanto tempo e intossicando centinaia di miliardi di cellule che, da un attimo all’altro, cessano di vivere e diventano bollicine inerti e immortali di colore, tessere di un mosaico più grande, se poi non me li fanno vedere?
Quali sono i motivi che li hanno spinti, non a tatuarsi – che quello è risolto, è l’intossicazione – ma a vergognarsi di quello che sono diventati ex post, esseri di sesso maschiofemmina con un simbolo ben definito, slabbrato, chimicamente colorato, policromo o meno, indelebile fissato sulla pelle, e non volerlo mostrare, parlare, dire, spiegare?
È per sempre, come lo è il naso, eppure anche chi si trova piantata in mezzo alla faccia un’appendice obiettivamente, iconicamente imbarazzante, un bitorzolo foruncoloso e ripugnante non si nasconde. Lo porta in giro senza coprirlo, volente o nolente lo mostra. Invece no, molti tra loro nascondono le scelte sotto maglie e maniche lunghe. Altri tacciono e mi mandano via infastiditi. Le scelte o si vivono o si cambiano. Tenerle così, nascoste e sottotraccia, no: quello proprio non lo capisco. Anche se ci si vergogna. Anche se viene dalla dipendenza tossica di un momento di adrenalina mal calcolata.
Catalogare con attenzione, segno per segno, superficie per superficie, colore per colore, tratto per tratto, simbolo per simbolo, e incrociare i dati per riuscire a leggere oltre lo scarabocchio, il disegno, l’opera d’arte – assai rara – incisa per sempre sull’epidermide, per costruire un atlante incrociato che indichi le correlazioni tra i simboli cutanei immutabili e tutti gli ossessionati tossici depressi maniaci alienati alcolizzati aspiranti suicidi panettieri potenziali assassini borghesi disoccupati infermieri infermiere spacciatori prostitute tennisti vergini letterati intellettuali preti meccanici spazzini scrittori che ci circondano: un’enciclopedia ragionata del genere umano a fumetti.
Hai capito? Sono stato chiaro, sufficientemente esaustivo?
Kate Gompert: …
Note: L’illustrazione di copertina è opera di Tommaso Donati, TattooMadness, 2021

Titolo: Infinite Jest | Autore: David Foster Wallace | Anno di pubblicazione originale: 1996 | Nostra edizione: Einaudi, 2016, traduttori Edoardo Nesi, Annalisa Villoresi, Grazia Giua |
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