
Le opinioni superbe . SUPERBIA
Il labirinto, perché…
In 30 Settembre 2021 da Redazione Seven BlogArriva l’autunno e noi di Seven pensiamo ai nostri labirinti. Chiudiamo settembre 2021 con questo affascinante tema. Dalla redazione, raccontini superbi!
da Fabio
Il problema e la soluzione
Dopo: quattro talk show, sette telegiornali, dieci edizioni online mi è venuta in mente una vecchia storiella che pone un problema da risolvere. Gli elementi sono: delle sedie, un po’ di musica, un bidello e un professore.
Problema: in un sala ci sono tre sedie e quattro persone. Ogni tanto parte la musica e le quattro persone devono muoversi attorno alle sedie. Quando la musica si interrompe ci si deve sedere. Uno, ovviamente resterà in piedi. Come risolvere la cosa?
Il professore propone di:
- cambiare la musica, perché quella usata è troppo vecchia
- cambiare le sedie, pare siano troppo comode
- aggiungere ostacoli durante il percorso, perché quello attuale è troppo favorevole
- per rendere più competitivo il gioco però si possono:
- aggiungere ostacoli e sedie una diversa dall’altra
- cambiare sedie e musica
- spegnere la luce e far partire la musica al buio, così il gioco si fa ancor più competitivo
- valida anche l’opzione: cosa fanno nelle altre scuole?
- se proprio non si può fare nulla, si può stare in piedi, mica è così grave, e poi quelli bravi stanno sempre seduti.
Il bidello propone di: aggiungere una sedia.
da Chiara
Labyrinth
Dicono si debba girare sempre a destra per trovare l’uscita. Cioè, prima bisogna arrivare al centro, fino in fondo e poi, per uscire, sempre a destra.
Non so perché sono qui, tra le siepi alte, io e i miei dannati attacchi di panico. Respira, gira a destra, e poi a destra ancora, ancora, ancora.
Piccole foglie verdi che puzzano. La pianta dei druidi che, alla mezzanotte del solstizio d’inverno, andavano a tagliare i rami più grandi e ne intagliavano amuleti, lucidati con il calore delle mani e del tempo. Il bosso, la pianta magica e maleodorante dei cimiteri.
Sempre a destra, a destra, a destra, con il fiato che si appallottola in nuvole grigie e fugge via. Chi me lo ha fatto fare di accettare? Non ci volevo entrare qui dentro, a destra e poi a destra e ancora, ancora e ancora mi vengono in mente Shining, Harry Potter e i corridoi bui dei film dell’orrore, stipati di porte e di varchi, cigolii e piedi che pestano correndo le foglie secche.
Rumori e schiocchi, odore dolciastro di camposanto e di tombe, il cielo grigio e le nuvole basse. Ho promesso di non gridare neanche una volta e io le promesse le mantengo. Forse non questa volta, a destra, a destra e poi ancora…
Stronzo di merda che mi hai detto ridendo scommetto che non ce la fai, ci giochiamo la cena in quel pub carino che abbiamo visto arrivando.
Pezzo di idiota io, che ho accettato la sfida.
A destra a destra a destra ancora a destra cazzo c’è un muro di foglie dure e puntute mentre corro e mi guardo indietro come se fossi inseguita da Jack Nicholson con l’ascia in mano. Vuoi giocare con noi? Vuoi giocare con noi?
Stronzo di merda, tu e il tuo vedrai che ci divertiamo in vacanza, quanto è bella l’Inghilterra, quanto sono affascinanti i labirinti nei giardini. A destra, a destra, a destra…
Ansimo, mi stanno venendo le lacrime agli occhi e non grido, non cerco aiuto, dispersa tra muraglie verdi tutte uguali. Io non lo so se da qui ci sono già passata, a destra, a destra e poi ancora a destra.
Una mano mi afferra da dietro e adesso sì che urlo. Da dietro, da sinistra.
Stronzo di merda che ridi del mio viso graffiato e dei capelli arruffati, pieni di foglie di bosso di merda. Portami via da qui. Io li odio, i labirinti.
da Giorgio
Qui
Io l’ho visto. Stava qui, in mezzo alla piazza. Immobile. Come un lampione spento.
Stava qui, solo, con un abito nero e un papillon mano. Che si fissava le scarpe.
E solo a guardarlo, mi si è avvolto addosso un sudario. Che ora, a voi posso dirlo, riconosco in quello un presagio di cose morte.
Se ne stava qui, come chi non c’è più. Esattamente come se fosse già un ricordo sbiadito. Di quelli che popolano una stanza, un vicolo, una piazza, di memorie intermittenti.
Eppure, l’avevo visto, forse un’ora prima, sempre qui, che sorrideva come un lampione acceso, e giocava con le parole come fossero note di un rondò. In compagnia di qualcuno che applaudiva e, ogni poco, gli sfiorava le labbra con le proprie. Chi fosse quel qualcuno non è importante. Un lui o una lei poco importa. E la gente, lo sapete com’è fatta la gente, passava, li guardava e storceva il naso. Perché l’amore, quando è così pulito, fa sembrare gli amanti nudi. Via le maschere, via i costumi, via trucco e parrucco, rossetto e belletto, mascara e blush. E io l’avevo invidiato, perché non sarei mai stato capace di portare un papillon di giorno, e starmene fra la folla a bere la vita dalle labbra di… lui o lei, poco importa.
E mentre li superavo e andavo senza più convinzione verso la mia destinazione, vedevo la mia ombra allungarsi, colpita dalla luce del loro amore. E non mi sembrava così assurdo perché, se voi li aveste visti, non c’è niente di più luminoso di un amore pulito.
Ma poi sono tornato, e lui era qui, solo. Immobile come un lampione spento.
E mi sono sentito così povero per averlo invidiato, che non ho potuto fare a meno di avvicinarmi. Ha bisogno di aiuto?, gli ho chiesto. E lui… niente. Signore, ha bisogno di aiuto?, gli ho ripetuto, accarezzandogli il braccio.
Lui ha aperto la mano e il papillon è caduto sul marmo. Mi sono inchinato, l’ho raccolto, ho sollevato gli occhi e ho visto i suoi. Stava piangendo un pianto muto. Mi sono sollevato. Lui mi seguiva con lo sguardo che parlava, ma non lo capivo.
Poi, le parole, finalmente, gli sono uscite dalla bocca. Mi sono perso, ha detto. Vuole che l’accompagni da qualche parte?, mi dica l’indirizzo. Di nuovo, prima hanno parlato i suoi occhi, poi è uscita la voce. Qui, mi ha detto.
Oh! Se l’aveste visto… si era chiaramente perso, ma nel labirinto dei suoi pensieri. Rincorrendo l’amore che se ne era andato, aveva confuso le vie. Andare? Dove. Fermarsi? Perché. Rinunciare? Come… Quello era il labirinto dal quale non riusciva a uscire. E io, lo comprendete bene, non potevo aiutarlo. Così, sono rimasto qui, al centro della piazza, lo sguardo sulle sue scarpe e il papillon in mano. E la mano appoggiata al suo braccio, come a un lampione spento.
da Caterina
La gabbia
La stanza in cui sono rinchiusa è molto piccola, vi sono segregata come se fossi un oggetto, come se non avessi bisogni e necessità. Due volte al giorno lui apre la piccola porta e mi invita ad uscire. I percorsi che mi costringe a fare, per trovare il cibo, sono addirittura assurdi. Per di più, appena intuisce che ho memorizzato la strada, cambia itinerario, inserisce nuovi ostacoli ed altri bivi. Così passo la mia giornata sul pavimento alla ricerca di odori, di tracce che possano indicarmi una via d’uscita. Per di più la sua presenza mi angoscia, mi sento stretta in una trappola assurda. Le sue mani, sul mio corpo esile, mi fanno ribrezzo, specie quando mi stringe alla gola perché teme che io possa fuggire, che io possa approfittare di quella porta aperta che, so bene, non conduce da nessuna parte. Mi sento soffocare non voglio cedere ai suoi ordini, ai suoi desideri, mi divincolo, ma lui è più forte di me, ha mani salde e riflessi d’acciaio.
Oggi sono riuscita a mordergli un dito. Ho affondato i denti nella sua carne; ha urlato, ha mollato la presa e io sono fuggita. Una corsa folle e senza speranza, infatti mi ha inseguita, mi ha ripresa. Poi è corso via imprecando con il dito ancora sanguinante, non senza lanciarmi uno sguardo d’odio che mi ha lasciata indifferente: anche io lo odio!
- Ettore, oggi la cavia è riuscita a mordermi un dito, sta diventando pericolosa, la sostituirò appena possibile.
Stiamo progettando una rivista letteraria per aiutare le nuove voci a emergere. Abbiamo sempre la stessa vision: diffondere cultura e talento.
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