Le storie superbe . SUPERBIA
Quindici verticale
In 11 Settembre 2016 da Redazione Seven BlogIl racconto secondo classificato di StorieSuperbe – La Superbia
di Barbara Guazzini
Sono le sette e dieci. Già da sei ore chiuso in questo treno grondante di odori e rumori. Ho fatto i chilometri nel corridoio, su e giù, giù e su. La noia allunga i secondi, li fa diventare dei giganti.
Due orizzontale: “Ama stare isolato”. “E-re-mi-ta”. Ci sta. A me non piacerebbe, nemmeno per un giorno. Con Sara, su un’isola deserta, invece ci starei. Una settimana, poi ognuno a casa sua, io non mi posso fermare, sarebbe come mettere un leone alla catena.
Ecco un altro di quelli che ficcano gli occhi dentro al tuo giornale. Come questo qua, un poveraccio con le scarpe comprate dai cinesi. Quando scendo te la lascio, pezzente, nemmeno i soldi per comprarti la settimana enigmistica? Un euro, dico, un euro. Sei orizzontale: “Gabbia per polli”. Quattro lettere. “Stia”. Lo spione si prepara a scendere. Si muove a rallentatore con le gambette da ragno. Osservato alla moviola è anche più miserabile. Oddio che noia.
Tra un’ora arriverò a Torino. Ricapitoliamo. Se prendo l’autobus, farò in tempo a incontrarla. Se invece prendo un taxi non è detto, potrebbe infilarsi in un ingorgo. Autobus, senza dubbio. Vedi Sara, cosa mi tocca fare, per te? Toh! Guarda un po’ che biondina è arrivata. Sembra un angelo sexy. Scommetto che ha le ali e uno strepitoso lato “b”. Ha notato che la guardo, si acciocca i capelli tra pollice e indice, le donne fanno così quando ti vogliono catturare. Ignorala, Silvio. Funzionerà, come sempre. Undici orizzontale: “Sbuffi di vento”. Non mi viene. La biondina sente la mancanza del mio sguardo su di lei. Ha accavallato le gambe, mi ha sfiorato il ginocchio. Abbi pazienza, tesorino, te la devi guadagnare la mia attenzione. Dunque, dove ero rimasto? Ci sono: “Fo-la-te”.
L’ultima volta che ho visto Sara c’era vento, una roba che ti fa dare di matto. Per questo l’incontro è andato da schifo. Aveva tra le mani la stecca di liquirizia inzuppata di saliva. Per gesticolare l’ha appoggiata sul tavolo del bar e poi di nuovo in bocca. Succhiala ora, cara, che dopo non se ne parla più. La mia donna non si comporta come uno scaricatore di porto. La biondina fa le bolle col chewing-gum. Unisce le labbra carnose, le serra. Mi vuol fare impazzire. Sara, Sara, dovresti sapere che non sei l’unica, che ci sono altre donne. Che mi guardano. Con insistenza, anche.
Venti minuti all’arrivo. Ci siamo. Sara, sei stronzetta, ma ti voglio, sarai il pezzo forte della mia collezione di cose belle. Sei mesi dal nostro primo incontro. Se qualcuno mi avesse detto che mi sarei perso dietro a una che serviva al bar, gli avrei dato dello scemo. “Non conosci Silvio Rosati Calamai” gli avrei detto. Quel giorno, invece, ordinai due caffè alla cannella e chiesi al cameriere di servirne uno a lei. Mi costò un cinquantino. “È strana”, mi disse il tipo, uno smilzo che si muoveva a scatti. “Stai al tuo posto. Lei sarà la mia donna, la devi rispettare”, gli dissi. Lui sgranò gli occhi. “Addirittura? La fai facile. Comunque, contento te!” Quindici verticale: “Lo si conserva omettendo la firma”. “A-no-ni-ma-to.”
Nel corteggiamento l’anonimato funziona. Dopo la volta del caffè, l’ho corteggiata per un mese senza mai farmi vedere. Un colpo di genio. Fiori, biglietti, cioccolata. Ha ragione mio padre, le donne vanno tenute sul filo e al momento giusto col filo vanno legate, come e per far cosa lo si decide sul momento. Quando mi presentai col Porche e mi svelai, era già conquistata. L’avrei voluta vedere ieri, mentre leggeva il mio invito. Mancano cinque minuti. Una pisciata al volo e poi via di corsa. Se non avessi fretta di intercettare Sara, proverei ad attaccare discorso con la biondina. Per un po’ di volte ha avvicinato il piede al mio. “Perdonami”, ha detto alla prima. “Penserai che lo faccia apposta”, alla seconda. Alla terza, ha giunto le mani a preghiera. Ci starebbe, sono sicuro. Si alza, si aggiusta i pantaloni che le sono scivolati sui fianchi. “Ciao, buon proseguimento”, mi dice. Ora o mai più. “Devo arrivare in zona stadio. Sai qual è la fermata dell’autobus?”, le chiedo. Lei si accende. Lo sapevo, non aspettava altro che attaccassi bottone. “Dunque, aspetta un momento…”, mi dice. Sbrìgati bellezza, che ho fretta. Dammi uno spunto per chiederti il numero di telefono, così ti lavoro un’altra volta, con la calma che meriti. “Se vuoi ti do un passaggio in auto, sono di strada per lo stadio”, mi dice. Bene, ha abboccato. Potrebbe scapparci anche una sveltina sui sedili di dietro. Alle donne piace essere prese in macchina, si sentono libere. Passiamo davanti al bar. “Ti spiace se faccio colazione? Ho un calo di zuccheri!” Accidenti. Non posso fare tardi ma non voglio rinunciare alla biondina. Capra e cavolo. È sempre così, ma mi so organizzare. “No, certo!”, le dico. Mi anticipo pagando la consumazione mentre lei sorseggia il suo cappuccino. È ora, Silvio, forza, affonda il fioretto: “Senti, potrei avere il tuo…” Lei mi sta guardando dritto negli occhi ma poi allunga lo sguardo dietro di me e urla: “Andrea! Ehi sono qui!”
Un armadio a due ante decorato a decoupage sta venendo verso di noi. “Lui è Andrea, il mio ragazzo… e il nostro autista!” “Piacere” gli dico, allungando il braccio. Il tipo mi scartavetra la mano col suo palmo ruvido. La biondina si accorge di avermi piantato in asso, preferendo la merda alla cioccolata, e così mi dice: “Ti ho interrotto, scusami. Cosa stavi dicendo?” “Non ricordo, nulla di importante…”, le dico. È meglio se me la svigno. La capra ormai è persa. Devo almeno salvare il cavolo. Mi libero del tatuato e della biondina con la scusa del bagno, corro verso la fermata dell’autobus. Un sms in arrivo. È di Sara. “Finiscila con i tuoi inviti. Stammi lontano o ti denuncio”.
Si è girata proprio male, stamani, la piccola Sara. Scommetto che è in uno di quei giorni che capitano alle donne, in cui da adorabili bestioline diventano streghe che scolano sangue. Peccato, anche il cavolo è andato perso, per oggi. Non mi resta che riprendere la barca e tornare a casa.
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