INVIDIA . Lector In Invidia
Sui piatti della bilancia
In 16 Maggio 2019 da Attilia Patri DPSe ci fosse il Concorso: “Palma d’oro all’uomo del momento”, la palma andrebbe a Konrad Krajewski con la seguente motivazione: aver scatenato, con poche mosse, un ampio dibattito etico, politico, social, quanto mai vario e articolato.
Polacco, cinquantacinquenne, cardinale dal 2018, Konrad Krajewski, dal 3 agosto 2013, guida l’Elemosineria Vaticana, l’istituzione che, promossa nel XIII secolo da Gregorio X, coordina la carità del Papa verso i bisognosi. Presente più sul territorio che dietro a una scrivania fra quattro mura, di fatto, l’alto prelato rappresenta una delle longa manus del Pontefice agendo per conto di secondo questa direttiva: “La scrivania non fa per te, puoi venderla. Non aspettare la gente che bussa, devi uscire e cercare i poveri”.
Ed è così che la notte gira per Roma con un furgoncino bianco per distribuire viveri, coperte, soldi, aiuti vari, mentre intorno al Colonnato di San Pietro ha fortemente voluto molti dei servizi aperti per i senzatetto: il presidio medico, la farmacia solidale, le docce, i bagni, il barbiere, i pasti caldi. I poveri della capitale lo chiamano semplicemente Don Corrado; tanti non sospettano neppure che sia un cardinale e, in ogni caso, guai a chiamarlo Eminenza: scatterebbe una multa di cinque euro per i poveri.
Era in giro per le strade anche domenica scorsa. Conosceva da tanto tempo la realtà di quel casermone, di quelle famiglie che non sanno dove andare, che faticano spesso anche solo a sopravvivere, dei tentativi di sgombero. Dal Vaticano mandavano ambulanze, medici, viveri. Conosceva la situazione in quel palazzo occupato abusivamente da nuclei familiari con realtà culturali diverse, un totale di circa 450 persone tra cui 98 minori; sapeva di quella morosità verso l’ente gestore della luce che, come prassi e giustamente, aveva sospeso l’erogazione. Sapeva del buio nelle case ormai lungo sei giorni, dei frigoriferi spenti, dell’acqua calda mancante, della precarietà di igiene. Qualche telefonata a chi di dovere. Nessuna risposta, del resto prevedibile in quanto domenica: è prevalso l’istinto in risposta a quello che deve essergli sembrato un abbandono a se stessi, una periferia dentro il centro di Roma, e ha tolto i sigilli, riattivato fili, restituito la luce, reato o no, prendendosi ogni responsabilità e oneri economici.
Di fatto, più semplicemente e sostanzialmente, tutta la vicenda è cronaca di puri reati, del “non si deve”: l’occupazione abusiva, dal 2013, del palazzo ex sede Inpdap, in via Santa Croce in Gerusalemme al civico 55 in Roma (conosciuto come Spin Time Labs), la morosità per non aver pagato l’utenza, il riallaccio abusivo.
Sul piano altro, quello del dibattito, oltre quindi la cronaca, il ventaglio delle risultanze è quanto mai vario tra chi ha visto nel gesto un atto di interferenza e prepotenza dello Stato Vaticano verso le leggi di un altro Stato, chi innalza Konrad Krajewski a paladino eroico dei più deboli, chi si interroga tra carità o legalità secondo il principio che la dignità debba venire prima della legge, chi ha visto nella disattenzione, nel lasciare al buio, un vuoto, una assenza di legalità per mano dello Stato stesso, chi fa leva sullo “stato di necessità” previsto nell’art. 54 del Codice Penale: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona…”, chi teme il rischio “contagio”, che altri emulino l’impresa del cardinale dal momento che storie ordinarie di periferia, di case occupate abusivamente, ce ne sono un po’ ovunque nelle nostre città.
Cronaca di puri reati, del “non si deve”, letti con la mediazione della rabbia o del cuore, della ragione o del sentimento. Dipende.
Se leggiamo attraverso il sentimento allora possiamo aprire I Miserabili di Victor Hugo alla Parte Prima, Libro Primo certi di trovare una descrizione che, in qualche modo, potrebbe rappresentare il cardinale: “Ovunque compariva, era una festa. Si sarebbe detto che il suo passaggio avesse qualcosa di luminoso. I fanciulli e i vecchi uscivano sulla soglia della porta soltanto per il vescovo e per il sole. Benediceva ed era benedetto. La gente indicava la sua casa a chiunque avesse bisogno di qualcosa. Qua e là si fermava, parlava ai ragazzi e alle bambine, sorrideva alle madri. Finché aveva denaro visitava i poveri, quando non ne aveva più faceva visita ai ricchi”. Oppure possiamo ricordare Morgan Freeman, Azeem in Robin Hood-Principe dei ladri, quando dice “Non esistono uomini perfetti, ma solo intenzioni perfette” o ripensare al Renzo manzoniano e a quella frase: “La c’è la Provvidenza”. È questo, certamente, il modo più semplice perché unidirezionale, quasi corale.
Se, invece, leggiamo attraverso la pura ragione allora ognuno troverà, probabilmente, la propria motivazione specifica.
Davanti a un fatto di cronaca c’è sempre una bilancia di pensiero e a ognuno vengono offerti i piatti da far oscillare.
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Mi è piaciuto molto questo scritto. Ha soppesato le parole per non innescare reazioni scomposte, ma le ha scritte tutte, in modo che chi deve ragionare ragioni, chi deve rallegrarsi si rallegri, e chi deve vergognarsi si vergogni. Brava, Attilia.